Sentenza n 218 del 1984

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SENTENZA N. 218

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma terzo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (t.u. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 31 marzo 1976 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Cuonzo Lorenzo, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 dell'anno 1978;

2) ordinanza emessa il 19 gennaio 1982 dal TAR per la Lombardia sul ricorso proposto da Orlando Camillo contro Presidente del Consiglio dei ministri ed altro, iscritta al n. 184 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 dell'anno 1982;

3) ordinanza emessa il 18 giugno 1982 dal TAR per la Lombardia sul ricorso proposto da Porqueddu Giuseppe contro Presidente del Consiglio dei ministri ed altro, iscritta al n. 709 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 dell'anno 1983.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 novembre 1983 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza in data 31 marzo 1976, la Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale per le pensioni civili, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma terzo, del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui, nel prevedere la possibilità di riscatto, agli effetti del trattamento di quiescenza, dei periodi di iscrizione ad albi professionali, se richiesti come condizione necessaria per l'ammissione in servizio, e dei periodi di pratica necessari per il conseguimento dell'abilitazione professionale, determina il relativo contributo, anziché nella misura del 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio, in quella del 18 per cento dell'intero stipendio. Nella motivazione del provvedimento, la Corte dei conti rappresenta anche la possibilità, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, di una eventuale declaratoria di illegittimità conseguenziale di un'altra disposizione del testo unico n. 1092 del 1973, ossia dell'art. 260, "nella parte in cui prevede, in via transitoria, la stessa aliquota del 18 per cento dello stipendio per il riscatto dei periodi di iscrizione agli albi professionali da parte del dipendente già cessato dal servizio alla data di entrata in vigore del testo unico medesimo".

La questione é stata sollevata, in riferimento all'art 3 della Costituzione, nel corso di un giudizio vertente fra il dott. Lorenzo Cuonzo (primo referendario del Consiglio di Stato e già aggiunto procuratore dello Stato di seconda classe) e la Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla richiesta (avanzata dal primo e respinta dalla seconda) di riscatto, ai fini della pensione, del periodo di durata della pratica legale compiuta a suo tempo (dal 10 gennaio al 31 ottobre 1948) dal dott. Cuonzo, e necessaria per l'ammissione al concorso, cui aveva partecipato, per aggiunto procuratore dello Stato di seconda classe.

Nel ricorso (presentato il 29 settembre 1969) il dott. Cuonzo fondava la sua doglianza sulla norma dell'art. 7 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, che, a suo avviso, consentendo il riscatto dei periodi di studi universitari e di corsi di perfezionamento, anche se non contemplava espressamente i periodi di pratica professionale, avrebbe dovuto ritenersi estensibile a questi (come del resto la stessa Corte dei conti, in una decisione del 1967, aveva riconosciuto) quando, come nel caso, al pari degli studi universitari, anche la pratica professionale costituisse titolo inderogabile per l'ingresso in carriera. In via subordinata, tuttavia, nell'ipotesi in cui l'art. 7 della legge n. 46 del 1958, non fosse stato più ritenuto interpretabile in tal senso, il ricorrente deduceva la illegittimità costituzionale dello stesso art. 7, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, non giustificandosi a suo avviso la disparità di trattamento cui la norma in questione, ammettendo il riscatto per i corsi di specializzazione, e negandolo, invece, riguardo alla pratica professionale, avrebbe dato luogo.

Secondo il Procuratore generale, invece, la prospettata interpretazione estensiva dell'art. 7 della legge n. 46 del 1958, disattesa ormai dalla giurisprudenza della Corte dei conti successiva alla su citata decisione, non poteva essere condivisa. A sua volta, la eccezione di illegittimità costituzionale avrebbe dovuto essere dichiarata manifestamente infondata.

