Sentenza n. 64 del 1982

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 64

ANNO 1982

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 229 della legge 19 maggio 1975, n. 151, e dell'art. 244 cod. civ., modificato dall'art. 95 della legge 19 maggio 1975, n. 151 (Disconoscimento di paternità) promossi con ordinanze emesse il 25 febbraio 1977 dal tribunale di Torino, il 18 aprile e il 21 ottobre 1977 dal tribunale di Roma, il 24 maggio 1978 dal tribunale di Salerno, il 15 dicembre 1978 dal tribunale di Ravenna, il 15 dicembre 1980 dal tribunale di Roma e il 3 dicembre 1980 dal tribunale di Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 164, 461 e 578 del registro ordinanze 1977, al n. 435 del registro ordinanze 1978, al n. 268 del registro ordinanze 1979 ed ai nn. 426 e 473 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 134 e 334 del 1977, nn. 53 e 341 del 1978, n. 154 del 1979 e nn. 283 e 297 del 1981.

Visti l'atto di costituzione di Spaziani Testa Giulio e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1982 il Giudice relatore Oronzo Reale;

uditi l'avv. Mario Volpe per Spaziani Testa Giulio e l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza in data 25 febbraio 1977 (n. 164 del reg. ord. 1977), il tribunale di Torino sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 229 della legge 19 maggio 1975, n. 151, nella parte in cui tale norma transitoria non prevede anche per il padre la possibilità di proporre azione di disconoscimento entro un termine di mesi sei dall'entrata in vigore della suddetta legge, nei casi in cui tale azione gli viene ex novo concessa dalla stessa legge, per preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

Osservava all'uopo il collegio che la normativa introdotta con la citata legge n. 151 del 1975 ha innovato (art. 93) l'art. 235, n. 3, c.c., statuendo che l'azione di disconoscimento della paternità é consentita anche nel caso in cui la moglie non ha tenuto celata al marito la propria gravidanza, se ha commesso adulterio, ipotesi questa addotta nel procedimento nel corso del quale l'incidente di costituzionalità é stato sollevato.

Tanto premesso il tribunale rilevava che la disciplina transitoria di cui all'art. 229 della legge citata, discriminerebbe, quanto al termine entro cui é consentito proporre l'azione di disconoscimento di paternità, tra il padre, cui é riservato un trattamento deteriore, e la madre (nei confronti del figlio minore) o lo stesso figlio maggiorenne. Infatti detta norma statuisce che l'azione della madre nei confronti del figlio minore e quella dello stesso figlio maggiorenne, per i quali il termine é già scaduto, deve essere proposta entro sei mesi dall'entrata in vigore, mentre l'azione del padre é proponibile se a tale data non sia trascorso il termine stabilito dalla legge predetta, il quale é prorogato della metà se, alla medesima data, manca meno di un mese alla sua scadenza.

Tale diversità di trattamento sarebbe ingiustificata ed irrazionale, tenuto conto che il promovimento dell'azione sarebbe stato impossibile per il padre prima della modifica dell'art. 235 c.c. Si ipotizzava pertanto la violazione dell'art. 3 della Costituzione, previo compiuto giudizio di rilevanza della questione.

2. - Analoga questione veniva sollevata dal tribunale di Ravenna con ordinanza in data 15 dicembre 1978 (n. 268 del reg. ord. 1977); nelle due dette ordinanze non si aveva né intervento del Presidente del Consiglio né costituzione di parte.

3. - Con tre diverse ordinanze, il tribunale di Roma (21 ottobre 1977, n. 578 del reg. ord. 1977; 15 dicembre 1980, n. 426 del reg. ord. 1981) e il tribunale di Milano (3 dicembre 1980, n. 473 del reg. ord. 1981) sollevavano analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c., nel testo modificato dall'art. 95 della legge n. 151 del 1975, nella parte in cui detta norma non consente al padre di agire per il disconoscimento con termini decorrenti dall'effettiva conoscenza da parte sua dei fatti che legittimano il disconoscimento stesso. Infatti, la norma de qua consente al padre di agire entro un anno dalla nascita ovvero, in determinati casi, dalla conoscenza della nascita stessa; per contro, consente al figlio agente in disconoscimento di proporre l'azione entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui egli viene successivamente a conoscenza dei fatti che a norma degli artt. 235 e 244 c.c. rendono ammissibile il disconoscimento stesso.

