Sentenza n.29 del 1984

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SENTENZA N. 29

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

         Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 48, comma terzo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) promosso con ordinanza emessa il 23 luglio 1982 dalla Sezione di Sorveglianza presso la Corte d'appello di Roma nel procedimento di ammissione alla semilibertà nei confronti di Di Giacomo Gianfranco, iscritta al n. 688 del registro ordinanze 1982 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 67 del 1983.

Udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore prof. Livio Paladin.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 23 luglio 1982 - emessa nel corso di un procedimento promosso da un detenuto, condannato per i delitti di rapina aggravata e furto, che richiedeva la concessione del beneficio di ammissione alla semilibertà - la sezione di sorveglianza presso la Corte d'appello di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 48, terzo comma, in relazione all'art. 47, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 ("Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà"). Nella parte in cui esclude la concessione della semilibertà per taluni delitti, tra cui appunto quello di rapina aggravata, la norma impugnata sarebbe infatti in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Sebbene questa Corte ne abbia già dichiarato la non fondatezza e poi la manifesta infondatezza, la questione suddetta meriterebbe - secondo il giudice a quo - di essere riesaminata dalla Corte stessa. Nella specie - rileva l'ordinanza di rimessione - l'istante gode di un regime sostanzialmente analogo a quello della semilibertà, essendo stato autorizzato a svolgere un lavoro all'esterno senza scorta; e già da questo dato risulterebbe come con la disposizione limitativa della sola semilibertà, il legislatore sia caduto in contraddizione, superando "i limiti della propria discrezionalità"

Inoltre, sarebbe assurdo che l'istante stesso, già condannato in primo grado alla pena di anni 14 di reclusione ("di cui anni 12 quale pena base per il reato, più grave, di tentato omicidio") e poi assolto in appello dal tentato omicidio ("sicché reato più grave divenne la rapina, per la quale fu inflitta la pena di anni 8 e mesi 6 di reclusione, aumentata ad anni 10 per la continuazione"), si veda ora, proprio per la minore gravità complessiva degli addebiti ritenuti in sentenza, sbarrato l'accesso alla semilibertà, di cui diversamente avrebbe potuto beneficiare a partire da un certo momento. Ciò confermerebbe, invece, che "i criteri di ordine puramente formale contenuti nell'art. 48 comma terzo non sempre rispondono a canoni di giustizia sostanziale, cui tutto l'ordinamento giuridico é e deve essere informato". Ed una riprova ulteriore dell'irragionevolezza della norma in esame starebbe in ciò che il legislatore non ha considerato altri reati, malgrado la loro gravità e il conseguente "allarme sociale" non siano inferiori a quelli peculiari dei delitti elencati dall'art. 47 cpv. della legge penitenziaria.

2. - Nel presente giudizio nessuno si é costituito, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - La sezione di sorveglianza presso la Corte d'appello di Roma risolleva dinanzi a questa Corte, in riferimento all'art. 3 Cost., il problema se sia costituzionalmente legittimo l'aver escluso dalla concessione della semilibertà - mediante il combinato disposto degli artt. 48, terzo comma, e 47, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (come modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1) - i soggetti condannati per il delitto di "rapina aggravata".

La stessa ordinanza di rimessione ricorda che la Corte si é già pronunciata più volte in proposito. Dapprima, la sentenza n. 107 del 1980 ha dichiarato non fondata la questione predetta, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione; quindi, mediante le ordinanze n. 8 e n. 10 del 1981, la Corte ha concluso nel senso della manifesta infondatezza, non solo in vista degli artt. 3 e 27, ma anche per la parte concernente la pretesa violazione degli artt. 2, 25, secondo comma, e 111, primo comma, della Costituzione. Infine, successivamente alla proposizione dell'impugnativa in esame, l'ordinanza n. 167 del 1983 ha ritenuto manifestamente inammissibile la richiesta di precludere la concessione della semilibertà quanto ai delitti contro l'incolumità pubblica: richiesta avanzata dalla sezione di sorveglianza presso la Corte d'appello di Perugia, con un provvedimento cui fa ripetuto richiamo il giudice a quo.

