SENTENZA N. 128
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo ItalianO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Dott. Giulio GIONFRIDA, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma primo, del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680 (Ordinamento della cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli Enti locali) promossi con le ordinanze emesse il 17 novembre 1976 dalla Corte dei conti - Sezione III giurisdizionale, sui ricorsi proposti da Galanti Cesare contro la Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali e da Lombardi Giovanni contro la Direzione Generale degli Istituti di previdenza, rispettivamente iscritte ai nn. 231 e 232 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 228 del 1978
Visti gli atti di costituzione di Galanti Cesare e di Lombardi Giovanni;
udito nell'udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
uditi gli avvocati Cesare Galanti e Giovanni Lombardi.
Ritenuto in fatto
1. - Con due ordinanze di identica motivazione, in data 17 novembre 1976 - emesse su ricorsi proposti rispettivamente da Cesare Galanti e Giovanni Lombardi, dipendenti del Comune di Roma con la qualifica di avvocato di 2 classe - l'adita sezione III giurisdizionale della Corte dei conti, ritenutane la rilevanza ai fini del decidere, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 69, primo comma, dell'Ordinamento della Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali (CPDEL), approvato con r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui la suddetta norma, secondo la sua retta interpretazione, non riconosce, in favore degli impiegati iscritti alla Cassa predetta, la facoltà di riscattare, a fini di pensione, oltre gli anni di studio corrispondenti alla durata legale dei corsi universitari od equiparati, anche gli anni corrispondenti all'esercizio della pratica forense e alla iscrizione agli albi professionali, quando e nella misura in cui tali requisiti siano richiesti come condizione necessaria per l'ammissione in carriera.
Dopo aver ritenuto non conferente nella specie il riferimento fatto dai ricorrenti anche agli artt. 36 e 38 della Costituzione (dacché l'art. 69 del r.d. 680/1938 "non esclude il diritto a pensione ma in tutta ipotesi escluderebbe solo il diritto al massimo pensionabile", il che non coinvolge il principio dell'adeguatezza del trattamento alle esigenze di vita), la Corte a quo ha puntualizzato il sospetto di illegittimità della norma denunziata in una violazione appunto dell'art. 3 della Costituzione, in relazione ad una possibile situazione di disuguaglianza che verrebbe a crearsi "tra gli appartenenti alla medesima Amministrazione comunale" e "nell'ambito della stessa carriera direttiva", per il diverso trattamento tra coloro che accedono all'impiego mediante partecipazione a concorso per cui è richiesto, come titolo di ammissione, la sola laurea, e coloro che vi accedono previo conseguimento, oltre che della laurea, di altri titoli di preparazione professionale comportanti un preliminare e non breve tirocinio. Infatti, mentre i primi avrebbero, per evidenti ragioni di età, la possibilità di realizzare il massimo periodo di servizio, così conseguendo la più elevata pensione possibile, lo stesso vantaggio, sempre per ragioni di età, sarebbe invece precluso "a coloro che accedono alla carriera tardivamente proprio perchè, per partecipare al concorso di ammissione, devono acquisire una più vasta preparazione professionale che si matura nel corso di alcuni anni dopo la laurea".
La stessa Corte ha considerato invece manifestamente infondati gli altri prospettati profili di diseguaglianza:
a) nell'ambito degli iscritti alle Casse pensioni amministrate dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza, fra impiegati e salariati degli Enti locali da un canto e sanitari dall'altro;
b) tra gli iscritti alle Casse suddette, quali dipendenti di Enti locali, e dipendenti dello Stato.
Ritenendo non comparabili le situazioni sub a), "sia perchè il servizio prestato dagli assistenti volontari ospedalieri (riscattabile limitatamente a due anni ai sensi dell'art. 23 della legge 11 giugno 1954, n. 409) è reso direttamente e gratuitamente all'Istituzione ospedaliera mentre l'esercizio forense, non necessariamente gratuito, è reso dai praticanti o a se stessi o alle dipendenze di privati (comunque non all'Amministrazione cui, poi, accedono); sia perchè la frequenza a corsi di specializzazione si compendia nella partecipazione a corsi di studio o di perfezionamento a carattere universitario cui consegue il conferimento di un diploma di specializzazione, al che non può assimilarsi la pratica forense l'esercizio della quale si svolge al di fuori dell'ordine degli studi universitari e non vale ad attribuire ai praticanti un titolo di specializzazione".