Ad avviso dei giudici a quibus, nel caso in cui, per incolpevole ignoranza, il padre sia venuto a conoscenza dei motivi (nella specie l'adulterio della moglie) che sono a base dell'azione solo dopo che il termine di cui all'art. 244 c.c. sia scaduto, dovrebbe a questi essere consentito di agire.

L'attuale normativa, appunto laddove non dà rilevanza alla effettiva conoscenza dei fatti che legittimano l'azione di disconoscimento, quanto al padre che incolpevolmente li abbia in precedenza ignorati, colliderebbe con l'art. 3 Cost. per una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al figlio, e con l'art. 24 Cost. in quanto si risolverebbe in una ingiustificata limitazione del diritto di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti.

Secondo i collegi remittenti, la sentenza n. 249 del 1974 della Corte costituzionale non sarebbe di ostacolo alla proposizione della questione come sopra riassunta, atteso che in primo luogo il testo dell'art. 244 é stato modificato dalla legge n. 151 del 1975 e in secondo luogo tutta la normativa concernente il diritto di famiglia risulta attualmente improntata al favor veritatis piuttosto che al favor legitimitatis, bene quest'ultimo sostanzialmente ispiratore della predetta sentenza della Corte.

Solo relativamente all'ordinanza n. 578 del reg. ord. 1977 si aveva intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e la costituzione della parte privata Giulio Spaziani Testa.

Nell'atto di costituzione, quest'ultima aderisce sostanzialmente alle ragioni contenute nell'ordinanza di rimessione e chiede che la proposta questione venga accolta.

L'Avvocatura dello Stato evidenzia che la controversia a quo rientrerebbe sotto la vigenza dell'art. 244 vecchio testo, atteso che la nascita del figlio si é verificata nel 1973. Né soccorre in senso contrario la norma transitoria di cui all'articolo 299 della legge n. 151 del 1975, che consente di estendere i termini previsti nell'originario art. 244, ma che non opera nel caso di specie, in quanto la nascita si é avuta oltre un anno prima dell'entrata in vigore della legge n. 151 del 1975.

Non essendo impugnato l'art. 244 nel vecchio testo, la questione sarebbe perciò irrilevante.

Nel merito, si osserva che le modifiche apportate all'articolo 244 c.c. per quanto concerne il marito, si riducono al prolungamento del termine da tre mesi ad un anno; rimarrebbero pertanto valide tutte le considerazioni contenute nella sentenza n. 249 del 1974 della Corte Costituzionale relative al favor legitimitatis ed alla vanificazione del termine, ove questo venisse fatto decorrere dalla conoscenza soggettiva (difficilmente controllabile) di un evento che legittimi la domanda.

Scaturirebbe da ciò l'inconsistenza della censura mossa alla norma con riferimento all'art. 24 della Costituzione, atteso che nella specie non si tratterebbe di una norma processuale, ma di una norma sostanziale, intesa ad impedire "che possa dubitarsi della legittimità della filiazione quando sia decorso più di un anno dalla nascita", onde evitare anche che possano essere oggetto di discussione eventi quali la (mancata) coabitazione, l'impotenza e l'adulterio, difficilmente verificabili a grande distanza di tempo.

Del pari infondata sarebbe la censura mossa all'art. 244 con riferimento all'art. 3 Cost.; infatti le norme sulla filiazione legittima sono "dettate nell'interesse pubblico generale e della intera famiglia, ma soprattutto nell'interesse della prole"; ove esista un interesse del figlio che intenda ottenere il disconoscimento, rinunziando così al favore di presunzione di legittimità, si é di fronte ad una situazione "radicalmente diversa" da quella del padre che, in danno del figlio, agisce in disconoscimento. Ed é conseguente che, per il figlio, si colleghi l'esperibilità dell'azione alla maggiore età o al momento successivo in cui egli viene a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento, essendo normale che di tali fatti anteriori alla sua nascita, egli venga a conoscenza con ritardo.

Si chiedeva pertanto una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione.

In una memoria presentata in prossimità dell'udienza per la parte privata Spaziani Testa si obietta alle argomentazioni dell'Avvocatura che non si può far discendere l'irrilevanza della questione proprio dall'applicazione della norma della cui costituzionalità si controverte. Si respinge l'obiezione che si sia invocato l'art. 24 della Costituzione in una questione di diritto sostanziale affermando che si tratta pur sempre di stabilire se il cittadino può far valere in giudizio il proprio diritto, e si insiste sulla violazione dell'art. 3, per il diverso trattamento del marito rispetto alla moglie e al figlio di questa di cui si disconosce la paternità.