Nondimeno, la questione é stata riproposta, sulla base di tre serie di ragioni, che l'ordinanza introduttiva del presente giudizio considera tali da inficiare il fondamento giustificativo della norma impugnata, in contrasto con il principio costituzionale d'eguaglianza. In primo luogo, cioè, la possibilità che anche i condannati per rapina aggravata vengano assegnati - come appunto si é verificato nella specie - al lavoro all'esterno senza scorta (secondo l'art. 21 cpv. della legge n. 354 del 1975) dimostrerebbe quanto poco sia ragionevole escluderli a priori dalla concessione della semilibertà. In secondo luogo, sarebbe indice di un'ulteriore irragionevolezza la circostanza che i soggetti detenuti per il solo reato di rapina aggravata (o per questo reato, nonché per altri fatti meno gravi) risultino svantaggiati, circa il momento a partire dal quale può aversi la semilibertà, nei confronti di soggetti condannati, oltre che per rapina, per altri reati di maggiore gravità; e ciò in conseguenza dell'interpretazione accolta dalla Corte suprema, per cui gli stessi autori dei reati espressamente indicati dall'art. 47, secondo comma, della legge n. 354 possono vedersi concesso il beneficio in esame, una volta espiata la pena relativa ai reati medesimi, più la metà della pena residua (ai sensi della norma generale di cui al secondo comma dell'art. 501. cit.).

In terzo luogo, sarebbe comunque arbitrario che il legislatore abbia preso in considerazione delitti come quelli di "rapina, rapina aggravata, estorsione, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione", trascurando di estendere il divieto del quale si tratta ad altri delitti come la "strage" o come il "sequestro di persona a scopo di terrorismo e di eversione".

2. - Senonché nessuno degli argomenti addotti dal giudice a quo - in riferimento all'art. 3 Cost. - modifica sostanzialmente i termini del problema che la Corte ha già affrontato, né induce la Corte stessa a discostarsi dalla sua giurisprudenza precedente.

É ben vero che in dottrina le esclusioni testualmente previste dall'art. 47, secondo comma, della legge n. 354 del 1975 (nel testo sostituito dall'art. 4 della legge n. 1 del 1977 e poi integrato dall'art. 7 della legge n. 646 del 1982) hanno formato l'oggetto di diffuse critiche, dovute soprattutto all'incompletezza di quella previsione, che non avrebbe tenuto conto di beni preminenti nella scala dei valori penalistici ovvero di altri reati suscettibili anch'essi di determinare un forte allarme sociale. Da un lato, però, la Corte deve riaffermare la propria incompetenza ad "emettere sentenze additive che rendano deteriore la posizione del condannato in ordine all'esecuzione della pena" (cfr. ancora l'ordinanza n. 167 del 1983). D'altro lato, una volta ammesso - come la Corte continua a ritenere - che sulla base di particolari valutazioni sociologiche e criminologiche sia consentito al legislatore di stabilire un collegamento fra la gravità del reato commesso ed il tipo del trattamento penitenziario (ivi comprese le "misure alternative alla detenzione "), esclusioni di per sé giustificate non possono dirsi illegittime per il semplice fatto che nella testuale elencazione dei casi da escludere non siano state inserite altre ipotesi ritenute meritevoli della medesima regolamentazione. E basta rileggere il secondo comma dell'art. 47 per intendere che le premesse sulle quali si era fondata quella scelta legislativa non hanno cessato di sussistere, dal 1975 ad oggi, e non si sono neppure indebolite.

Ciò posto, le altre censure come prospettate dall'ordinanza di rimessione non implicano alcun contrasto fra la norma impugnata ed il principio costituzionale d'eguaglianza, ma riguardano incongruenze del momento applicativo, per cui alla Corte non é dato di porvi rimedio, sostituendosi al legislatore. Tale é il caso della denunciata sfasatura fra la norma sull'assegnazione al lavoro all'esterno e la disciplina concernente la concessione della semilibertà; tanto più che fra quel trattamento e la misura in discussione esiste sul piano normativo un tale divario, da rendere del tutto incongruo il richiamo all'art. 3 della Costituzione. Ma le stesse conclusioni s'impongono anche per quanto attiene al momento di concessione della semilibertà, variamente fissato nel tempo secondo il vario rapporto di gravità fra i reati concorrenti per i quali i soggetti in questione siano stati condannati. In primo luogo, infatti, situazioni del genere, sebbene frequenti, non esauriscono di certo le fattispecie disciplinate dalla norma impugnata. Secondariamente, le disarmonie rilevate dal giudice a quo discendono da un'interpretazione in bonam partem delle norme riguardanti la semilibertà, accolta dalla Corte di cassazione al di là della lettera dei corrispondenti disposti; e non sembra sostenibile che, proprio per effetto di un'applicazione meno severa dei limiti frapposti alla concessione del beneficio in esame, si debba dichiarare la globale illegittimità dei limiti medesimi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 48, terzo comma, in relazione all'art. 47, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sollevata dalla sezione di sorveglianza presso la Corte d'appello di Roma, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 15 febbraio 1984.