Sentenza n.68 del 1985

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 68

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 66, p.p., r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 (Legge tributaria sulle successioni) e 12, comma primo, primo inciso, d.l.lgt. 8 marzo 1945, n. 90 (Modificazione delle imposte sulle successioni) promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1979 dalla Corte d'Appello di Roma nel procedimento civile vertente tra l'Amministrazione delle finanze dello Stato e Mirmina Giuseppe ed altri, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 1980.

Visto l'atto d' intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 settembre 1984 il Giudice relatore Aldo Corasaniti.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 26 maggio 1979, la Corte d'Appello di Roma - nel corso del procedimento civile d'appello, promosso dall'Amministrazione finanziaria dello Stato avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato Giuseppe Mirmina tenuto al pagamento dell'imposta di successione pro quota e non solidalmente con altri coeredi ai quali l'avviso di accertamento non era stato notificato - ha sollevato d'ufficio, in riferimento all'art. 53 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 66 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 (Legge tributaria sulle successioni) e 12, comma primo, del d.l.lgt. 8 marzo 1945, n. 90 (Modificazione delle imposte sulle successioni), in quanto prevedono la solidarietà sostanziale tra coeredi per il pagamento dell'imposta di successione.

La Corte ha premesso di non condividere l'orientamento giurisprudenziale, ormai attestato nel senso della validità dell'accertamento tributario nei confronti del solo debitore cui esso sia stato notificato, debitore il quale avrebbe azione di regresso nei confronti degli altri condebitori cui potrebbe rendere opponibile l'accertamento stesso con i mezzi offerti dal diritto comune; tanto in considerazione delle conseguenze cui tale orientamento, in via alternativa, conduce, dovendosi ritenere o che al solvens non possa essere opposta alcuna eccezione relativa al rapporto tra condebitori e amministrazione (con il che risorgerebbe la "solidarietà processuale" già dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 48 del 1968) ovvero che i condebitori possano opporre al solvens le eccezioni relative al rapporto d'imposta (e in tal modo il solvens resterebbe esposto a sopportare da solo l'intero carico tributario).

Precisato poi che "questo collegio é dell’opinione che, nel rapporto dipendente di regresso, gli altri coeredi non possano sollevare eccezioni relative al rapporto principale fra coerede che ha pagato e fisco", la Corte del merito ha ritenuto che "prima della questione di costituzionalità emergente da tale conclusione se ne ponga un'altra più generale e assorbente, dovendosi dubitare che sia conforme alla Costituzione la stessa solidarietà sostanziale fra coeredi".

Al riguardo la Corte - dopo aver rilevato che, per il disposto di cui all'art. 1299 cod. civ. (secondo cui se un condebitore é insolvente la perdita si ripartisce tra gli altri), la previsione normativa della solidarietà fra coeredi "comprende il caso che il coerede debba sopportare in definitiva un carico tributario superiore alla capacità contributiva espressa dalla sua quota ereditaria" - ha osservato che, anche qualora in concreto il regresso possa avere esito positivo, il coerede sarebbe comunque esposto ad anticipare una somma eccedente la detta capacità contributiva: in entrambi i suddetti casi in violazione dell'art. 53 Cost..

Va invero considerato, in primo luogo, che, a voler ritenere, in adesione al prevalente orientamento, che il coerede sia tenuto al pagamento dell'intero tributo successorio per il debito proprio e non altrui, occorrerebbe, per evitare il dubbio di legittimità costituzionale, configurare la partecipazione al presupposto d'imposta in termini tali che essa possa manifestare una capacità contributiva che giustifichi il pagamento dell'intero tributo da parte di uno dei due soggetti, sicché possa individuarsi un'unica causa obligationis per l'intera prestazione a carico di ciascuno dei debitori (es. imposta di registro). Ma nel caso del coerede l'unica manifestazione di ricchezza a lui riferibile é data dalla quota ereditaria, che é la sola espressione della sua capacità contributiva.