4. - Con ordinanza in data 18 aprile 1977 (n. 461 del reg. ord. 1977), il tribunale di Roma sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale del vecchio e del nuovo testo dell'art. 244 del codice civile con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con argomenti sostanzialmente analoghi a quelli già esposti e contenuti nelle ordinanze riassunte precedentemente.

Nell'ordinanza in questione, l'azione di disconoscimento attiene ad un figlio nato nel 1956; la relativa domanda é stata proposta per il 13 gennaio 1975, in quanto il sig. Carlo Dionisi, attore, assumeva di aver saputo dell'adulterio della moglie solo il 26 ottobre 1974, in occasione della domanda di divorzio da lei proposta.

In punto di rilevanza, il collegio a quo osservava che non parrebbe preclusivo il fatto che la domanda del Dionisi sia stata proposta prima della riforma del diritto di famiglia. Su tale elemento potrebbe infatti operare "con effetto sanante", la norma transitoria di cui all'art. 229 della legge citata; a parte che "la questione di legittimità costituzionale può essere riesaminata anche con riferimento al vecchio testo dell'art. 244 c.c.".

Nell'atto di intervento, l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, svolgeva, sia sull'ammissibilità che sul merito, considerazioni sostanzialmente coincidenti con quelle già esposte a proposito dell'ordinanza riassunta in precedenza; si aggiungeva peraltro che la riproposizione (in via eventuale) della questione relativa al vecchio testo dell'art. 244 c.c., senza addurre elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte con la sentenza n. 249 del 1974, non avrebbe potuto che risolversi in un giudizio di manifesta infondatezza.

5. - Con ordinanza in data 24 maggio 1978 (n. 435 del reg. ord. 1978), il tribunale di Salerno sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c., nel testo modificato dalla legge n. 151 del 1975, in termini sostanzialmente analoghi a quelli già esposti a proposito delle ordinanze dei tribunali di Roma e di Milano in precedenza riassunte; peraltro, nel processo a quo, l'azione di disconoscimento era stata proposta, con atto del 21 luglio 1977, dal sig. Antonio Munzillo nei confronti dei due figli nati rispettivamente nel 1970 e nel 1973. L'attore aveva addotto di aver appreso del possibile adulterio della moglie solo pochi mesi prima dell'inoltro della domanda giudiziale.

Non si aveva intervento né costituzione di parti.

6. - Alla pubblica udienza del 10 febbraio 1982, l'Avvocato dello Stato e l'avv. Mario Volpe per la parte Spaziani Testa ribadivano nella discussione le rispettive tesi, già in precedenza esposte.

Considerato in diritto

Le questioni sollevate con le sette ordinanze di cui in epigrafe sono eguali o connesse: i relativi giudizi possono quindi essere riuniti e decisi con unica sentenza.

1. - É unica la questione sollevata con le ordinanze del tribunale di Torino (n. 164 del reg. ord. 1977) e del tribunale di Ravenna (n. 268 del reg. ord. 1979). L'art. 93 della legge n. 151 del 1975 (Riforma del diritto di famiglia) ha modificato l'art. 235 del codice civile. Laddove il precedente testo prevedeva che l'azione di disconoscimento di paternità é consentita al marito, fra l'altro, se nel periodo fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita "la moglie ha commesso adulterio e ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio", il nuovo testo consente, fra l'altro, al marito l'azione di disconoscimento "se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio".

Inoltre laddove il precedente testo dell'art. 235 c.c. consentiva l'azione di disconoscimento di paternità solo al marito, il nuovo testo ne consente l'esercizio anche alla madre e al figlio che ha raggiunto la maggiore età (o ad un curatore speciale nominato dal tribunale su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni).

