SENTENZA N. 202
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN, Presidente
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 29 luglio 1977 dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Lanusei nel procedimento penale a carico di Maxia Antonio e Serra Teodoro, iscritta al n. 537 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32 del 1978.
Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1985 il Giudice relatore Giovanni Conso;
udito l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
I carabinieri della compagnia di Lanusei, con rapporto del 13 febbraio 1977, denunciavano alla locale Procura della Repubblica Serra Teodoro per il delitto di tentato omicidio e Maxia Antonio per il delitto di favoreggiamento.
Avocata a sé la sommaria istruzione, la Procura Generale della Repubblica di Cagliari richiedeva al Giudice istruttore il proscioglimento di entrambi gli imputati: del primo per non aver commesso il fatto, del secondo perché il fatto non costituisce reato.
Il Giudice istruttore - rilevato che, dovendosi compiere ulteriori atti di istruzione nei confronti del Serra, non era possibile pronunciare il suo immediato proscioglimento e che, invece, nei confronti del Maxia, le prove acquisite in sede di istruzione sommaria "potrebbero ... fondare un giudizio di non colpevolezza ... con conseguente accoglimento della richiesta relativa della Procura Generale" - con ordinanza del 29 luglio 1977 ha denunciato l'illegittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui dispone che il G. I., ove non accolga la richiesta del P. M. di proscioglimento, debba proseguire l'istruttoria in via formale contro tutti gli imputati, precludendogli la possibilità di prosciogliere immediatamente quegli altri imputati relativamente ai quali lo stesso Giudice, invece, ritenga di aderire alla richiesta del P. M.".
Rileva il giudice a quo che, al termine della sommaria istruzione, il giudice istruttore, dinanzi alla richiesta di proscioglimento del pubblico ministero riguardante più imputati, può accoglierla in toto, nel qual caso pronuncia sentenza di non doversi procedere, o non accoglierla, sia pure in parte, nel qual caso é tenuto disporre che l'istruzione sia proseguita in via formale nei confronti di tutti gli imputati. Con la conseguenza che, ove ritenga di prosciogliere solo uno od alcuni degli imputati dei quali il pubblico ministero abbia chiesto il proscioglimento, gli sarà preclusa la possibilità di pronunciare sentenza nei confronti di questi ultimi. Un tale regime, se ben si adatta alla posizione dell'imputato che non si ritenga di prosciogliere, non si giustificherebbe affatto con riferimento all'imputato o agli imputati che il giudice istruttore, aderendo alle richieste del pubblico ministero, ritenga di prosciogliere: in tal caso, infatti, non ricorre quel dissenso tra pubblico ministero e giudice istruttore che legittima la prosecuzione dell'istruttoria con rito formale.
La disciplina ora descritta si porrebbe, perciò, in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione.
Vi sarebbe violazione del principio di eguaglianza perché, pur essendo la situazione del coimputato, ritenuto "proscioglibile" in caso di integrale adesione alle richieste del pubblico ministero, identica a quella del coimputato ritenuto parimenti "proscioglibile" in caso di parziale accoglimento della richiesta del pubblico ministero, si darebbe luogo ad un trattamento processuale ingiustificatamente diverso: nella prima ipotesi il giudice istruttore può pronunciare prontamente la sentenza di proscioglimento; nella seconda tale potere gli éprecluso, dovendo, invece, disporre l'istruzione formale anche nei confronti dell'imputato "proscioglibile", il cui "destino processuale" viene ad essere così collegato "al parametro instabile della posizione degli altri imputati": l'immediato proscioglimento di tale imputato dipenderà, di fatto, dalla "fortuna di trovarsi coimputato con altra persona di cui si richiede e si accoglie il proscioglimento".
Sarebbe vulnerato il diritto di difesa, inteso "come diritto dell'imputato ad avere prontamente ed in tempo ragionevole dichiarata la propria innocenza appena se ne verificano le condizioni che la evidenziano", perché la norma denunciata rimanda ingiustificatamente tale "dichiarazione" all'esito dell'istruzione formale.
