Sentenza n.74 del 1985

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SENTENZA N. 74

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

AVV. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

AVV. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 309 del codice penale militare di pace (Arresto fuori dei casi di flagranza), promosso con ordinanza emessa il 24 ottobre 1979 dal Tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Tormene Roberto, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 dell'anno 1980.

Udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 1985 il Giudice relatore Giovanni Conso.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Tormene Roberto, imputato del reato di cui all'art. 173, primo comma, cod. pen. mil. di pace, per avere - il 3 settembre 1979, nella caserma del reparto di Codroipo ove si trovava in attesa che gli venisse notificato l'ordine di cattura spedito dalla Procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare territoriale di Padova, per reati da lui in precedenza commessi (notificazione avvenuta quattro giorni dopo) - rifiutato obbedienza all'ordine, intimatogli dall'ufficiale di picchetto, di entrare nel locale adibito a prigione, il Tribunale militare territoriale di Padova, premesso che l'attinenza al servizio e alla disciplina di detto ordine, nonché la sua legittimità, deriva dall'art. 309 cod. pen. mil. di pace, il quale attribuisce al comandante da cui il militare dipende "il potere di adottare misure precauzionali, e, tra queste, vere e proprie misure detentive finalizzate ad assicurare il subordinato alle esigenze del procedimento penale", con ordinanza del 24 ottobre 1979 ha denunciato, in riferimento all'art. 13, terzo comma, Cost., l'illegittimità del predetto art. 309 cod. pen. mil. di pace. Tale norma, secondo il giudice a quo, legittima, "come é avvenuto nella specie", misure restrittive della libertà personale senza prevedere né i presupposti a cui é condizionato l'esercizio del potere, né i limiti di durata della detenzione, né alcun dovere di immediata comunicazione per la convalida all'autorità giudiziaria.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 19 marzo 1980.

Nel presente giudizio non vi é stato né intervento dell'Avvocatura Generale dello Stato, né costituzione della parte privata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza in esame il Tribunale militare territoriale di Padova sottopone a controllo di legittimità costituzionale l'art. 309 cod. pen. mil. di pace, in quanto che, "legittimando, come é avvenuto nella specie, misure restrittive della libertà personale e non prevedendo, nel contempo, i presupposti cui é condizionato l'esercizio del relativo potere, né limiti di durata della detenzione ordinata dal Comandante Militare, né il dovere d’immediata comunicazione, per la convalida, all'autorità giudiziaria, appare in contrasto con l'art. 13, terzo comma, della Costituzione".

A prima vista, il riferimento a misure restrittive della libertà personale (nel caso di specie, ad un militare "imputato" era stato rivolto l'ordine di entrare nel locale adibito a prigione all'interno della caserma) ed il parametro costituzionale invocato sembrerebbero coinvolgere non tanto l'intero art. 309 cod. pen. mil. di pace ("Fuori dei casi di flagranza, il militare in servizio alle armi, imputato di un reato, ancorché non soggetto alla giurisdizione militare, non può essere arrestato o fermato o trattenuto sotto custodia, se non in dipendenza di un mandato od ordine di cattura o di arresto dell'Autorità giudiziaria; salve le misure precauzionali che il comandante da cui il militare dipende ritenga di adottare"), quanto il suo inciso finale (appunto, il "salve le misure precauzionali che il comandante da cui il militare dipende ritenga di adottare").

In realtà, le parti di cui consta l'art. 309 sono, per motivi ispiratori e finalità perseguite, così strettamente intrecciate in una visuale unitaria da apparire condizionate l'una all'altra. Non a torto, quindi, motivazione e dispositivo dell'ordinanza di rimessione parlano, rispettivamente, di "disposizione dell'art. 309" e di "art. 309", senza formali delimitazioni.

2. - La genesi della norma mostra chiaramente quali siano stati i motivi ispiratori e le finalità perseguite con il progressivo addivenire all'enucleazione ed alla correlazione delle due parti che, insieme, hanno dato vita all'art. 309 cod. pen. mil. di pace.

Nel prendere le mosse dal modello costituito dai codici per l'esercito e per la marina del 1869 (entrambi, nell'intento di garantire l'autorità gerarchica, a salvaguardia dell'ordine disciplinare militare, disponevano che "Fuori del caso di flagrante reato, il militare in servizio effettivo, imputato di un reato anche non militare, non potrà essere arrestato che in dipendenza di un ordine del suo superiore, il quale tuttavia non potrà mai rifiutarsi all'esecuzione di un mandato di cattura rilasciato dall'autorità giudiziaria competente"), il progetto preliminare del codice penale militare di pace ne aveva riprodotto il modello con una sola variante ("... non può essere arrestato o fermato o trattenuto sotto custodia che in dipendenza di un ordine del suo superiore..."), variante resa necessaria dall'intervenuta esigenza di tener conto dell'istituto del fermo di polizia giudiziaria, precipua figura di arresto fuori flagranza nel sistema del codice di procedura penale del 1930.

