Sentenza n. 341 del 1983

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SENTENZA N. 341

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

          Avv. Alberto MALAGUGINI

          Prof. Livio PALADIN      

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

          Prof. Virgilio ANDRIOLI  

          Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 15 febbraio 1963, n. 151 (Modificazioni degli artt. 41, 66 e 67 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1976 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Suppa Francesco contro il Comune di Mira, iscritta al n. 742 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 16 febbraio 1977.

Visti gli atti di costituzione di Suppa Francesco e del Comune di Mira, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi gli avvocati Fernando Grassi per Suppa Francesco, Zeno Forlati per il Comune di Mira e l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Adito su ricorso proposto da un medico condotto, per ottenere dal Comune di Mira l'adeguamento della sua retribuzione a quanto stabilito dall'art. 3 della legge 15 febbraio 1963, n. 151 (per cui gli stipendi minimi dei medici condotti "non possono essere inferiori... allo stipendio degli impiegati dello Stato aventi diritto al coefficiente 271 ai sensi della tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1956, n. 19"), il TAR per il Veneto, con ordinanza emessa il 5 luglio 1976, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma predetta, per asserito contrasto con gli artt. 5 ed 81, quarto comma, della Costituzione.

Da un lato, infatti, il principio sancito nell'art. 81, quarto comma, "verrebbe ad essere vanificato se allo Stato fosse consentito di aumentare le spese pubbliche aggravando quelle degli enti pubblici minori istituendo ulteriori oneri per i loro bilanci senza attribuire loro i corrispondenti mezzi per farvi fronte". D'altro lato, sarebbe violata l'autonomia comunale garantita dall'art. 5 Cost., dal momento che la norma impugnata inciderebbe "sul potere dei Comuni di determinare... il trattamento economico di alcuni dei loro dipendenti".

2. - A queste tesi aderisce il costituito Comune di Mira, dopo aver premesso che la norma impugnata conterrebbe "un rinvio dinamico (e non statico) alle retribuzioni del personale statale".

Mediante una memoria depositata il 4 febbraio di quest'anno, la difesa del Comune argomenta - in particolar modo - che non s'imporrebbe nella specie il precedente rappresentato dalla sentenza n. 118 del 1977, con cui la Corte si é pronunciata sull'art. 3 della legge n. 151 del 1963, ma in riferimento ai soli artt. 5 e 128 Cost., e non già in vista dell'art. 81, quarto comma. Per contro, la Corte stessa, con la sentenza n. 92 del 1981, avrebbe dettato una massima riferibile al caso in esame; e l'incostituzionalità della norma impugnata sarebbe aggravata dal fatto che gli oneri ad essa conseguenti verrebbero ad aumentare tutte le volte che il legislatore statale provvedesse ad adeguare il trattamento economico del corrispondente personale dello Stato.

3. - Si é costituito del pari il ricorrente, che invece conclude nel senso della non fondatezza.

Nell'atto di costituzione si nega che l'art. 81, quarto comma, sia riferibile ai bilanci comunali e comunque si contesta che l'autonomia locale sia limitata o ridotta "in modo sostanziale ed essenziale" per effetto della norma impugnata. In una memoria depositata in vista della pubblica udienza, la difesa del ricorrente insiste in quest'ultimo ordine di considerazioni, sostenendo che la disciplina in esame divergerebbe profondamente da quella che la Corte ha considerato nella citata sentenza n. 92 del 1981: non trattandosi già - nella specie di - "benefici aggiuntivi connessi al dovere di difesa della patria, che sono estranei alle più dirette e specifiche finalità dell'ente locale", bensì di attività obbligatoria per il Comune, se non altro nella fase precedente la riforma sanitaria.

4. - É infine intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo la non fondatezza dell'impugnativa, specialmente perché la norma in questione non obbligherebbe i Comuni ad alcuna maggiore spesa, lasciandoli invece liberi di assumere o meno i sanitari condotti (nonché di consorziarsi per l'espletamento dei relativi servizi).

Considerato in diritto

1. - Successivamente all'emissione dell'ordinanza in esame, la Corte si é già pronunciata circa la legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 151 del 1963 (nella parte concernente gli stipendi minimi dei medici condotti), in riferimento agli artt.5 e 128 della Costituzione. La sentenza n. 118 del 1977 ha ritenuto che la censura non fosse fondata, precisando - in particolar modo - che la norma impugnata rispondeva "all'esigenza, di indubbio e preminente interesse pubblico, di assicurare che localmente l'assistenza sanitaria sia la migliore possibile, attraverso la oculata scelta del personale, ovviamente condizionata, fra l'altro, da un congruo trattamento economico". E quella conclusione va ora mantenuta ferma, aggiungendo ai motivi già esposti dalla Corte la considerazione che la legge n. 151 ha giustamente inteso recuperare - come é stato notato in dottrina - un'elementare omogeneità di trattamento fra i medici condotti; sicché in questo campo l'autonomia comunale non può essere enfatizzata, ma va coordinata con gli altri valori costituzionali rilevanti nella specie, a partire dal diritto di ciascun lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro.