Le censure denunciate non potrebbero, infine, essere superate dall'applicazione dell'art. 152, primo comma, del codice di procedura penale, "in quanto (a parte il fatto che tale articolo limita la declaratoria a determinate cause di non punibilità) l'esistenza di altra norma, che, potrebbe, in qualche modo, eliminare certe conseguenze della prospettata situazione di illegittimità costituzionale, non può certamente sanare la incostituzionalità della norma in esame".
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32 del 1 febbraio 1978.
É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata: la norma di cui si deduce l'illegittimità - secondo l'Avvocatura - andrebbe applicata ai soli casi di più persone imputate di uno stesso reato e non anche, come nella specie, a quelli di più persone imputate di reati diversi.
Considerato in diritto
1. - Come sottolinea il dispositivo dell'ordinanza in esame, il Giudice istruttore del Tribunale di Lanusei porta al vaglio di questa Corte l'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale non nella sua interezza, ma "nei limiti di cui alla motivazione".
Più precisamente, dai passaggi argomentativi dell'ordinanza si ricava con chiarezza che i dubbi di legittimità investono il primo comma dell'art. 395 del codice di procedura penale "nella parte in cui dispone che il G. I., ove non accolga la richiesta del P. M. di proscioglimento (rectius, tutte le richieste di proscioglimento avanzate dal pubblico ministero), debba proseguire l'istruttoria in via formale contro tutti gli imputati, precludendogli la possibilità di prosciogliere immediatamente quegli altri imputati, relativamente ai quali lo stesso Giudice, invece, ritenga di aderire alla richiesta del P. M.".
A venire in discussione é, dunque, la parte finale di questo complesso comma, un comma che, dopo aver dettato la regola cui il pubblico ministero é chiamato ad uniformarsi quando, al termine dell'istruzione sommaria, "ritiene che non si debba procedere anche solo per taluno fra più coimputati" (trasmissione globale degli atti al giudice istruttore, con le opportune richieste), indica al giudice istruttore la strada rispettivamente da percorrere a seconda che le richieste del pubblico ministero gli risultino accoglibili in toto oppure no. Nella prima ipotesi il giudice istruttore pronuncia sentenza di non doversi procedere, nella seconda dispone con ordinanza che l'istruzione venga proseguita in via formale contro tutti gli imputati. Quest'ultima soluzione - prospettata al giudice istruttore non solo per il caso di dissenso sull'unica o, il che é lo stesso, su tutte le richieste di proscioglimento presentategli, ma anche, come nella specie, per il caso di dissenso su una parte soltanto di tali richieste - gli precluderebbe la possibilità di accogliere immediatamente la richiesta o le richieste su cui non sussiste dissenso alcuno con il pubblico ministero, così da porsi in contrasto, ad avviso del giudice a quo, con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione e con il principio dell'inviolabilità del diritto di difesa tutelato dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
2. - L'Avvocatura Generale dello Stato ha concluso per la non fondatezza di entrambe le questioni, sostenendo che dal giudice a quo non sarebbe "stata correttamente interpretata la norma" oggetto del giudizio di legittimità. L'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale troverebbe, infatti, applicazione nei soli casi in cui più persone siano imputate dello stesso reato e, quindi, non anche nei casi in cui più persone siano imputate di reati diversi, come nella fattispecie concreta, dove una persona é imputata di tentato omicidio e l'altra di favoreggiamento. Conseguentemente, in ipotesi del genere, l'art. 395, primo comma, non vieterebbe al giudice istruttore di accogliere quella tra le richieste di proscioglimento sulla quale soltanto ritenesse di convenire. Ma, pur non mancando voci favorevoli a tale interpretazione restrittiva, essa, in assenza di un diritto vivente nel senso suggerito dall'Avvocatura dello Stato, non può essere sovrapposta all'interpretazione accolta dall'ordinanza di rimessione, che é, per giunta, la più aderente alla lettera della legge.
