Sentenza n. 53 del 1982
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SENTENZA N. 53

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE         

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente 

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, comma primo, della legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sospensione di termini processuali per il periodo feriale) promosso con ordinanza emessa l'8 settembre 1975 dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Vannarelli Mariano ed altri, iscritta al n. 547 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1981 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

In un procedimento per lesioni personali ed altri reati in corso di istruzione presso il Tribunale di Roma, il difensore di uno degli imputati, rinunciando espressamente alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, chiedeva l'immediato espletamento dell'interrogatorio di tutti gli imputati nonché di perizie medico-legali sulle parti lese.

Il Giudice istruttore, rilevato che era effettivamente opportuno nella specie procedere senza indugio a tali adempimenti nell'interesse di imputati e parti lese, osservava che peraltro a ciò si opponevano le norme di cui agli artt. 1 e 2, primo comma, legge 7 ottobre 1969, n. 742, le quali - non prevedendo per l'imputato libero la facoltà di rinuncia alla sospensione e, comunque, l'estensione degli effetti di esse nei riguardi degli altri imputati - comportano a suo avviso una sorta di paralisi processuale, ineliminabile per atto del giudice tranne che nelle ipotesi di pericolo di prescrizione del reato (art. 2 cpv. legge 742/69) e di scadenza della durata massima della custodia preventiva (art. 2 legge 152/75).

Ciò premesso il G. I., con ordinanza emessa l'8 settembre 1975, sollevava questione di legittimità costituzionale delle norme sopracitate. Concedendo solo all'imputato detenuto o al suo difensore la facoltà di rinunciare alla sospensione dei termini processuali, esse opererebbero una discriminazione rispetto all'imputato libero e sarebbero perciò in contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost..

Inoltre essendo tale rinuncia, nei processi contro più imputati (detenuti, ovvero detenuti e liberi, ovvero liberi), priva di efficacia nei confronti delle altre parti, l'impossibilità di compiere improrogabili attività istruttorie valide per tutti pregiudicherebbe il diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma, Cost.; e ciò "a prescindere dall'ingiustizia di far scontare al prevenuto - che pure ha rinunciato alla sospensione - le ferie di altri con il ritardo della definizione del processo e il relativo immancabile danno".

In punto di rilevanza il G. I. osservava infine che essa non poteva "trovare ostacolo nella periodica delimitazione temporale dell'efficacia della legge 1969, n. 742, e nel fatto che dal 16 settembre riprenderanno a decorrere i termini processuali, ché altrimenti si arriverebbe all'assurdo di considerare la legge in esame, che pure incide su diritti sanciti dalla Costituzione, una legge insuscettibile di verificazione di legittimità costituzionale".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 28 gennaio 1976.

In contrario, l'Avvocatura dello Stato, intervenendo in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, osservava che al giudizio di rilevanza é del tutto estranea la valutazione della possibilità o probabilità che la risoluzione della questione di legittimità costituzionale risulti indispensabile per la definizione di altri giudizi; e che, per quanto concerne il giudizio a quo, l'evidente impossibilità di definire la questione (sollevata l'8 settembre 1975) prima della scadenza del periodo feriale (16 settembre 1975) rendeva manifesta l'irrilevanza di essa. La decisione della Corte, anche se di accoglimento, non potrà infatti mai permettere al G. I. di accogliere l'istanza del difensore; ed anzi il solo risultato concreto e certo dell'introduzione del giudizio di costituzionalità non potrà che essere di ritardare il corso del procedimento istruttorio, cioè proprio il contrario del fine perseguito dal difensore.

Comunque, ad avviso dell'Avvocatura, la questione é infondata nel merito. Il diverso trattamento fatto all'imputato detenuto (ed al suo difensore) rispetto all'imputato libero in tema di facoltà di rinunzia alla sospensione dei termini si giustifica col fatto che, se entrambi hanno interesse a sentire affermata la propria innocenza, il primo ha anche ed essenzialmente l'interesse a riacquistare, con la definizione del processo, la libertà personale.

D'altra parte, il far prevalere l'esigenza di assicurare un periodo di riposo ad avvocati e procuratori sull'interesse alla affermazione di innocenza dell'imputato libero é una scelta di politica legislativa, non sindacabile sotto il profilo della legittimità costituzionale.

La questione sollevata in merito all'inefficacia, nei processi con più imputati, della rinuncia alla sospensione effettuata da uno solo di essi nei confronti degli altri sarebbe poi - ad avviso della Avvocatura - irrilevante nel giudizio a quo, risultando dalla stessa ordinanza di rinvio che questo concerne solo imputati liberi, nessuno dei quali ha, quindi, facoltà di rinunziare alla sospensione dei termini processuali.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il G. I. del Tribunale di Roma, in un procedimento in corso di istruzione contro più imputati, tutti liberi, con ordinanza emessa l'8 settembre 1975, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, primo comma, della legge 7 ottobre 1969, n. 742, ritenendone il contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost..

Ciò perché le disposizioni di legge denunziate attribuiscono all'imputato detenuto ed al suo difensore e non anche all'imputato libero, alle altre parti ed ai loro difensori la facoltà di rinunziare alla sospensione dei termini processuali e non prevedono l'effetto estensivo della detta rinunzia effettuata da una delle parti alle altre parti che detta rinunzia non hanno effettuato.