In secondo luogo, la Corte ha rilevato che - anche a voler aderire a quell'orientamento secondo il quale il coerede andrebbe visto come responsabile d'imposta per le parti del tributo successorio eccedenti la propria quota e riferibili alle quote degli altri coeredi - la dedotta incostituzionalità permarrebbe, in quanto, da una parte, il solvens non é garantito nel recupero presso i coeredi della quantità d'imposta a lui non riferibile, dall'altra neppure sussiste un'autonoma causa giuridica la quale giustifichi che il pagamento rimanga a carico del solvens (terzo rispetto al rapporto tra Amministrazione finanziaria e altro coerede per la parte di quota ereditaria a questo riferibile); autonoma causa, che non può certo individuarsi nella semplice circostanza della successione di più persone al medesimo de cuius, ma che richiederebbe la sussistenza di un rapporto d'imposta considerato dalla legge come unitario in riferimento ad una pluralità di soggetti.

Nel giudizio di legittimità costituzionale non vi é stata costituzione di parte.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Al riguardo - dopo aver rilevato (oltre che l'infondatezza) l'irrilevanza nel giudizio a quo di ogni questione attinente all'azione di regresso del coerede nei confronti degli altri coeredi, dalla quale la stessa ordinanza di rimessione sembra prescindere - l'interventore ha, tra l'altro, osservato, in primo luogo, che l'azione di regresso é da considerare strumento adeguato ad assicurare la ripartizione del carico tributario tra coeredi, particolarmente ove si consideri che il solvens subentra nella posizione dell'Amministrazione finanziaria e può fruire di una speciale procedura d'urgenza per conseguire il rimborso di quanto pagato (art. 69 r.d. n. 3270 del 1923).

In secondo luogo, ha evidenziato che il rischio dell'altrui insolvenza é riscontrabile nel "regresso" in genere ed é comunque correlabile ai commoda hereditatis, cui l'interessato potrebbe rinunciare, così sottraendosi agli eventuali incommoda o nel limite dei quali potrebbe contenere il suo debito accettando col beneficio d'inventario (art. 70, r.d. n. 3270 del 1923).

In ogni caso, la solidarietà del debito tributario successorio appare - secondo l'interventore - giustificata dalle peculiarità del fenomeno che ne é il presupposto, costituito dal trapasso di un patrimonio, unitariamente considerato, in dipendenza del venir meno del titolare, ad altro soggetto.

 

Considerato in diritto

 

1. - Oggetto dell'ordinanza in epigrafe é la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 53, comma primo, Cost., della solidarietà passiva tributaria fra coeredi stabilita, in ordine all'imposta di successione, dagli artt. 66 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 (Legge tributaria sulle successioni) e 12, comma primo, del d.l.lgt. 8 marzo 1945, n. 90 (Modificazione delle imposte sulle successioni).

Di tale questione occorre dunque occuparsi, e non anche di quella, soltanto adombrata dall'ordinanza, ma non posta - e ciò in relazione al ravvisato carattere assorbente della prima - della legittimità della normativa secondo la quale, in caso di regresso, gli altri coeredi non potrebbero opporre eccezioni relative al rapporto fra il coerede che ha pagato e il fisco.

Fulcro della questione come sollevata é la considerazione che il coerede é esposto, a causa della cennata solidarietà, a "sopportare un carico tributario eccedente la capacità contributiva espressa dalla sua quota ereditaria". Ciò avverrebbe in ogni caso in via provvisoria, essendo il singolo coerede tenuto ad anticipare l'intero ammontare del tributo; ma anche in via definitiva, qualora si verificasse l'ipotesi di cui all'art. 1299, comma secondo, c.c., ipotesi nella quale, se un condebitore é insolvente, la perdita si ripartisce fra gli altri, "compreso quello che ha fatto il pagamento".