L'art. 229 della stessa legge n. 151 del 1975 stabilisce che "le disposizioni sul disconoscimento di paternità, comprese quelle relative alla legittimazione attiva della madre e del figlio, si applicano anche ai figli nati prima della data di entrata in vigore della presente legge"; e quanto al termine stabilisce che "l'azione del padre é proponibile se a tale data non sia decorso il termine stabilito dalla legge predetta (cioè un anno dalla nascita o dalla sua conoscenza: art. 244 c.c.) il quale é prorogato della metà se, alla medesima data, manca meno di un mese alla sua scadenza"; mentre "l'azione della madre deve riguardare i figli minori ed essere proposta entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge", ed "entro lo stesso termine deve essere proposta l'azione del figlio se il termine stabilito dalla legge nei suoi confronti (cioè un anno: art. 244 c.c.) ha una scadenza anteriore".

Le due citate ordinanze dei tribunali di Torino e di Ravenna chiamano la Corte a giudicare se non sia costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di eguaglianza, il diverso trattamento riservato dalla detta disposizione transitoria al padre rispetto al figlio e alla madre quanto al termine per l'esercizio dell'azione di disconoscimento.

2. - La questione é fondata.

Con la riforma del diritto di famiglia, come si é or ora ricordato, venivano ex novo legittimati a proporre il disconoscimento la madre e il figlio, mentre al marito l'azione veniva consentita se nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio anche se non ha tenuto celate al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio.

In relazione a queste nuove disposizioni, dichiarate applicabili anche ai figli nati prima dell'entrata in vigore della legge riformatrice, il legislatore, col richiamato art. 229, ha stabilito i termini per l'esercizio delle relative azioni di disconoscimento anteriormente non consentite. E mentre per la madre e per il figlio ha dato un termine decorrente dalla legge, e quindi sempre utilizzabile, per il padre invece ha richiamato un termine (decorrente dalla nascita o dal giorno del suo ritorno alla residenza familiare se ne era lontano, o dal giorno in cui egli provi di averne successivamente avuto notizia: art. 244 c.c.) non utilizzabile ogni volta che la nascita o la sua conoscenza si sia verificata più di un anno prima dell'entrata in vigore della legge e quando egli non poteva proporre l'azione di disconoscimento perché essa non era ammessa nel caso di adulterio non accompagnato dal celamento della gravidanza e della nascita.

In sostanza, l'art. 229 dichiara applicabili le nuove disposizioni ai figli nati prima dell'entrata in vigore della legge, ma, mentre a madre e figlio consente di avvalersene in ogni caso, poiché il termine decorre dalla legge, al padre invece non consente di avvalersene se non nel caso che la nascita del figlio sia avvenuta meno di un anno prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni che gli hanno consentito l'esercizio dell'azione.

Stante l'evidente eguale fondamento della concessione di un termine conseguente all'entrata in vigore della legge che accorda l'esercizio dell'azione prima non consentita, quanto ai figli nati anteriormente alla detta entrata in vigore, appare privo di razionalità il disuguale trattamento che la legge stessa ha operato per i diversi soggetti legittimati ad avvalersi delle nuove disposizioni, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.

3. - Con le altre cinque ordinanze descritte in narrativa, tre del tribunale di Roma (nn. 461 e 588 del reg. ord. 1977; n. 426 del reg. ord. 1981), una del tribunale di Salerno (n. 435 del reg. ord. 1978), una del tribunale di Milano (n. 473 del reg. ord. 1981) i giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale del nuovo testo dell'art. 244 c.c. il quale, come si é già ricordato, consentendo l'azione di disconoscimento di paternità alla madre e al figlio oltre che al marito, fissa per l'esercizio dell'azione termini decorrenti nel caso della madre dalla nascita del figlio, nel caso del figlio dal compimento della maggiore età "o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento", nel caso del marito dal giorno della nascita del figlio, o dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui é nato il figlio o in cui é la residenza familiare se egli ne era lontano, e, quando egli provi di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, dal giorno in cui ne ha avuto notizia.

Deve innanzi tutto essere esaminata l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato in termini equivalenti nei tre giudizi nei quali é intervenuta. Rileva l'Avvocatura che le controversie cui si riferiscono le questioni sollevate sono tutte relative a figli nati prima dell'entrata in vigore della nuova legge. É vero, soggiunge l'Avvocatura, che l'art. 229 della legge n. 151 del 1975 prevede che le nuove disposizioni sul disconoscimento della paternità si applicano anche ai figli nati prima dell'entrata in vigore della nuova legge; ma poiché lo stesso art. 229 accorda l'azione al padre nel termine di un anno stabilito dalla "presente legge", e poiché la "presente legge" fa decorrere (art. 244) il termine dalla nascita o dalla sua conoscenza da parte del padre, in ogni caso l'azione di questi, promossa quando tale termine era decorso, sarebbe improponibile per decadenza. Pertanto, sempre a parere dell'Avvocatura, la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 244 sarebbe inammissibile, in quanto l'eventuale accoglimento di essa, che facesse decorrere il termine dalla conoscenza dell'adulterio da parte del marito, opererebbe come una nuova legge cui sarebbe inapplicabile il dettato del secondo comma dell'art. 229.