E, rilevando, quanto al profilo sub b), che "non può invocarsi la violazione del principio di eguaglianza in presenza di diverso trattamento conferito a dipendenti da ordinamenti diversi e per ciò stesso differentemente disciplinati, quanto allo stato giuridico, alla progressione di carriera, al trattamento di quiescenza, ecc.".
2. - Nel giudizio innanzi a questa Corte, si sono costituiti il Lombardi ed il Galanti, sottolineando il carattere "emblematico" della questione sollevata dalla Corte dei conti ("giacché sorge dalla sopravvivenza nella sua originaria stesura di una norma che, emanata nel 1938, non sarebbe stata adeguata ai precetti costituzionali e risulterebbe ormai non più al passo con l'evoluzione legislativa della previdenza dei pubblici impiegati"), e concludendo, quindi, per una declaratoria di incostituzionalità dell'art. 69 citato, "con riguardo tanto agli aspetti enunciati dal giudice a quo, quanto, più in generale, all'ampio raffronto della diversità di trattamento che, senza una razionale giustificazione, verrebbe fatta ai dipendenti "professionali" degli Enti locali rispetto a quelli degli altri settori del pubblico impiego (Stato e "parastato") e anche nell'ambito degli Enti locali, fra i dipendenti dell'una e dell'altra carriera professionale".
3. - Le parti costituite hanno presentato memorie, ribadendo con ampie argomentazioni le conclusioni già esposte.
Considerato in diritto
1. - In riferimento all'art. 3 della Costituzione, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 69 r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, nella parte in cui non prevede la facoltà di riscattare, oltre al periodo corrispondente alla durata legale dei corsi universitari, anche gli anni di iscrizione agli albi professionali, ove tale iscrizione costituisca necessario requisito all'ammissione in carriera. La lamentata disparità di trattamento deriverebbe infatti dalla circostanza che nell'ambito della stessa amministrazione comunale e della medesima carriera direttiva solo ad alcuni dipendenti sarebbe possibile conseguire il massimo periodo di servizio, mentre ad altri lo stesso vantaggio sarebbe precluso proprio perchè costretti a partecipare tardivamente al concorso di ammissione, essendo richiesta una più vasta preparazione professionale che si matura nel corso di alcuni anni dopo il conseguimento della laurea.
2. - La questione è fondata.
La legislazione in materia di riscatto è andata via via evolvendosi nel senso di concedere alla preparazione professionale acquisita ogni considerazione ai fini di quiescenza, onde poter immettere, in vista del dettato dell'art. 97 Cost., nelle carriere direttive personale idoneo per preparazione e cultura, altrimenti svantaggiato per l'ingresso nelle pubbliche amministrazioni. Simile evoluzione che risale all'art. 67 del testo unico 21 febbraio 1895, n. 70, e che trova le sue fasi nell'art. 2 della legge 14 luglio 1907, n. 482, nell'articolo unico della legge 19 giugno 1913, n. 692, nell'art. 6 del r.d. 8 marzo 1923, n. 688, nell'art. 6 del r.d. 21 novembre 1923, n. 2480, nell'art. 69 del r.d.l. 3 marzo 1938, n. 690, nell'art. 62 della legge 6 luglio 1939, n. 1035, e nell'art. 7 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, culmina, per il personale dello Stato, nell'art. 13 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, secondo cui se per l'ammissione in servizio sia stato richiesto, come condizione necessaria, un determinato periodo di iscrizione ad albi professionali, è ammesso anche il riscatto totale o parziale di detto periodo nonché dei periodi di pratica necessari per il conseguimento dell'abilitazione professionale.
In vista di tale evoluzione normativa, risulta discriminatorio, anche nell'ambito dell'amministrazione comunale, il mancato adeguamento della disposizione denunciata. La circostanza che l'art. 69 del r.d.l. n. 680 del 1938 non preveda la facoltà di riscattare gli anni di iscrizione agli albi professionali, ove questa costituisca necessario requisito all'immissione in carriera, non è ormai sorretta da alcun fondamento razionale, valendo anche per i dipendenti in questione la ratio, già richiamata, di una vasta ed idonea preparazione professionale, ratio che ben si armonizza con l'art. 97 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 r.d.l. 3 marzo 1938, n. 680, nella parte in cui non prevede la facoltà di riscattare gli anni di iscrizione agli albi professionali, ove tale iscrizione costituisca necessario requisito all'immissione in carriera.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 1981
Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 luglio 1981.