Nel prosieguo dei lavori preparatori, la preoccupazione di garantire l'autorità gerarchica in un ordinamento, caratterizzato da autonomia e separatezza, come quello militare, si faceva sentire pressante non tanto di fronte all'autorità giudiziaria, i cui ordini erano comunque considerati vincolanti, quanto di fronte alle autorità di polizia legittimate al fermo, e ciò a causa della regolamentazione del tutto priva di effettive garanzie data al nuovo istituto. Di qui la drastica delimitazione su cui si basa l'art. 309 cod. pen. mil. di pace: fuori dei casi di flagranza, il militare in servizio "imputato" di un reato anche non militare non può incorrere in restrizioni della libertà personale "se non in dipendenza di un mandato od ordine di cattura o di arresto dell'autorità giudiziaria".

A controbilanciare tale favor, operante persino con riguardo ai reati non soggetti alla giurisdizione militare, ed a fronteggiare nel contempo eventuali pericoli di fuga dell'imputato" o di inquinamento delle indagini, si ritenne, però, indispensabile conferire al comandante del corpo la possibilità di adottare, a sua discrezione, in luogo del precluso fermo di polizia, misure precauzionali idonee al singolo caso. Di qui l'inciso finale dell'art. 309, su cui insiste particolarmente l'ordinanza di rimessione, anche per ragioni di rilevanza, procedendosi nella specie per il reato di disobbedienza ad un ordine - l'ordine, appunto, di entrare nel locale adibito a prigione - emesso in base ad una norma della quale si mette in dubbio la legittimità costituzionale.

3. - La questione é fondata.

Come osserva il giudice a quo, nessuna delle condizioni, alla cui concomitante presenza l'art. 13, terzo comma, della Costituzione subordina la legittima previsione di restrizioni della libertà personale adottabili in via provvisoria da parte di autorità diverse dall'autorità giudiziaria (v. particolarmente sent. n. 72 del 1963 e sent. n. 64 del 1977), si ritrova nel dettato dell'art. 309 cod. pen. mil. di pace. Non si ritrova l'indicazione dei "casi eccezionali di necessità ed urgenza", che soli possono giustificare una così grave deroga alla riserva di giurisdizione posta dal secondo comma dello stesso art. 13: la sfera di applicabilità oggettiva dell'art. 309 cod. pen. mil. di pace, ricomprendendo potenzialmente qualsiasi reato, soggetto alla giurisdizione militare o - addirittura - non soggetto ad essa, per il quale sia previsto l'arresto o la cattura su mandato oppure su ordine dell'autorità giudiziaria, é davvero estremamente lata. Non si ritrova la previsione di una qualche informativa all'autorità giudiziaria, né si ritrova la fissazione di termini massimi alla durata delle restrizioni. Talmente generalizzate sono, dunque, le carenze previsionali da precludere ogni possibilità di colmare i vuoti in via di sola interpretazione.

La declaratoria d’illegittimità, che colpisce, anzitutto, la parte dell'art. 309 più direttamente investita dalla censura, non può, altresì, non coinvolgere, per lo stretto collegamento razionale e funzionale dianzi rimarcato, la prima parte dello stesso articolo, il quale rimane così travolto nella sua interezza.

4. - Le conseguenze sono ovvie: a disciplinare l'"arresto fuori dei casi di flagranza" nei confronti dei militari in servizio alle armi potranno subentrare - nell'attesa di un intervento legislativo, soprattutto ipotizzabile in sede di sempre più auspicata riforma del codice penale militare di pace - le vigenti disposizioni del diritto processuale penale ordinario, com'é logico che sia, quando si tratta di reati non soggetti alla giurisdizione militare, e come discende automaticamente dall'art. 261 cod. pen. mil. di pace, quando si tratta di reati soggetti alla giurisdizione militare ("Salvo che la legge disponga altrimenti, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti ai tribunali militari").

Ciò significa, essenzialmente, applicabilità del fermo di polizia anche ai militari in servizio, secondo le prescrizioni attualmente contemplate dal più volte novellato art. 238 e dall'art. 238-bis cod. proc. pen.: prescrizioni assai più limitative dei poteri della polizia giudiziaria e, quindi, ben più garantistiche di quelle che, in vigore all'epoca dell'apprestamento del codice penale militare di pace, avevano contribuito in modo decisivo a far optare per la deroga di cui all'art. 309 cod. pen. mil. di pace.

Del resto, già nel 1976, proprio in considerazione della diversa fisionomia assunta dal fermo di polizia, un progetto di riforma del codice penale militare di pace, elaborato dall'Ufficio studi della Procura Generale Militare, aveva proposto, in uno con l'eliminazione del potere del comandante di adottare misure precauzionali, l'esclusione del divieto di fermo nei confronti dei militari in servizio. Soluzione perfettamente in linea con quanto era stato affermato da questa Corte in un'occasione di poco precedente: "la carcerazione preventiva, che é giustificata da esigenze eminentemente processuali, non si atteggia in modo diverso, quanto alla sua funzione e alla sua finalità, nel rito ordinario e nel rito militare" (sent. n. 68 del 1974).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 309 del codice penale militare di pace.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1985.

Leopoldo ELIA - Giovanni CONSO

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1985.