Nell'ulteriore corso del giudizio, essendo stato emanato nel frattempo il citato testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, la difesa del ricorrente, dopo avere in un primo tempo sostenuto - in contrasto col Procuratore generale - che la norma dettata in materia dall'art. 13, comma terzo (con la quale i periodi di iscrizione ad albi professionali richiesti per l'ammissione in servizio sono stati riconosciuti riscattabili), data la maggior misura del contributo (18 per cento dell'intero stipendio) da essa fissata, non sarebbe stata nel caso applicabile, abbandonava successivamente questa tesi, riconoscendo che la controversia doveva risolversi alla stregua, appunto, della disposizione sopravvenuta; ma sollevava, tuttavia, nei confronti della medesima, nella parte relativa alla misura del contributo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale. Questione che la Corte dei conti, con la su ricordata ordinanza, dichiarava, oltre che rilevante ai fini del decidere, non manifestamente infondata, ordinando la trasmissione degli atti a questa Corte.

In punto di rilevanza, nella motivazione del provvedimento di rimessione si osserva che l'applicazione, nel caso, in via retroattiva, dell'art. 13, comma terzo, del testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973 - applicazione conseguente (una volta abrogato l'art. 7 della legge n. 46 del 1958 dall'art. 254 dello stesso testo unico) alla disposizione transitoria dettata, per i casi in corso di trattazione, dall'art. 256 comma primo - comporterebbe senz'altro (considerato che a norma dell'art. 32 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, la pratica necessaria per conseguire l'abilitazione professionale era, per il dott. Cuonzo, condizione necessaria per l'ammissione al menzionato concorso per aggiunto procuratore dello Stato di seconda classe) l'accoglimento della istanza di riscatto, da lui presentata, del periodo relativo. Tale accoglimento, tuttavia - prosegue il giudice a quo - dato il notevolissimo onere del contributo del 18 per cento, rispetto al 6 per cento fissato dall'art. 7 della legge n. 46 del 1958, al quale l'interessato aveva inizialmente fatto richiamo, non sarebbe integrale. Lo sarebbe, invece - e in ciò la rilevanza della questione - ove della nuova norma fosse dichiarata, in parte qua, la illegittimità costituzionale.

Sotto l'aspetto della non manifesta infondatezza, la Corte dei conti osserva che dall'esame del testo unico n. 1092 del 1973, come da quello di tutta la normativa previgente, accanto ad alcune previsioni che in via d'eccezione riducono o aumentano la misura del contributo in considerazione di circostanze particolari, si desume l'esistenza di una previsione normale che, per tutti i riscatti, stabilisce un contributo pari al 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio massimo pensionabile. Dalle fondamentali norme contenute nell'art. 9 del d. lgs. C.p.S. 7 aprile 1948, n. 262 e nell'art. 2 del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, é, inoltre, agevole cogliere anche una equiparazione sempre mantenuta tra la misura del contributo di riscatto e quella della "ritenuta in conto entrate del Tesoro", applicata sugli stipendi del personale di ruolo. Equiparazione riaffermata, del resto, in un progetto di legge in corso di approvazione (divenuto poi legge 29 aprile 1976, n. 177) nel quale, salve le "diverse misure" previste per i casi particolari, l'aliquota normale viene egualmente elevata (dal 6 al 7 per cento) sia per la ritenuta in conto entrate Tesoro (art. 13) sia per il contributo di riscatto (art. 14).

Nel fissare il contributo di riscatto al 18 per cento dello stipendio, "corrispondente al 21, 6 per cento della comune base pensionabile", la norma impugnata si discosta nettamente da queste regole. E benché non si possa negare che il legislatore é pienamente libero di stabilire le aliquote di contribuzione ed i casi eccezionali che meritino particolari trattamenti di favore o di sfavore riguardo alla misura del contributo normale, é anche indispensabile che, per evitare disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 della Costituzione, ogni eccezione abbia una congrua base di giustificazione logica e giuridica. Il che non sembra ricorra nel caso in questione. In una sola altra ipotesi, infatti, il contributo appare fissato, nel testo unico n. 1092 del 1973, nella misura del 18 per cento dello stipendio, ed é quella, concernente i "servizi di ruolo prestati alle dipendenze delle assemblee legislative o di enti pubblici... sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato", prevista in via transitoria dall'art. 261. Ma mentre per questa ipotesi, nella quale (come emerge nel secondo comma dell'articolo) si riconosce ai destinatari della norma il beneficio della "doppia pensionabilità" dello stesso periodo riscattato, una misura così elevata di contributo, date le particolarità di quelle situazioni, può senz'altro ritenersi giustificata, non altrettanto potrebbe dirsi, secondo il giudice a quo, per i periodi di praticantato professionale richiesti per l'ammissione in carriera, oggetto della disposizione impugnata, e che con i suddetti servizi non hanno nulla di comune.