Ma questa eccezione é priva di fondamento in quanto é ovvio che l'eventuale accoglimento della questione avrebbe effetto nei giudizi nei quali la stessa é stata proposta, e quindi la disposizione transitoria dell'art. 229 relativa alla decorrenza del termine dovrebbe intendersi riferita alla lettura costituzionalmente legittima dell'art. 229 conseguente all'accoglimento della questione.

4. - In tutti i giudizi cui si riferiscono le ordinanze di rimessione, il marito aveva proposto l'azione di disconoscimento oltre un anno dalla nascita del figlio o dalla notizia che egli ne aveva avuta, ma entro il termine di un anno dal giorno in cui egli assumeva di avere avuto conoscenza dell'adulterio della moglie nel tempo del concepimento. In tutti i casi i giudici aditi hanno ritenuto che l'azione era inammissibile essendo stato superato il termine di decadenza fissato dalla legge, ma, come si é detto, hanno dubitato della legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della norma che mentre per il figlio fa decorrere il termine dalla conoscenza dei fatti, per il padre lo fa decorrere dalla conoscenza della nascita e non da quella dei fatti (cioè, nella specie, dell'adulterio) dai quali aveva origine il suo diritto a promuovere il disconoscimento di paternità.

La diversità di trattamento riservata dall'art. 244 c.c. al padre rispetto al figlio, affermano i giudici a quibus nelle cinque ordinanze la cui motivazione ha un eguale nucleo essenziale, non é razionalmente giustificabile e porta alla vanificazione del diritto di difesa del padre il quale, se viene a conoscenza dell'adulterio della moglie dopo che sia trascorso un anno dalla nascita del figlio (o da quando il padre ne abbia avuta notizia), decade dall'azione di disconoscimento che pure la nuova normativa (art. 235 c.c.) gli accorda, senza che tale decadenza sia a lui imputabile poiché egli non poteva agire prima di conoscere l'adulterio della moglie.

5. - La questione non é fondata.

I giudici a quibus, e così la parte costituita in uno dei giudizi innanzi la Corte (n. 578 del reg. ord. 1977), non ignorano la sentenza n. 249 del 1974, con la quale la Corte dichiarò la non fondatezza di analoga questione sollevata con riferimento al solo art. 24 della Costituzione rispetto al vecchio testo dell'art. 244 c.c. e in un caso in cui l'azione di disconoscimento era proposta allegando l'impotenza a generare conosciuta dal marito dopo che era consumato il termine di decadenza (allora trimestrale) decorrente dalla nascita o dalla sua successiva conoscenza. Ma poiché la ratio decidendi della sentenza consisteva nell'affermazione che la decorrenza del termine "da un fatto certo ed obiettivo quale é la nascita (o la conoscenza di essa)" risponde alla "esigenza della certezza giuridica dei rapporti familiari, in funzione della quale assume particolare rilievo il favor legitimitatis"; e "nel caso in esame appare razionale che, nel contrasto fra l'interesse del singolo e quello generale della tutela dei rapporti familiari, il legislatore abbia inteso salvaguardare questi ultimi, attesa la loro ovvia preminenza", i detti giudici nella ordinanza di rimessione hanno contestato la perdurante validità del ragionamento della Corte, una volta che il legislatore del 1975, innovando profondamente nell'istituto del disconoscimento di paternità (in ispecie accordando la legittimazione ad agire in disconoscimento anche alla madre e al figlio, allargando le ipotesi di ammissibilità del disconoscimento, prolungando il termine e facendolo decorrere, per il figlio, dalla conoscenza dei fatti) avrebbe attribuito prevalenza al favor veritatis rispetto al favor legitimitatis.

Ma neanche in questi termini la questione é fondata.

