SENTENZA N. 136
ANNO 1985
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Dott. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 10 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione"), modificato dalla legge 24 luglio 1957, n. 633, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 93 del 1979, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 febbraio 1981 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Ciucci Olga e A.T.A.C., iscritta al n. 296 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 269 dell'anno 1981;
2) ordinanza emessa il 27 gennaio 1981 dal Tribunale di Salerno nel procedimento civile vertente tra Reccia Giuseppe ed altri e A.T.A.C.S., iscritta al n. 342 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 241 dell'anno 1981;
3) ordinanza emessa il 26 maggio 1980 dal Pretore di Roma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra D'Acuti Giuliano ed altri ed A.T.A.C., iscritta al n. 384 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 dell'anno 1981.
Visti gli atti di costituzione dell'A.T.A.C. e di D'Acuti Giuliano ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1984 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza 26 maggio 1980 - emessa nel corso di un procedimento col quale taluni dipendenti dell'ATAC rivendicavano una qualifica superiore a quella riconosciuta loro dall'Azienda - essendo stata eccepita l'improponibilità della domanda stante la tardiva presentazione del reclamo gerarchico, il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, nel testo risultante dalla legge 24 luglio 1957, n. 633 e dalla sentenza n. 93/1979 di questa Corte, nella parte in cui non prevede la remissione in termini per la proposizione del reclamo gerarchico, con contestuale sospensione del giudizio ad opera del giudice che rilevi l'improcedibilità del giudizio stesso, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..
Secondo l'ordinanza di rimessione, in mancanza di apposita declaratoria da parte della Corte costituzionale, l'art. 443 c.p.c. non sarebbe applicabile alla fattispecie e la sentenza n. 93 del 1979 resterebbe improduttiva di effetti concreti. Di qui il permanere della lesione degli artt. 3 e 24 Cost., messa in evidenza da detta sentenza n. 93 del 1979.
Davanti a questa Corte si sono costituiti, fuori termine, i dipendenti dell'ATAC ricorrenti, sostenendo in via pregiudiziale l'irrilevanza della questione, affermando di avere proposto tempestivamente i ricorsi gerarchici. Nel merito hanno chiesto una pronuncia che renda procedibile (oltre che proponibile) la domanda, ancorché i ricorsi gerarchici dovessero ritenersi tardivi.
Si é costituita pure l'ATAC, la quale, pur ritenendo inapplicabile alla fattispecie l'art. 443 c.p.c., ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Con ordinanza 23 febbraio 1981 - emessa nel corso di un giudizio promosso da una dipendente dell'ATAC per ottenere una pronuncia relativa al diritto ad ottenere una promozione - il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, come mod. dalla l. 24 luglio 1957, n. 633 nel testo risultante dopo la sentenza n. 93 del 1979 "nella parte in cui sancisce l'improponibilità dell'azione giudiziaria promossa oltre il termine di sessanta giorni dalla definizione del reclamo gerarchico o del termine di 30 giorni per detta definizione".
Secondo il giudice a quo, tale norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 Cost., determinando un regime di disparità di trattamento ingiustificato:
- a) tra la generalità dei lavoratori subordinati e la categoria degli autoferrotranvieri, in quanto le finalità di pubblico interesse inerenti alla natura del servizio non richiedono di necessità una compressione del diritto dei lavoratori del settore, in termini di decadenza dallo stesso (C. Cost. sent. n. 93/1979);
- b) tra gli autoferrotranvieri che abbiano proposto tardivamente il reclamo gerarchico (per i quali, dopo la sentenza C. Cost. n. 93/1979, la sanzione é quella della improcedibilità e non più della improponibilità) e gli autoferrotranvieri che abbiano proposto tardivamente l'azione giudiziaria, i quali incorrono, ai sensi della norma in questione, nella decadenza, pur avendo presentato tempestivamente il reclamo gerarchico, risultandone nel complesso, un sistema irrazionale, in cui, venuta meno a seguito della citata sentenza n. 93/1979 l'esigenza di promuovere entro breve termine l'azione giudiziaria, si sancisce pur tuttavia di decadenza la proposizione dell'azione giudiziaria oltre il termine dell'art. 10, ultimo comma R.D. n. 148/1931;
- c) tra controversie previdenziali e quelle in esame, avendo per le prime l'art. 443 Cod. proc. civ. (nel testo ex legge n. 533/1973) per i casi di omesso o tardivo ricorso amministrativo in materia previdenziale, sancito l'irrilevanza delle decadenze verificatesi nelle procedure amministrative.