Orbene - secondo il giudice a quo - l'eccedenza suindicata non sarebbe giustificata né se essa venga riferita a un debito proprio del coerede (non varrebbero le ragioni svolte dalla sentenza di questa Corte n. 174 del 1975, per essere le medesime riferibili alla sola imposta sul valore globale, e comunque inidonee a estendere una capacità contributiva, che lo stesso d.l.lgt. 8 marzo 1945, n. 90, all'art. 8, ripartendo il debito in proporzione "al valore" delle rispettive quote ereditarie, mostra di ritenere contenuta nei limiti della quota ereditaria), né se essa sia riferita a una responsabilità per debito altrui (quello degli altri coeredi).

2. - La questione non é fondata.

Anzitutto la solidarietà o la parziarietà del debito fra più debitori (coeredi o no) é modo di essere strutturale che ricorre alternativamente per ogni debito a seconda della scelta del legislatore, senza essere per nulla in necessaria connessione col fatto che un debito nasca da un'imposizione tributaria (é noto del resto che nel nostro diritto l'origine non incide sulla struttura del debito d'imposta, che, da tale punto di vista, é un'obbligazione come le altre). Pertanto la scelta del legislatore fra l'una e l'altra soluzione - scelta suscettiva di essere influenzata dalla valutazione di ogni elemento, salvo il sindacato di razionalità ex art. 3, comma primo, Cost. - mentre é soggetta a tale sindacato anche se chiesto con riferimento al raffronto fra i più debitori, é almeno dubbio che possa essere materia di controllo dell'osservanza dell'art. 53, comma primo, Cost.: precetto volto ad esigere la giustificatezza dell'imposizione del tributo a dati soggetti fra tutti gli altri, in relazione al collegamento dei primi col presupposto d'imposta.

3. - Ad ogni modo, a voler esaminare il problema dall'angolo visuale dell'art. 53 Cost., occorre partire dal rilievo che l'ordinanza di rimessione, ampiamente argomentata, fa consistere l'illegittimità della solidarietà passiva in parola, da ciò, che essa esporrebbe il coerede a sopportare un carico tributario eccedente il valore (o una frazione del valore) della quota (o porzione) ereditaria: quota ereditaria che sarebbe espressiva della capacità contributiva anche secondo l'art. 8 del d.l.lgt. n. 90 del 1945.

In primo luogo non persuade il richiamo al disposto dell'art. 8 del d.l.lgt. n. 90 del 1945 - concernente il criterio del riparto fra coeredi del debito d'imposta e pertanto i rapporti fra coeredi e non già i rapporti fra singolo coerede e fisco - il quale richiamo (e in tal modo il riferimento a una frazione del valore della quota ereditaria pari alla quota di riparto) dà per dimostrato ciò che va dimostrato: che l'obbligazione d'imposta del coerede deve essere parziaria e non solidale. Ma quello che conta é che il presupposto, da cui muove e su cui si regge l'ordinanza - che, cioé, la capacità contributiva, relativamente all'imposta di successione, sia misurata dal valore dei beni oggetto della trasmissione mortis causa - non é condivisibile.

In realtà il detto presupposto può essere ricollegato all'originaria concezione dei tributi imposti in relazione alla successione come tributi su trasferimenti di ricchezza nell'ambito dell'istituto del registro. Orbene a parte il problema se il presupposto medesimo sia senz'altro accettabile in relazione a quella concezione, certo esso non lo é nel sistema in cui si colloca la norma impugnata. In tale sistema, infatti, l'imposizione inerente alla successione per un verso, a causa dell'introduzione di aliquote progressive per le imposte relative alle singole attribuzioni ereditarie e a causa dell'istituzione dell'imposta anche essa progressiva, sull'asse globale ereditario netto, ha acquistato un diretto collegamento col patrimonio ereditario unitariamente considerato; per altro verso essa trova la sua giustificazione nel fenomeno stesso dell'eredità come successione di un soggetto, o - come nel caso - di più soggetti, a un altro, indipendentemente dai trasferimenti di ricchezza che il fenomeno importa e dalla loro consistenza. Il che risulta ulteriormente da ciò, che l'imposta é dovuta in relazione alla sola apertura della successione, vale a dire che essa grava sul chiamato all'eredità a prescindere dall'avvenuta accettazione (e quindi dalla trasmissione e dall'acquisto effettivi dei beni ereditari).