Al tempo stesso nulla sembra dare ragione della differenziazione, che con la determinazione del contributo di riscatto del praticantato professionale al 18 per cento dello stipendio, per effetto dell'art. 13, comma terzo, del testo unico n. 1092 del 1973, si determina fra questa e le altre situazioni (segnatamente quelle dei periodi di corsi di specializzazione post-universitari), a cui invece si applica la regola del 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio, vano al riguardo risultando, secondo il giudice a quo, il richiamo alla distinzione fra "periodi di tempo" e "servizi", ed a quella fra "acquisizioni teoriche" e "acquisizioni pratiche", o alla misura più elevata delle retribuzioni di alcuni (e non del resto tutti) dei destinatari della norma (magistrati, dirigenti generali, professori universitari), tenuto conto, fra l'altro, che mai il contributo di riscatto é stato concepito come un'imposta di carattere progressivo, come alla circostanza che, durante il periodo di iscrizione all'albo professionale, l'interessato abbia potuto conseguire un certo lucro.

Sembra chiaro, invece, che la norma impugnata, là dove, ammettendo la possibilità del riscatto dei periodi d'iscrizione ad un albo professionale, impone poi, senza concedere alcuna contropartita, un onere di contribuzione talmente gravoso, da rendere spesso inoperante il previsto beneficio, viene a frustrare in pratica la essenziale finalità di questi riscatti, in quanto diretti a mettere sul piano della uguaglianza, ai fini del conseguimento dei diritti di quiescenza e delle relative anzianità, tutti gli impiegati che siano entrati in servizio con un ritardo più o meno sensibile a causa della richiesta preparazione professionale.

2. - Notificata, comunicata, e pubblicata l'ordinanza di rinvio, innanzi alla Corte é intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato l'11 luglio 1978, l'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata priva di fondamento.

Ricordato il carattere, non obbligatorio ma facoltativo, dell'istituto del riscatto, che già di per sé porterebbe ad escludere la possibilità di ravvisare nella denunciata differenziazione nella misura dei contributi un profilo di illegittimità costituzionale, l'Avvocatura osserva che il richiedere o meno, nei vari casi (esercitando, o rinunciando ad esercitare, la concessa facoltà), il riscatto, dipende da valutazioni di convenienza degli interessati, che, per quanto più particolarmente attiene, in concreto, al riscatto dei periodi di pratica forense, normalmente sono legate a ragioni di minor rilievo di quelle su cui si fonda l'interesse per il riscatto degli anni di corsi universitari e di specializzazione, che di fatto comportano un ritardato inizio dell'attività lavorativa. Si aggiunga - prosegue l'atto di intervento - che, al contrario di quanto avviene per la pratica forense, i corsi speciali di perfezionamento comportano la frequenza e si concludono con il conferimento di un apposito diploma; e che, peraltro, l'iscrizione nell'albo dei praticanti procuratori legali legittima l'esercizio di un'attività forense, giudiziale e stragiudiziale, la quale, a differenza dall'attività di studio connessa con i periodi dei corsi universitari e di specializzazione, é remunerabile. Per cui, sotto questo aspetto, al contrario di quanto ritenuto nell'ordinanza di rinvio, fra la situazione disciplinata nel terzo comma dell'art. 13 del testo unico n. 1092 del 1973 e quelle (servizi di ruolo presso enti diversi dallo Stato), per cui nello stesso testo unico la misura del contributo di riscatto é anche fissata nella misura del 18 per cento dello stipendio, sussiste una sostanziale identità, sia l'una che l'altra norma avendo riferimento, appunto, ad attività remunerabili, e di regola remunerate. Cosicché - conclude l'Avvocatura - anche il maggior contributo richiesto dalla disposizione impugnata per il riscatto dei periodi di iscrizione in albi professionali, risulta giustificato dalla intenzione del legislatore di non annullare eventuali posizioni assicurative precostituite con le attività esercitate, addossando l'intero onere del riscatto agli interessati. La evidente diversità, invece, delle altre situazioni che la Corte dei conti ha posto a raffronto, come regola ad eccezione, con quella che é oggetto della norma in questione, giustifica pienamente la denunciata diversità di disciplina.