3. - Altre sono le considerazioni che si impongono, anche per l'esigenza di tener distinte, in relazione ai parametri rispettivamente invocati, le due questioni aventi ad oggetto l'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale nella parte dianzi precisata.
Poiché, per il giudice a quo, a manifestarsi "preminente" sarebbe il contrasto con il diritto di difesa, l'analisi deve prendere le mosse dalla questione incentrata sulla violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione. L'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, procrastinando per un imputato la declaratoria di non doversi procedere, di per sé già matura, "all'esito di tutta la istruzione formale ... nei confronti di tutti gli altri imputati", lederebbe il diritto di difesa, che "può, anzi, deve essere inteso anche come diritto dell'imputato ad avere prontamente ed in tempo ragionevole dichiarata la propria innocenza appena se ne verifichino le condizioni che la evidenziano".
4. - La questione non é fondata.
Prima ancora di verificare quale sia la corretta interpretazione della normativa in esame, non si può non mettere in rilievo - come, ancora di recente, ha puntualizzato un'autorevole dottrina - che la problematica dei "tempi processuali", recepita all'interno della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo quale aspetto del "giusto processo", non trova eco nella Carta costituzionale, se si eccettua la particolare previsione dell'art. 13, quinto comma, il quale impone alla legge di stabilire "i limiti massimi di carcerazione preventiva", senza affatto preoccuparsi dei tempi processuali allorché l'imputato si trovi comunque a piede libero.
Nemmeno l'art. 24, secondo comma, della Costituzione può, quindi, essere utilmente invocato in proposito.
5. - Quanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, l'ordinanza di rimessione la ravvisa nella "ingiustificata" disparità di trattamento fra situazioni identiche, quali "la situazione del coimputato reputato proscioglibile dall'organo requirente e dall'organo giudicante ... nell'ipotesi in cui il G. I. accoglie la richiesta del P. M. di proscioglimento anche degli altri Imputati e nell'... ipotesi in cui il G. I. non accoglie la richiesta di proscioglimento degli altri imputati". In entrambe le ipotesi pubblico ministero e giudice istruttore "convengono sul proscioglimento di quell'imputato: ma mentre nel primo caso il G. I. può pronunciare prontamente la sentenza di proscioglimento, nell'altro caso tale potere gli é precluso, dovendo, invece, disporre l'istruzione formale anche nei confronti dello stesso, collegando pertanto la legge il destino processuale di tale imputato al parametro instabile della posizione degli altri imputati". In sintesi, "l'immediato proscioglimento di tale imputato dipenderà, di fatto, dalla "fortuna" di trovarsi coimputato con l'altra persona di cui si richiede e si accoglie il proscioglimento".
6. - La questione non é fondata.
In linea di principio, vi sarebbe da osservare come argomentazioni del genere verrebbero a coinvolgere, prima ancora dell'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, l'istituto della connessione complessivamente considerato (v., in proposito, le sentenze n. 130 del 1963 e n. 139 del 1971, concordi nel cogliervi un criterio fondamentale di attribuzione della competenza), tanto più che, ad avviso del giudice a quo, la situazione denunciata sarebbe "resa particolarmente grave" dalla "larghezza del concetto di connessione accolto dal nostro Codice". Ma soffermarsi su prospettazioni così generali risulterebbe ultroneo; del resto, é la stessa ordinanza di rimessione a riconoscere "l'esistenza di altra norma, che potrebbe in qualche modo eliminare" le conseguenze più specificamente lamentate.
Tale norma viene individuata nell'art. 152, primo comma, del codice di procedura penale (ed un'altra potrebbe individuarsi, ricorrendone le condizioni, nell'art. 46, secondo comma, dello stesso codice, su cui v. la già ricordata sentenza n. 139 del 1971), anche se poi l'ordinanza di rimessione la ritiene insufficiente al fine di escludere l'incostituzionalità del denunciato art. 395, primo comma, e ciò perché - a parte il fatto che l'art. 152, primo comma, "limita la declaratoria di non doversi procedere a determinate cause di non punibilità" - l'esistenza di una norma in grado di eliminare le conseguenze di una "prospettata situazione di illegittimità costituzionale, non può certamente sanare l'incostituzionalità della norma" sottoposta a controllo di legittimità.