6. - É innegabile che nel modificare le disposizioni degli artt. 235 e 244 c.c. il legislatore del 1975 ha spostato, per così dire, l'accento dal favor legitimitatis al favor veritatis, e di ciò si trova conferma in altre disposizioni del nuovo diritto di famiglia. Ed é pur vero, che, se, a proposito dell'art. 244 c.c., il legislatore avesse voluto ulteriormente accentuare il favor veritatis, avrebbe dovuto far decorrere anche per il padre il termine dell'azione di disconoscimento dalla conoscenza dei fatti. Ma la Corte reputa che, lasciando il termine di decadenza dell'azione del padre - pur elevato ad un anno - ancorato alla conoscenza della nascita, cioè ad un evento di meno aleatoria prova, il legislatore abbia voluto porre al favor veritatis un limite giustificato dai pericoli e dagli inconvenienti di uno sconvolgimento di rapporti familiari protrattisi per lungo tempo.

Ora, se il legislatore al quale spetta di stabilire, in relazione all'evoluzione della coscienza sociale, la scala dei valori in gioco, nell'atto stesso di modificare il rapporto fra favor legitimitatis e favor veritatis, ha determinato l'ambito di questa modificazione, non si può desumere da essa, trascurandone i limiti, un principio assoluto da utilizzare in sede di censura costituzionale proprio contro le disposizioni concrete nelle quali si é espresso l'apprezzamento che il legislatore ha fatto dei due valori in gioco.

D'altra parte, il perdurante rilievo del favor legitimitatis già di per se stesso spiega perché il legislatore abbia differenziato, quanto alla decorrenza del termine per l'azione di disconoscimento, il trattamento del padre rispetto a quello del figlio: assai più importante é la certezza e permanenza dei rapporti familiari per il figlio quasi sempre minore e bisognoso di protezione familiare quando l'azione di disconoscimento viene proposta dal padre.

Facendo decorrere per il figlio l'azione di disconoscimento "dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti", mentre per il padre (così come per la madre, la quale dell'adulterio é ben a conoscenza) il termine decorre dalla nascita, il legislatore ha trattato diversamente due situazioni certamente non eguali. L'adulterio sul quale si fonda il disconoscimento si verifica al tempo del concepimento: di esso il figlio non può ovviamente mai venire a conoscenza se non in tempo assai posteriore alla nascita. Collegare, anche per lui, il termine alla nascita avrebbe significato negargli sempre l'esercizio dell'azione. Dovendo quindi collegare il termine ad un evento diverso dalla nascita, il legislatore ha scelto discrezionalmente il momento in cui il figlio diventa maggiorenne o quello, successivo, nel quale viene a conoscenza dei fatti.

La denunciata violazione dell'art. 3 della Costituzione é dunque insussistente. E ne consegue la infondatezza della questione anche con riferimento all'art. 24 della Costituzione che (anche a prescindere dal dubbio sulla possibilità di invocare il diritto di difesa a proposito di un diritto di cui é quanto meno discutibile la natura processuale) é strettamente collegata, nella stessa prospettazione dei giudizi a quibus, all'art. 3 della Costituzione.

7. - Il tribunale di Roma, nell'ordinanza n. 461 del reg. ord. 1977, dovendo giudicare su una istanza presentata prima dell'entrata in vigore della nuova legge afferma che "l'effetto sanante" dell'art. 229 della stessa rende applicabile alla specie il regime del nuovo testo dell'art. 244, soggiungendo che in ogni modo la questione avrebbe potuto essere riesaminata anche con riferimento al vecchio testo. E nel dispositivo solleva la questione rispetto al vecchio e al nuovo testo.

Poiché, come sopra si é visto, la Corte ha esaminato e dichiarato infondata la questione rispetto al nuovo testo dell'art. 244, esattamente ritenuto applicabile dal giudice a quo, non vi é motivo a provvedere sulla questione relativa al vecchio testo dell'art. 244 c.c.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 229 della legge 19 maggio 1975, n. 151, nella parte in cui non prevede che l'azione di disconoscimento di paternità sia proponibile dal padre entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa, nell'ipotesi che nel periodo compreso fra il trecentesimo e il centottantesimo giorno prima della nascita la moglie abbia commesso adulterio;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 244 c.c. sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dai tribunali di Roma, Salerno e Milano con le ordinanze di cui in epigrafe (nn. 461 e 578 del reg. ord. 1977; n. 435 del reg. ord. 1978; nn. 426 e 473 del reg. ord. 1981).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1982.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Brunetto  - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 1 aprile 1982.