3. - Nella parte in cui determina nella misura del 18 per cento dell'intero stipendio, anziché nella diversa misura del 6 per cento sull'80 per cento dello stipendio, il contributo dovuto dall'istante per il riscatto dei periodi di iscrizione in albi professionali, lo stesso art. 13, comma terzo, del testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, é stato impugnato innanzi a questa Corte, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, anche con due ordinanze, di motivazione in gran parte identica (in data 19 gennaio 1982, la prima, e 18 giugno 1982, la seconda), del TAR Lombardia, Sezione di Brescia.

Sia l'una che l'altra ordinanza sono state emesse nel corso di giudizi promossi con ricorsi notificati, il 3 dicembre 1981, il primo, e il 31 maggio 1982, il secondo, vertenti, rispettivamente, fra l'avvocato Camillo Orlando e l'avvocato Giuseppe Porqueddu (entrambi appartenenti all'Avvocatura dello Stato) e la Presidenza del Consiglio dei ministri, sul riconoscimento, ai fini pensionistici, in base a riscatto, dei periodi di pratica forense.

In entrambi i giudizi l'eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata, in termini identici, dai ricorrenti, nei confronti dell'art. 13, comma terzo, del testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, per violazione dell'art. 3 Cost., "avuto riguardo alla diversità del trattamento ivi stabilito", quanto alla misura del contributo, "in raffronto alla minore percentuale del 6 per cento, stabilita quale regola generale per il riscatto a fini pensionistici del periodo relativo agli studi universitari e ai corsi di specializzazione", veniva ritenuta dal TAR, oltre che rilevante ai fini del decidere, non manifestamente infondata.

Il riscatto di periodi di iscrizione in albi professionali - osserva il giudice a quo - per il periodo di tempo minimo per l'acquisizione del titolo professionale necessario per accedere a particolari rapporti di impiego statale, appare irrazionalmente disciplinato, nella evidente identità della ratio legis, rispetto al riscatto degli anni relativi agli studi universitari ed ai corsi di specializzazione. La norma impugnata, perciò, pur in presenza di una discrezionale valutazione da parte del legislatore, non risulta conforme, in mancanza di ogni plausibile ragione di siffatta diversificata disciplina, al generale precetto di cui all'art. 3 della Costituzione.

4. - Adempiute le formalità di rito, sia nel primo che nel secondo dei giudizi promossi con le ordinanze del TAR Lombardia, nessuna delle parti si é costituita innanzi alla Corte, mentre solo nel secondo é intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato il 26 ottobre 1982, l'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione. Secondo l'Avvocatura, che svolge argomenti del tutto analoghi a quelli già addotti al riguardo nel giudizio promosso dalla Corte dei conti, la maggior misura del contributo richiesta dalla denunciata disposizione dell'art. 13, comma terzo, del testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, per il riscatto dei periodi di iscrizione in albi professionali, rispetto a quella prevista, nel primo comma dello stesso art. 13, per il riscatto dei periodi di studi universitari e di corsi di specializzazione, trova piena giustificazione nella differenza che innegabilmente sussiste fra le situazioni regolate.