In tale giudizio non vi é stata costituzione di parte né intervento della Presidenza del Consiglio.
Questione analoga é stata proposta con ordinanza 21 gennaio 1981 del Tribunale di Palermo.
Anche in tale giudizio non vi é stata costituzione di parti private.
É invece intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata in quanto:
a) non é configurabile un discriminato trattamento di situazioni uguali, non essendo equiparabile tanto sul piano giuridico-formale quanto su quello pratico all'omesso esperimento del rimedio gerarchico la tardiva adizione dell'autorità giudiziaria ordinaria dopo l'esito di tale rimedio;
b) secondo un ripetuto insegnamento di questa Corte, la previsione di termini perentori per l'accesso alla tutela giurisdizionale rientra nell'ambito delle potestà - latamente discrezionali - del legislatore ordinario di determinare le modalità di esercizio del diritto di difesa.
Considerato in diritto
1. - Le tre ordinanze in epigrafe sollevano questioni di legittimità costituzionale analoghe e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti ai fini di un'unica decisione.
2. - a) Con la ordinanza in data 26 maggio 1980 (n. 384/ 1981) il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 10, secondo e terzo comma del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148 ("Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quello sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione"), nel testo risultante dalla l. 24 luglio 1957, n. 633 e dalla sent. n. 93 del 1979 di questa Corte, nella parte in cui non prevede la rimessione in termini con contestuale sospensione del giudizio;
b) una seconda questione viene sollevata, sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Pretore di Roma con ordinanza 23 febbraio 1981 (n. 296/81) e dal Tribunale di Salerno con ordinanza 27 gennaio 1981 (n. 342/81) ed ha ad oggetto l'art. 10, secondo e terzo comma, del già citato R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, nel testo risultante dalla l. 24 luglio 1957, n. 633 e dalla sentenza n. 93 del 1979 di questa Corte, nella parte in cui sancisce la improponibilità dell'azione giudiziaria promossa oltre il termine di 60 giorni dalla definizione del reclamo gerarchico o del termine di 30 giorni per detta definizione.
Le questioni non sono fondate.
3. - Per quanto riguarda la questione sub a) si deve osservare che contrariamente a quanto opina il giudice a quo é ormai consolidata la giurisprudenza della Corte, di Tassazione la quale, successivamente alla sentenza n. 93/1979 di questa Corte, ritiene che il giudice dinanzi al quale pende la causa, deve applicare in via analogica il disposto dell'art. 443 c.p.c., sospendendo il giudizio e concedendo all'interessato il termine perentorio di 60 giorni per la proposizione o riproposizione del reclamo.
In queste condizioni é ovvio che il dubbio propostosi dal giudice a quo più non sussiste, poiché la giurisprudenza ha già ammesso l’applicabilità della disposizione processuale alla quale egli fa riferimento, in tal modo risolvendo nel suo stesso senso il problema.
Anche per la questione di cui sub b) la giurisprudenza della Corte di cassazione é consolidata nel senso che, a seguito della sentenza n. 93 del 1979 di questa Corte, ove l'interessato sia rimasto inerte contro il silenzio rigetto, omettendo di agire nel termine di 60 giorni decorrenti dalla formazione di questo, l'azione giudiziaria é subordinata alla sola prescrizione ordinaria (cfr. per tutte Cass. 15 dicembre 1983, n. 7394): in tal modo il problema posto dai giudici a quibus risulta già risolto in sede interpretativa, sicché non sussiste alcuna violazione degli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., nei profili dagli stessi giudici accennati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, secondo e terzo comma, del Regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148 ("Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione"), modificato dalla legge 24 luglio 1957, n. 633, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 93 del 1979, sollevate con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 1985.
Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN
Depositata in cancelleria il 9 maggio 1985.