Nessuna delle due riserve é da condividere. Non lo é quella, pregiudiziale sotto il profilo della rilevanza, che fa riferimento al novero delle cause di non punibilità che il giudice deve dichiarare d'ufficio con sentenza in ogni stato e grado del procedimento: il loro ambito, anche alla luce dell'evoluzione storica della normativa de qua (l'art. 120 del codice di procedura penale del 1865 limitava la declaratoria d'ufficio in qualunque stato della causa alle sole ipotesi di mancanza o remissione della querela; l'art. 134 del codice di procedura penale del 1913 l'aveva estesa alle ipotesi per le quali il giudice "riconosca che il fatto non costituisce reato, o che l'azione penale é estinta, o non può essere promossa o proseguita"; l'art. 152, primo comma, del codice vigente vi ricomprende tutte le ipotesi in cui il giudice "riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, o che la legge non lo prevede come reato, o che il reato é estinto, o che l'azione non poteva essere iniziata o proseguita"), appare tutt'altro che ridotto e, comunque, risulta comprensivo - v. la sentenza di questa Corte n. 175 del 1971 - della causa di non punibilità applicabile nella specie in base alla richiesta del pubblico ministero condivisa dal giudice istruttore. Né si può accogliere la tesi secondo cui l'esistenza di una norma, quale l'art. 152, primo comma, del codice di procedura penale, non varrebbe a "sanare" la pretesa incostituzionalità dell'art. 395, primo comma, dello stesso codice: lo stretto rapporto intercorrente tra l'art. 152, primo comma, norma di portata generalissima, autentico principio-base dell'ordinamento processuale penale, e le altre norme specifiche che, fase per fase, il legislatore detta per le sentenze di proscioglimento (anche l'art. 395, primo comma, é una tipica norma di parte speciale, non certo derogativa, ma semplicemente integrativa rispetto alla norma generale), non permette di considerare le singole previsioni di parte speciale quali entità a se stanti, slegate dal contesto in cui sono inserite e sottratte alle incidenze derivanti dalle prescrizioni di carattere generale.
Come la Corte di cassazione ha recentemente ribadito, l'art. 152, primo comma, del codice di procedura penale legittima il giudice istruttore a dichiarare immediatamente - sia nel corso dell'istruzione formale sia subito dopo la formalizzazione dell'istruttoria senza nemmeno dover compiere atti di istruzione - la sussistenza di una qualsiasi fra le cause di non punibilità elencate nel suddetto comma, allorché ne risultino chiaramente gli estremi e gli sia, quindi, possibile darne adeguata motivazione.
La dottrina più impegnata sull'argomento ha, anzi, avuto modo di fornire un'esauriente dimostrazione dell'assunto secondo cui l'art. 152, primo comma, esplica una concreta efficacia anticipatoria rispetto ai normali sviluppi del processo penale proprio nel settore dei procedimenti connessi, fornendo al giudice uno strumento in grado di frazionarli a vantaggio dell'imputato per il quale sia possibile un epilogo più rapido che per gli altri. Il fatto che l'art. 152, pur obbligando il giudice all'"immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità", non renda l'inosservanza di tale obbligo suscettibile di altrettanto immediata impugnazione da parte dell'imputato, non rileva ai fini della questione in esame: il giudice a quo l'ha sollevata sulla base del presupposto, rivelatosi insussistente, che la pronuncia immediata di proscioglimento sarebbe comunque preclusa al giudice istruttore in forza dell'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 395, primo comma, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Lanusei con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1985.
Guglielmo ROEHRSSEN - Giovanni CONSO
Depositata in cancelleria il 15 luglio 1985.