5. - All'udienza pubblica del 15 novembre 1983, dopo la relazione svolta dal Giudice Antonino De Stefano, l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per i giudizi in cui é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, si é richiamato agli argomenti svolti nelle memorie, insistendo per la dichiarazione di non fondatezza.

Considerato in diritto

1. - Il testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato, approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, prevede, nel titolo II, capo II, il computo, a domanda, ai fini del trattamento di quiescenza, di taluni servizi e periodi, anteriori alla nomina. In particolare, l'art. 13 dispone, al primo comma, che il dipendente civile, al quale sia stato richiesto, come condizione necessaria per l'ammissione in servizio, il diploma di laurea o, in aggiunta, quello di specializzazione rilasciato dopo la frequenza di corsi universitari di perfezionamento, può riscattare, in tutto o in parte, il periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento, verso corresponsione di un contributo pari al 6 per cento, commisurato all'80 per cento dello stipendio spettante alla data di presentazione della domanda, in relazione alla durata del periodo riscattato. Il comma terzo dello stesso articolo prevede che, se per l'ammissione in servizio sia stato richiesto, come condizione necessaria, un determinato periodo di iscrizione ad albi professionali, é ammesso anche il riscatto, totale o parziale, di detto periodo, nonché dei periodi di pratica necessaria per il conseguimento dell'abilitazione professionale, verso corresponsione di un contributo pari al 18 per cento dell'intero stipendio spettante alla data di presentazione della domanda, in relazione alla durata del periodo riscattato.

Con le tre ordinanze di cui in narrativa (una della Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale per le pensioni civili, e due del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia) é stata deferita a questa Corte la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, del citato comma terzo dell'art. 13, nella parte in cui determina il contributo di riscatto nella misura del 18 per cento dell'intero stipendio, anziché nella misura del 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio medesimo.

A sostegno della non manifesta infondatezza della questione, i giudici a quibus pongono in evidenza la disparità di trattamento, a loro avviso irrazionale ed ingiustificata, e perciò lesiva del principio di eguaglianza, che si determina tra la fattispecie oggetto della norma impugnata e le altre ipotesi di riscatto (ed in particolare quella, prevista nel primo comma dello stesso art. 13, del periodo di tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento), alle quali si applica l'aliquota del 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio.

2. - Le ordinanze di rimessione sottopongono a questa Corte la stessa questione di legittimità costituzionale; pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. - La questione non é fondata.

Il dubbio prospettato muove dall'assunto che dalla vigente normativa sarebbe dato desumere "l'esistenza di una regola generale" per tutti i riscatti di periodi e servizi ai fini del trattamento di quiescenza a carico dello Stato: la misura del relativo contributo cioé, sarebbe determinata nel 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio, mediante una costante equiparazione di essa con la identica misura della "ritenuta in conto entrate Tesoro", applicata, ai fini del trattamento di quiescenza, sugli stipendi del personale statale.

Ora, non si nega che, tanto nel t.u. n. 1092 del 1973, quanto nell'antecedente normativa (D. Lgt. 7 aprile 1948, n. 262; d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20), effettivamente il contributo di riscatto risulti in prevalenza determinato nella stessa misura della "ritenuta in conto entrate Tesoro", cui é soggetto il dipendente quale suo contributo ai fini del trattamento di quiescenza; mentre l'intero onere pensionistico, come risulta dalla circolare del Ministero del Tesoro, Ragioneria generale dello Stato, n. 43 del 21 maggio 1975, che impartisce istruzioni circa la valutazione dei servizi in applicazione del t.u. n. 1092 del 1973, si concreterebbe appunto nella misura del 18 per cento dell'intero stipendio. In altri termini, così operando, si farebbe pagare al dipendente esattamente quanto questi avrebbe pagato se nel periodo riscattato avesse prestato servizio di ruolo alle dipendenze dello Stato, con la stessa retribuzione percepita all'atto della presentazione della domanda di riscatto. Ed una conferma di tale orientamento del legislatore si trae anche dalla legge 29 aprile 1976, n. 177, che, elevando dal 6 al 7 per cento dell'80 per cento dello stipendio la "ritenuta in conto entrate Tesoro" (art. 13), ha contemporaneamente elevato nella stessa misura il contributo di riscatto del 6 per cento previsto dall'art. 13, comma primo, e dell'art. 14, comma secondo, del t.u. n. 1092 del 1973 (art. 14, comma primo).

