SENTENZA N. 224
ANNO 1984
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Leopoldo ELIA, Presidente
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv Albero MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 63 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 22 settembre 1980 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Capponi Attilio, iscritta al n. 348 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 276 dell'anno 1981.
Visti gli atti di costituzione di Capponi Attilio;
udito nell'udienza pubblica del 13 marzo 1984 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;
udito l'avv. Luigi Speranza per Capponi Attilio.
Ritenuto in fatto
In un giudizio promosso da Attilio Capponi, carabiniere posto in congedo il 24 ottobre 1949, per far valere, contro il diniego opposto dal Ministero della Difesa, il diritto al conseguimento della pensione normale sulla base di una durata del servizio complessivo abbreviata - diritto riconosciuto ai militari cessati "dal servizio permanente o continuativo per invalidità contratta a causa di guerra o per avere conseguito trattamento pensionistico di guerra" dall'art. 63 del Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (disposizione retroattiva a termini dell'art. 257 dello stesso decreto) - la Corte dei conti, con ordinanza del 22 settembre 1980, ha sollevato, su iniziative dell'istante e del Procuratore generale presso la Corte medesima, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., del detto art. 63.
La Corte dei conti, premesso:
che al Capponi, pur cessato dal servizio con l'attribuzione del trattamento pensionistico di guerra, non spettava il reclamato beneficio, perché, al momento della cessazione, egli rivestiva lo status di militare "trattenuto" e non già, come previsto dall'impugnato art. 63, lo status di militare in posizione di "servizio continuativo": posizione di stabilità quest'ultima - istituita dalla legge 18 ottobre 1961, n. 1168 per il militare di truppa e per il vicebrigadiere dell'Arma dei carabinieri - in relazione alla quale egli non aveva comunque maturato il requisito prescritto per il militare di truppa (ammissione alla terza rafferma dopo il compimento di altre due);
che il Capponi aveva eccepito l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., del suddetto art. 63 del decreto n. 1092 del 1973 nella parte in cui non equipara, ai fini ora indicati, la posizione di "trattenuto alle armi" a quella di "servizio permanente o continuativo";
che il Procuratore generale presso essa Corte dei conti aveva a sua volta eccepito l'illegittimità costituzionale, in riferimento allo stesso parametro, dell'art. 14, legge n. 1168 del 1961 e dell'art. 63 Testo unico del 1973 suindicato nella parte in cui escludono dal beneficio in argomento il militare di truppa dell'Arma dei carabinieri cessato dal servizio (per invalidità contratta a causa di guerra o per aver conseguito il trattamento pensionistico di guerra) prima dell'ammissione alla terza rafferma, e ciò sulla considerazione che l'art. 44 della legge n. 1168 del 1961 richiede per il vicebrigadiere, ai fini del conseguimento della posizione di servizio continuativo, il compimento di una sola rafferma;
che la questione era sollevata, condividendosi la prospettazione del Procuratore generale anziché quella del ricorrente, in quanto non si scorgeva "razionale giustificazione nell'adozione da parte del legislatore del diverso trattamento normativo sul minimo di servizio per il passaggio in carriera continuativa, in caso di militari cessati dal servizio per invalidità contratta a causa di guerra, a seconda che trattasi di militare ovvero di vicebrigadiere";
ha formulato conclusivamente il sospetto che il detto art. 63 del Testo unico del 1973 sia in contrasto con l'art. 3 Cost. "per la parte escludente dal diritto alla pensione normale i militari di truppa dell'Arma dei carabinieri cessati dal servizio per invalidità contratta a causa di guerra o per avere conseguito trattamento pensionistico dopo ultimata la prima rafferma, per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai vicebrigadicri della stessa Arma, cui compete il diritto alla pensione anzidetta nella sopra accennata situazione".
Si é costituito davanti a questa Corte il Capponi, il quale ha anche presentato memoria.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza di rimessione si mette in dubbio la legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., della disposizione - art. 63 del Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 - attributiva, ai militari cessati dal servizio permanente o continuativo (per invalidità contratta per causa di guerra o) per avere conseguito il trattamento pensionistico di guerra, del beneficio della maturazione del diritto alla pensione normale col compimento di una durata del servizio complessivo abbreviata rispetto a quella richiesta per gli altri militari cessati dal servizio permanente o continuativo dall'art. 52, comma primo, durata quest'ultima a sua volta minore di quella richiesta dall'art. 52, comma quarto del detto Testo unico per i militari cessati dal servizio non permanente né continuativo.