2. - In punto di rilevanza, il giudice a quo afferma che "la definizione del procedimento dipende, allo stato, dalla risoluzione delle prospettate questioni" e che il giudizio della Corte Costituzionale "non può ovviamente trovare ostacolo nella periodica delimitazione temporale dell'efficacia della legge 1969, n. 742 e nel fatto che dal 16 settembre riprenderanno a decorrere i termini processuali, ché altrimenti si arriverebbe all'assurdo di considerare la legge in esame, che pure incide su diritti sanciti dalla Costituzione, una legge insuscettibile di verificazione di legittimità costituzionale".

A sua volta, l'Avvocatura generale dello Stato sul punto medesimo, osserva che "nell'ordinanza di rinvio é stato omesso il giudizio di rilevanza, essendo stata ritenuta necessaria la risoluzione della questione di legittimità costituzionale per ragioni diverse dalla definizione del giudizio a quo".

L'eccezione di inammissibilità in questo modo avanzata non può essere accolta, per quanto concerne la questione proposta con riferimento all'art. 3 Cost..

Se, infatti, é indiscutibile che il giudice a quo, nel momento in cui sollevava la questione di legittimità costituzionale (8 settembre 1975), ben sapeva essere impossibile, non solo materialmente, ma anche giuridicamente, che essa venisse decisa prima della scadenza del termine finale di sospensione dei termini processuali (15 settembre 1975), non é meno vero che in quel momento egli era chiamato a fare applicazione delle disposizioni di legge della cui legittimità costituzionale dubitava. Ora dal sistema normativo risultante dall'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 si deduce che la pregiudizialità necessaria della questione di costituzionalità rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando tale decisione come conclusiva di un itinerario logico ciascuno dei cui passaggi necessari può dar luogo ad un incidente di costituzionalità, ogni qualvolta il giudice dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, é chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio. La prospettata "irrilevanza di fatto e sopravvenuta" della questione di legittimità costituzionale, anche se conoscibile a priori, non implica, pertanto, che la questione medesima non debba essere presa in esame (come già si desume dalla sentenza n. 109 del 1981 di questa Corte).

3. - La questione sollevata dal giudice a quo con riferimento all'art. 3 Cost., se pure ammissibile, é, peraltro, chiaramente infondata.

Dire che l'art. 2 della legge n. 742 del 1969 "opera una discriminazione tra imputati detenuti, imputati liberi e le altre parti private e i propri difensori, concedendo solo all'imputato detenuto e al suo difensore la facoltà di rinunciare alla sospensione dei termini processuali" é rendere affermazione priva di qualunque pregio, una volta che non si spende una sola parola per giustificare quella omogeneità delle situazioni poste a confronto che costituisce presupposto necessario del giudizio di uguaglianza.

Ora, la comune qualità di "parti private" ovvero di "imputati" nel processo penale non può cancellare il tratto distintivo costituito dallo stato di libertà o di detenzione di alcuni dei soggetti considerati, quasi che la privazione della libertà personale, nel corso ed ai fini del procedimento penale, rappresenti un dato marginale e trascurabile e non invece un fatto di tale rilievo che, quand'anche ritenuto necessario, nei casi e modi previsti dalla legge, pone al legislatore l'obbligo costituzionale di creare le condizioni perché sia contenuto nei termini minimi indispensabili il sacrificio di questo bene fondamentale della vita dell'uomo.

Ben diverse, dunque, sono le situazioni poste a confronto dell'imputato detenuto e del suo difensore, da un lato, e dell'imputato libero, delle altre parti private e dei loro difensori, dall'altro, e questa corposa differenza ampiamente giustifica il diverso trattamento usato dal legislatore, quando, all'art. 2, comma primo, della legge n. 742 del 1969, ha consentito solo ai primi e non anche ai secondi, di rinunziare - con dichiarazione espressa - alla sospensione dei termini processuali. La misura di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, di cui all'art. 1 della legge n. 742 del 1969, adottata per garantire il doveroso periodo di riposo alle persone che partecipano all'attività giudiziaria, non opera, nella materia penale, che qui soltanto viene in considerazione, quando entra in gioco l'interesse pubblico preminente all'accertamento ed alla repressione dei reati, se la tutela di esso possa venire compromessa per il consumarsi dei termini di prescrizione; mentre all'imputato detenuto ed al suo difensore é consentito di rinunziare a detta sospensione al fine di accelerare, per quanto possibile, i tempi di un procedimento dai cui sviluppi - siano per lui positivi o negativi - dipende la libertà dell'imputato stesso.

La disposizione di legge denunziata non incorre, dunque, nelle censure mosse dal giudice a quo.

4. - Il G. I. di Roma dubita altresì che gli artt. 1 e 2, primo comma, della legge n. 742 del 1969 contrastino con l'art. 24, secondo comma, Cost., in quanto non prevedono che la rinuncia alla sospensione dei termini effettuata soltanto da una delle parti in un processo contro più imputati spieghi efficacia nei confronti delle altre, con conseguente impossibilità di esplicare improcrastinabili attività istruttorie valide per tutti.

Questa seconda questione - a prescindere dai problemi interpretativi che essa implica - é peraltro inammissibile, mancandone la rilevanza nel giudizio a quo, pendente contro imputati tutti liberi, una volta riconosciuta la infondatezza della questione proposta al fine di estendere anche agli imputati liberi ed alle altre parti private nonché ai loro difensori la facoltà di rinunziare alla sospensione dei termini processuali riconosciuta dalla legge soltanto all'imputato detenuto ed al suo difensore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, primo comma, della legge 7 ottobre 1969 n. 742 sollevata, con riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost. dal G. I. presso il Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, primo comma, della legge 7 ottobre 1969 n. 742, sollevata con riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. dal medesimo G. I. presso il Tribunale di Roma con la stessa ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 3 marzo 1982.