Ma da ciò non può inferirsi che tale equiparazione costituisca una regola costante ed inderogabile, al segno che il discostarsi da essa concreti di per sé una ingiustificata disparità di trattamento. Deve, invece, riconoscersi al legislatore un ambito di discrezionalità, negli ovvi limiti della razionalità, non solo nello scegliere i periodi e servizi da ammettere al riscatto, ma anche nello stabilire se porre a carico del dipendente tutto o parte del relativo onere.

D'altronde, di siffatta discrezionalità il legislatore si é già avvalso, come reso palese dal secondo comma del citato art. 14 della legge n. 177 del 1976, che fa, appunto, salve "le diverse misure del contributo di riscatto previste dalle norme in vigore". Infatti, nel t.u. n. 1092 del 1973, oltre il denunciato terzo comma dell'art. 13, anche l'art. 14, che contempla i servizi ammessi al riscatto, prevede, per alcune categorie (indicate alle lettere c, d ed e del primo comma), un diverso contributo di riscatto, "pari al 3 per cento dello stipendio, della paga o della retribuzione spettante all'interessato all'atto della sua assunzione quale dipendente con trattamento di quiescenza a carico del bilancio dello Stato". L'art. 261 offre poi al personale in servizio alla data di entrata in vigore del testo unico, la facoltà di chiedere entro il termine di un anno dalla data medesima, anziché il computo, senza alcun onere a carico del dipendente, come previsto dall'art. 12, dei "servizi di ruolo e non di ruolo prestati alle dipendenze delle assemblee legislative, di enti locali territoriali, di enti parastatali o di enti e istituti di diritto pubblico sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato", il riscatto totale o parziale dei soli servizi di ruolo anzidetti "verso pagamento di un contributo pari al 18 per cento dello stipendio, della paga o della retribuzione spettante alla data di presentazione della domanda, in relazione ai periodi riscattati" (secondo quanto già previsto dalla legge 26 maggio 1966, n. 372): in questo secondo caso non applicandosi il primo comma dell'art. 6, a norma del quale un periodo di attività lavorativa, che sia valutabile ai fini di quiescenza secondo ordinamenti obbligatori diversi, é valutato una sola volta in base all'ordinamento prescelto dall'interessato. Ancora, l'art. 116 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 - norma emanata in base ai criteri indicati nell'art. 14, comma secondo, della legge di delega 30 luglio 1973, n. 477 - dopo aver rinviato, al primo comma, per la valutazione dei servizi o periodi ai fini del trattamento di quiescenza del personale docente, direttivo od ispettivo delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche dello Stato, alle disposizioni del t.u. n. 1092 del 1973, fissa, al secondo comma, per il riscatto dei servizi prestati nelle scuole legalmente riconosciute, per i periodi in cui i servizi stessi siano stati retribuiti, il relativo contributo "nella misura del 18 per cento"; norma del tutto analoga é dettata, poi, nell'art. 23, comma terzo (emanato in virtù della stessa delega legislativa) del coevo d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420, per il personale non docente delle scuole suddette.