Sul presupposto:
che il beneficio non spettava all'istante, perché questi, carabiniere già in rafferma, pur essendo cessato dal servizio perché pensionato di guerra, non versava, al momento della cessazione, nella posizione di servizio continuativo - la sola posizione di stabilità accessibile ai militari di truppa e al vicebrigadiere dell'Arma dei carabinieri in rafferma secondo la normativa sul relativo stato giuridico 18 ottobre 1961, n. 1168 - né versava nelle condizioni richieste dalla detta normativa per conseguirla, ma versava nella posizione di "trattenuto";
che, in particolare, mancava all'istante, al momento suindicato, il requisito inerente al servizio in rafferma (compimento di almeno due rafferme con ammissione alla terza) prescritto dalla detta normativa (art. 24 e, in sede di prima applicazione, art. 49) per il militare di truppa, requisito più rigoroso di quello (compimento di almeno una rafferma con ammissione alla seconda) prescritto dalla normativa stessa (art. 44 e, in sede di prima applicazione, art. 49) per il vicebrigadiere, che l'istante, invece, possedeva;
il giudice a quo ha ipotizzato il denunziato vizio di illegittimità della disposizione impugnata (art. 63 del decreto n. 1092 del 1973), per la parte in cui questa non prevede il beneficio in argomento, per il militare di truppa dell'Arma dei carabinieri pensionato di guerra, alle più favorevoli (anzi meno limitative) condizioni richieste - ai fini del conseguimento della posizione di servizio continuativo, e, di riflesso, ai fini dell'attribuzione del beneficio - al vicebrigadiere, così realizzando un'ingiustificata disparità di trattamento della prima rispetto alla seconda categoria di militari.
2. - La disposizone impugnata é sospettata di illegittimità non perché attribuisce il beneficio soltanto ai pensionati di guerra che al momento della cessazione dal servizio fossero in posizione di servizio (permanente o) continuativo ponendosi come eccezione rispetto all'art. 52, comma primo, anziché rispetto all'art. 52, comma quarto, della legge. Non é contestata, cioé, perché recepisce e rende rilevante ai fini della pensione il contenuto della normativa sullo stato del militare di truppa e del vicebrigadiere recata dalla legge n. 1168 del 1961, e particolarmente la posizione di servizio continuativo - o i requisiti per conseguirla - secondo la previsione della detta normativa.
É contestata, invece, perché recepisce e rende rilevante ai fini della pensione il contenuto della detta normativa anche nel punto in cui questa prescrive, per il conseguimento di tale posizione, requisiti diversi (relativamente alla durata del servizio in rafferma) per le categorie considerate. Posto che la sperequazione é denunciata non come regola sullo status e sulla cariera, ma perché divenuta, attraverso il recepimento da parte della disposizione impugnata, regola sulla pensione, è solo il risultato sperequativo sul terreno della pensione del recepimento come sopra operato, che si vuole eliminare.
E tuttavia lo si vuole eliminare non già sopprimendo il recepimento, bensì limitandone la portata, sempre ai fini della pensione, alla parte riguardante il trattamento riservato al vicebrigadicre ed estendendo tale trattamento più favorevole (anzi meno limitativo) al militare di truppa. Il che val quanto dire che si propone a questa Corte una sentenza additiva.
3. - Ma la Corte non ritiene che la postulata tecnica additiva sia sperimentabile nel caso concreto. E ciò perché essa, qualunque sia l'aspetto sotto il quale la sua incidenza sulla situazione normativa preesistente può essere riguardata, si discosta sensibilmente dal modello di "soluzione obbligata", al quale ogni intervento perequativo del genere ad opera della Corte stessa deve adeguarsi per non invadere né comprimere la discrezionalità legislativa.