2. - Formalmente e sostanzialmente nuova é invece l'altra censura proposta dal TAR per il Veneto, in riferimento al quarto comma dell'art. 81 Cost. Ma, anche in tal senso, la questione é infondata.

Impropriamente la difesa del Comune di Mira ha richiamato in proposito la sentenza n. 92 del 1981, in tema di ex combattenti, là dove la Corte ha affermato che non é consentito al legislatore di addossare "ad enti, rientranti nella così detta finanza pubblica allargata, nuove e maggiori spese, senza indicare i mezzi con cui farvi fronte"; ed ha cercato così di avvalorare la tesi del giudice a quo, che l'art. 3 della legge n. 151 non potesse legittimamente ancorare, senza che ai Comuni interessati venissero attribuite specifiche risorse adeguate allo scopo, gli stipendi minimi dei medici condotti "allo stipendio degli impiegati dello Stato aventi diritto al coefficiente 271 ai sensi della tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1956, n. 19" (e successive modificazioni). Al di là d'ogni altro aspetto del problema, un complesso di ragioni dimostra che in realtà non sussiste la pretesa corrispondenza fra il presente caso e la questione dei benefici concessi al personale ex-combattente: come infatti sarà subito chiarito, la maggiore spesa derivante dalla norma impugnata (prima dell'istituzione del servizio sanitario nazionale) incideva assai diversamente sulle varie Amministrazioni comunali, non era quantificabile da parte del legislatore e comunque risultava meramente eventuale.

Va tenuto presente, anzitutto, che l'obbligo di provvedersi di "almeno un medico chirurgo condotto" gravava in prima linea - stando all'art. 55, primo comma, del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 - sui Comuni in cui non risiedessero "medici... liberi esercenti": poiché, in quest'ultima ipotesi, i medici stipendiati dal Comune venivano principalmente chiamati a provvedere all'"assistenza dei poveri" (cfr. il secondo comma dell'art. 55) ed anzi dovevano semplicemente completarla - se ed in quanto necessario - dove apposite opere od altre fondazioni curassero in tutto od in parte l'assistenza medesima (in base al quarto comma del citato articolo); mentre era ancora diverso, per contro, il caso dei Comuni che temporaneamente non potessero affatto assicurare il servizio di assistenza medico-chirurgica, in ordine ai quali si provvedeva con decreto dell'autorità di vigilanza - secondo l'art. 57 del predetto testo unico - non solo alle nomine dei medici condotti, ma anche alla discrezionale determinazione dei compensi loro spettanti, a carico delle rispettive Amministrazioni comunali.

In secondo luogo, dopo la sopravvenienza della legge n. 151 del 1963, poteva da un lato accadere che il trattamento minimo dei medici condotti risultasse migliore di quello autonomamente stabilito ad opera dei singoli Comuni, anche per effetto del rinvio dinamico al trattamento dei ricordati dipendenti statali, e d'altro lato era sempre possibile che fossero invece i Comuni interessati a prevedere uno stipendio più elevato: come é dimostrato dalle vicende del ricorrente nel giudizio a quo, la cui retribuzione complessiva sarebbe stata - a quanto avverte l'ordinanza di rimessione - almeno inizialmente superiore al minimo di legge. Il che conferma che, nel determinare gli stipendi minimi, il legislatore non era materialmente in grado di definire il maggiore onere e di fronteggiarlo con l'assegnazione di un'apposita entrata, tanto più in quanto l'eventuale onere era destinato a ripercuotersi - come nella specie - su esercizi finanziari di molto posteriori all'entrata in vigore della legge n. 151, in dipendenza dell'imprevedibile uso che ciascun Comune avrebbe fatto della propria autonomia di spesa.

Ma determinante é comunque il terzo ordine di considerazioni, già svolte dalla Corte nella sentenza n. 118 del 1977, là dove s'è osservato che i "pregiudizi" in questione potevano essere, "se non eliminati, quanto meno attenuati, attraverso la costituzione di consorzi, secondo la testuale previsione dell'art. 63 t.u. l. sanitarie". Certo, rispetto all'ordinaria facoltà di unirsi in consorzio, riconosciuta ai Comuni dall'art. 156 della legge comunale e provinciale del 1934, la costituzione dei consorzi sanitari di cui al primo comma del citato art. 63 veniva rigorosamente limitata nei suoi presupposti giustificativi. Ma il presupposto primario era appunto rappresentato dall'impossibilità di "provvedersi di un proprio medico chirurgo", dovuta alle "condizioni economiche" dei Comuni interessati; sicché può ben dirsi che il rimedio alle maggiori spese del genere in esame era stato già prestabilito fin dal 1934. E d'altra parte, se il rimedio stesso fosse risultato insufficiente, la norma da impugnare - in nome dell'autonomia comunale - sarebbe stata, se mai, quella a suo tempo stabilita dall'art. 63, primo comma, del r.d. n. 1265, non già quella introdotta dall'art. 67, primo comma, del decreto medesimo, nel testo sostituito dall'art. 3 della legge n. 151 del 1963.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 15 febbraio 1963, n. 151, nella parte concernente gli stipendi minimi dei medici condotti, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto - in riferimento agli artt. 5 ed 81, quarto comma, della Costituzione - con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 14 dicembre 1983.