4. - Da ultimo, sempre in relazione alla pluralità dei criteri adottati dal legislatore nel determinare la misura del contributo di riscatto, va ricordato il d.l. 1 ottobre 1982, n. 694, recante misure per il contenimento del disavanzo del settore previdenziale, convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 1982, n. 881. L'art. 2 di tale provvedimento, come modificato dalla legge di conversione, al quarto comma, ha stabilito che il contributo per il riscatto del periodo di corso legale di laurea, da corrispondersi dal personale civile dello Stato, per le domande presentate ai sensi del primo comma dell'art. 13 del t.u. n. 1092 del 1973, successivamente alla data di entrata in vigore del decreto anzidetto, é calcolato sulla base di coefficienti attuariali da determinarsi con decreto del Ministro del tesoro, e deve essere non inferiore, a parità di trattamento retributivo, a quello determinato per le analoghe domande di riscatto presentate nell'ordinamento pensionistico INPS. Il decreto del Ministro del tesoro, emanato l'8 aprile 1983 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1983, applica, per la determinazione del contributo in parola, gli stessi coefficienti attuariali di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, emanato il 19 febbraio 1981 e pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 129 del 1981. Nelle premesse del menzionato decreto del Ministro del tesoro si pone in evidenza "la necessità di adottare criteri di ordine tecnico-operativo uniformi a quelli seguiti nel regime previdenziale dell'assicurazione generale obbligatoria, al fine di assicurare la corrispondenza dell'importo del contributo di riscatto da porre a carico del personale civile dello Stato con l'importo della riserva matematica dovuta, per il riscatto del periodo di corso legale di laurea, nell'ordinamento della predetta assicurazione generale obbligatoria".

5. - Non compete, ovviamente, alla Corte, nell'ambito del presente giudizio, verificare se per ciascuna delle ricordate fattispecie il legislatore abbia fatto buon uso dei suoi poteri discrezionali. Quel che conta, nell'attuale sede, ai fini del dedotto contrasto con l'art. 3 della Costituzione della norma che determina la misura del contributo per il riscatto di periodi di esercizio professionale, é la conclusione che può trarsi dalle norme passate in rassegna, e cioé che non appare fondato il riferimento ad una presunta misura fissa e costante per tutti i periodi e servizi ammessi a riscatto: parametro, questo, che, in siffatti termini rigidi, non é dato desumere dalla normativa vigente.

Il raffronto va allora condotto, seguendo sotto tale profilo le altre argomentazioni addotte dai giudici a quibus, con la misura del contributo stabilita per il riscatto di quei periodi (studi universitari e corsi speciali di perfezionamento) che, almeno apparentemente, si presentano come maggiormente affini ai periodi di iscrizione ad albi professionali ed ai periodi di pratica necessari per il conseguimento dell'abilitazione professionale, avendo, quanto meno, in comune la caratteristica di non presupporre alcuna prestazione di servizio resa allo Stato o ad altri enti, a differenza, appunto, dai servizi ammessi a riscatto.

6. - Ma anche nel più ristretto ambito del confronto del denunciato terzo comma dell'art. 13 del t.u. n. 1092 del 1973 con il primo comma dello stesso articolo, non risulta violato l'invocato precetto dell'art. 3 della Costituzione.

Innanzi tutto va sottolineato che la misura del contributo prevista dal primo comma dell'art. 13 a seguito dell'emanazione del citato d.l. n. 694 del 1982, come modificato dalla legge di conversione n. 881 del 1982, non é più univoca per le fattispecie ivi considerate. Infatti, per le domande di riscatto del periodo di corso legale di laurea, presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto anzidetto (3 ottobre 1982), il relativo contributo non é più determinato in quella misura del 6 per cento (divenuto poi 7 per cento per effetto della legge n. 177 del 1976), dell'80 per cento dello stipendio, che i giudici a quibus avrebbero voluto fosse estesa al riscatto dei periodi di esercizio professionale; ma é calcolato - come innanzi ricordato - sulla base dei ben diversi coefficienti attuariali, determinati con il menzionato decreto del Ministro del tesoro. Per i corsi speciali di perfezionamento, invece, é rimasta applicabile la misura prevista dal primo comma dell'art. 13 del t.u. n. 1092 del 1973, come modificata dall'art. 14 della legge n. 177 del 1976. Cosicché, avendo le ordinanze di rimessione fatto riferimento, nelle loro motivazioni, ad entrambe le categorie, verrebbe meno, per effetto della più recente normativa, la necessaria unitarietà dell'elemento dalle ordinanze stesse assunto a tertium comparationis.