A confermare l'univocità della registrata linea di tendenza - che rientra del resto in quella più ampia del nostro diritto tributario a riferire ogni tributo concernente fenomeni successori all'eredità come tale - vale l'accentuazione di essa ad opera della normativa sopravvenuta (legge 9 ottobre 1971, n. 825 e d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637), secondo la quale le due imposte sono unificate, e il tributo che ne risulta, contrassegnato com'é dalla previsione di un'aliquota progressiva il cui imponibile é costituito dall'asse ereditario netto, mostra evidente la natura di prelievo sul patrimonio ereditario.

Conseguentemente (mentre, nonostante la contraria opinione dell'ordinanza di rimessione, non appaiono estranee all'oggetto della questione le considerazioni contenute nella sentenza di questa Corte n. 174 del 1975) deve ritenersi che - già nel sistema in cui si colloca la normativa applicabile - la capacità contributiva ai fini dell'imposta di successione va valutata, non già alla stregua di quella in ipotesi rivelata da un trasferimento di ricchezza o dai singoli trasferimenti di ricchezza in esso ricompresi, ma secondo criteri diversi e di maggiore ampiezza.

4. - Comunque non é inopportuno notare che gli inconvenienti dall'ordinanza indicati quale sintomo d’illegittimità costituzionale sono notevolmente ridimensionati da rimedi e temperamenti rinvenibili nel sistema risultante e dalla normativa comune in tema di solidarietà passiva e dalla normativa introdotta col r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, cui appartiene la norma impugnata.

Al riguardo non é priva di valore, anzitutto, la stessa previsione del diritto di regresso del coerede che ha pagato verso gli altri coeredi (l'art. 1299 c.c.; lo stesso art. 66 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270).

Anche se da sola tale previsione, come segnala l'ordinanza di rimessione, non offre esaustiva copertura a chi ha pagato, va pur tenuto conto dei comuni strumenti di tutela cautelare dati a garanzia del diritto stesso anche in ordine alla quota ereditaria o ai beni ereditari di spettanza del debitore in via di regresso, sicché la solidarietà passiva finisce con lo svolgere un ruolo di mero meccanismo di anticipazione. Ruolo che nel campo tributario trova riscontro in una diffusa strutturazione - in sé non ritenuta illegittima da questa Corte in riferimento all'art. 53 Cost. (sentenze nn. 77 e 103 del 1967 e 200 del 1976) - diretta ad ammettere prelievi tributari in relazione a situazioni incerte, (purché sulla base di ragionevoli presunzioni e) salvi i rimedi restitutori in caso di esiti di accertamento non conformi alle presunzioni.

Ma non meno rilevante, sotto l'aspetto specificamente considerato, é la previsione del contenimento del debito d'imposta, per il coerede, entro i limiti del valore dei beni corrispondenti alla quota ereditaria, sol che egli accetti col beneficio d'inventario (art. 70 r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270): rimedio, quest'ultimo, idoneo a prevenire, su iniziativa del coerede, la temuta eccedenza di una sua esposizione tributaria almeno al di là del valore della quota ereditaria.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 66, p.p., r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270 e 12, comma primo, inciso primo, d.l.lgt. 8 marzo 1945, n. 90, sollevata in riferimento all'art. 53, comma primo, Cost. dalla Corte d'appello di Roma con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 1985.

Leopoldo ELIA - Aldo CORASANITI

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1985.