Anzitutto la detta tecnica dovrebbe operare sul tronco di una disposizione a carattere speciale, attributiva di un beneficio pensionistico alla categoria dei militari cessati dal servizio perché invalidi di guerra o perché pensionati di guerra, e, nell'ambito di questa, a una certa sottocategoria (pensionati di guerra che fossero in posizione di servizio continuativo, o nelle condizioni richieste per conseguirla, al momento della cessazione dal servizio), sottocategoria delimitata attraverso un criterio di individuazione mutuato dalla disciplina sullo status, nell'ambito della quale esso costituisce congegno anche selettivo di progressione in carriera. E ciò allo scopo di rettificare una conseguenza dell'adozione del cennato criterio di individuazione - la mancata attribuzione del beneficio al militare di truppa che pur presenti il più favorevole (anzi il meno limitativo) requisito prescritto, ai fini del conseguimento della posizione di servizio continuativo e, di riflesso, ai fini dell'attribuzione del beneficio, per il vicebrigadiere - ma senza elidere il criterio di individuazione.
La contraddittorietà insita in un intervento diretto a modificare l'esito di un procedimento qualificativo pur conservando il procedimento stesso é sintomo dell'alto tasso manipolativo del modus operandi proposto. Questo, da un lato, é teso a raggiungere un certo risultato prescindendo dalla effettiva considerazione della logica secondo la quale il legislatore si muove - effettiva considerazione che invece deve guidare ogni intervento perequativo - dall'altro, e correlativamente, finisce per precludere la scelta da parte del legislatore di altri mezzi egualmente idonei ad eliminare la disparità: quale, ad esempio, la sostituzione dell'adottato criterio di ulteriore individuazione dei beneficiari fra i pensionati di guerra, o addirittura l'esclusione di ogni criterio di ulteriore individuazione fra i detti pensionati, con raccordo diretto in entrambe le ipotesi (o almeno nella seconda) della disposizione attributiva all'art. 52, n. 4, piuttosto che all'art. 52, n. 1 del decreto in argomento.
Sotto altro aspetto, non può sfuggire che il risultato avuto di mira lascerebbe sopravvivere la denunciata disparità di trattamento fra le due categorie di militari nell'ambito e agli effetti dell'art. 52, comma primo del decreto n. 1092 del 1973, vale a dire della disciplina concernente il conseguimento della pensione normale da parte dei militari (non pensionati di guerra) che al momento della cessazione dal servizio versavano nella posizione di servizio (permanente o) continuativo ovvero nelle condizioni per conseguirla. Ed anzi darebbe luogo a una ulteriore differenziazione di trattamento, per essere la disparità eliminata rispetto a una delle due disposizioni e non anche rispetto all'altra.
Orbene non é proponibile in questa sede un intervento perequativo, che, nell'elidere una disarmonia dal sistema normativo cui si riferisce, ne lasci indenni altre analoghe e in tal modo anzi ne determini di nuove, ancor più gravi se la disposizione viziata é, come nella nostra ipotesi, di portata più generale di quella sanata. Anche sotto tale aspetto, e specialmente in riferimento all'ultima ipotesi, ne rimarrebbe comunque preclusa l'adozione da parte del legislatore - previo più esteso intervento ablativo di questa Corte - di un riassetto dell'intero sistema risultante dall'art. 52, comma primo, dall'art. 52, comma quarto e dal detto art. 63, che fosse immune dai vizi ora indicati.
Le esposte considerazioni importano l'inammissibilità della questione, inammissibilità che non può essere superata adducendo quali precedenti, come fa la difesa di parte privata, le sentenze di questa Corte n. 255 del 1982, n. 40 del 1973, n. 144 del 1971, relative ad ipotesi nelle quali l'additiva, estendendo una regola a una fattispecie ingiustificatamente sottratta alla sua disciplina, chiudeva, secondo la logica del sistema, e senza conseguenze negative, il cerchio che l'ingiustificata deviazione aveva aperto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 63 del Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 - "per la parte escludente dal diritto alla pensione normale i militari di truppa dell'Arma dei carabinieri cessati dal servizio per invalidità contratta a causa di guerra o per avere conseguito trattamento pensionistico dopo ultimata la prima rafferma, per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai vicebrigadieri della stessa Arma, cui compete il diritto alla pensione anzidetta nella sopra accennata situazione" - sollevata dalla Corte dei conti con l'ordinanza del 22 settembre 1980, di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.
Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI
Depositata in cancelleria il 25 luglio 1984.