7. - Peraltro, anche facendo riferimento al periodo antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 694 del 1982 (essendo state le istanze di riscatto, che hanno dato origine ai ricorsi sui quali debbono pronunciare i giudici a quibus, tutte presentate prima di tale data), allorquando, cioé, la misura del contributo, prevista dal primo comma dell'art. 13 del t.u. n. 1092 del 1973, era eguale tanto per gli studi universitari quanto per i corsi speciali di perfezionamento, essendo determinata nel 6 per cento (poi 7 per cento) dell'80 per cento dello stipendio, la lamentata diversità, rispetto a tale misura, di quella (18 per cento dell'intero stipendio), determinata dal denunciato terzo comma dello stesso art. 13 per il contributo di riscatto di periodi di esercizio professionale, non appare in contrasto con il principio di eguaglianza.

La Corte, infatti, non ravvisa sussistere, tra i periodi degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento ed i periodi di iscrizione ad albi professionali, e di pratica necessari per il conseguimento dell'abilitazione professionale, quella identità, o almeno omogeneità di situazioni, che renderebbe ingiustificata la diversa regolamentazione adottata dal legislatore in ordine alla determinazione della misura dei relativi contributi.

Ben vero che - come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 128 del 1981 - "la legislazione in materia di riscatto é andata via via evolvendosi nel senso di concedere alla preparazione professionale acquisita ogni considerazione ai fini di quiescenza, onde poter immettere, in vista del dettato dell'art. 97 della Costituzione, nelle carriere direttive personale idoneo per preparazione e cultura, altrimenti svantaggiato per l'ingresso nelle pubbliche amministrazioni". Ma l'avere esteso, con il t.u. n. 1092 del 1973, la possibilità di riscatto anche ai periodi di esercizio professionale, ove necessari per l'ammissione in servizio alle dipendenze dello Stato, non comporta necessariamente che ad essi debba applicarsi la stessa misura del contributo prevista per il riscatto dei periodi degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento. I primi ed i secondi, anche se teleologicamente accomunati ai fini dell'ammissione in servizio, presentano innegabili differenze ontologiche, che il legislatore, nella sua discrezionalità, ha voluto tener presenti nella determinazione della misura dei rispettivi contributi. In proposito, per tacer di altre caratteristiche peculiari agli uni o agli altri, é sufficiente considerare - come giustamente é stato rilevato dall'Avvocatura dello Stato - che l'attività di studio ammessa a riscatto comporta un ritardo nell'inizio dell'attività lavorativa (se, invece, quest'ultima si accompagnasse alla prima, in tal caso troverebbe applicazione il divieto della doppia valutazione ai fini di quiescenza, sancito dal secondo comma dell'art. 6 del t.u. n. 1092 del 1973). L'attività professionale, invece, si concreta, ovviamente, in un'attività lavorativa, come tale suscettibile di remunerazione e di autonoma tutela assicurativa. Pertanto, la scelta operata dal legislatore, di addossare agl'interessati, in quest'ultimo caso, l'intero onere del riscatto, e di limitare l'onere medesimo nel primo, non appare palesemente irrazionale.

Sotto tutti i profili dedotti, perciò, la questione di legittimità costituzionale, sottoposta a questa Corte, va dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 196 R.O. 1978, 184 e 709 R.O. 1982;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma terzo, del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello stato, approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui determina il contributo di riscatto nella misura del 18 per cento dell'intero stipendio, anziché nella misura del 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio medesimo, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con le ordinanze emesse in data 31 marzo 1976 dalla Corte dei conti, Sezione III giurisdizionale per le pensioni civili (R.O. n. 196 del 1978), e in data 19 gennaio e 18 giugno 1982 dal tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia (R.O. nn. 184 e 709 del 1982).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1984.