Sentenza n. 8 del 1982

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SENTENZA N. 8

ANNO 1982

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 5, penultimo e ultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1 ("Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali" - Inappellabilità delle ordinanze di natura cautelare del giudice amministrativo di 1 grado) promossi dal Consiglio di Stato con sette ordinanze della IV e con quattro della V Sezione giurisdizionale rispettivamente emesse in data 7 febbraio 1978 (tre ordinanze), 26 luglio 1978, 5 giugno 1979, 20 ottobre 1978, 6 luglio 1979, 4 luglio 1980, 30 luglio 1980 (due ordinanze) e 24 aprile 1981, iscritte ai nn. 224, 225 e 226 del registro ordinanze 1978, ai nn. 244, 677 e 678 del registro ordinanze 1979, ai nn. 154 e 866 del registro ordinanze 1980 ed ai nn. 25, 210 e 470 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 186 del 1978, nn. 140 e 332 del 1979, n. 131 del 1980 e nn. 56, 77, 172 e 241 del 1981.

Visti gli atti di costituzione di Lucianetti Teresa ed altri, del Comune di San Severo, di Nasi Enrico, di Savini Nicci Lavinia, di Stoppani Antonio e del Comune di Chiaravalle, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 ottobre 1981 il Giudice relatore Guglielmo Roehrssen;

uditi gli avvocati Mario Troccoli, per il Comune di San Severo, Cleto Boldrini, per il Comune di Chiaravalle, Antonio Stoppani, per Nasi Enrico e per se medesimo e Adriano Pallottino per Savini Nicci Lavinia e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Il Consiglio di Stato (IV Sez.), con tre ordinanze identiche del 7 febbraio 1978 nel corso di giudizio d'appello proposto avverso ordinanze del TAR per l'Abruzzo, con le quali veniva sospesa l'esecuzione di provvedimenti amministrativi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 103 della Costituzione, dell'art. 5, ultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1. a norma del quale "le ordinanze emesse ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non sono appellabili al Consiglio di Stato".

Premesso che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto, in generale, l'appellabilità delle pronunce cautelari, si osserva che la norma impugnata é inserita in una legge avente per oggetto l'accelerazione stelle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e d'impianti e costruzioni industriali, cosicché l'inappellabilità va ritenuta sancita unicamente in relazione ai provvedimenti emessi in detta materia.

Ora, la restrizione apportata alla struttura ordinaria del processo cautelare di sospensione, normalmente articolato nella duplice valutazione degli organi di primo e secondo grado non sarebbe assistita da valide ragioni giustificative, atteso che i particolari motivi di urgenza che hanno indotto il legislatore ad accelerare le procedure della legge n. 1 del 1978, non valgono nel processo amministrativo cautelare, preordinato al sollecito accertamento della convenienza ed utilità della sospensione ai fini di una tutela provvisoria delle situazioni giuridiche dedotte in giudizio. Inoltre, la disparità di trattamento tra i mezzi di tutela assicurati alle parti dall'ordinamento processuale amministrativo, a seconda che i provvedimenti impugnati ricadano o meno nell'ambito della legge n. 1 del 1978, non si rivelerebbe finalizzata ad assicurare una maggiore resistenza ai provvedimenti emessi per la esecuzione di opere pubbliche o di impianti e costruzioni industriali, giacché anche in queste ipotesi i criteri di valutazione del giudice non differiscono da quelli generali e sono diretti sempre ad accertare insieme alla non manifesta infondatezza delle censure la ricorrenza degli effetti della esecuzione.

Ancora, il meccanismo abbreviato per la pronuncia nel merito del ricorso prevista dall'art. 5, quarto comma, della stessa legge n. 1 del 1978, non può essere considerato una alternativa alla limitazione della impugnabilità delle ordinanze di sospensione, in quanto la procedura d'urgenza non sarebbe idonea a tutelare l'interesse delle parti, e la restrizione del potere di sospensione non sarebbe coerente con la vigente struttura del giudizio amministrativo, anche sulla base dei principi affermati nella sentenza n. 284 del 1974 della Corte costituzionale.

Da tutto ciò deriverebbe il contrasto della norma impugnata col principio di uguaglianza, con il diritto di difesa e con lo stesso sistema di giustizia amministrativa, nel quale l'attribuzione del potere di sospensione é connaturale all'attribuzione del potere di annullamento degli atti amministrativi, attribuito in ultima istanza al Consiglio di Stato.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte sono intervenute soltanto talune parti private (Lucianetti ed altri) non costituite nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata ed il Comune di San Severo, parte in uno dei giudizi a quibus, chiedendo anch'esso che la questione sia dichiarata non fondata, in quanto la norma impugnata non violerebbe l'art. 3 della Costituzione, giacché la disparità di trattamento, per essere ingiustificata, deve riguardare situazioni uguali mentre la materia dei provvedimenti ablatori per fini di pubblico interesse particolarmente urgenti é suscettibile, per le sue particolarità, di discipline differenziate rispetto ad altra materia. Né la norma impugnata violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione, perché il doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale.

Questione identica é stata sollevata dal Consiglio di Stato (Sez. IV) con ordinanza 6 luglio 1979.

 

In questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata in quanto non sussisterebbe limitazione del diritto di difesa nei confronti della pubblica Amministrazione, giacché se anche il potere di sospensione é connaturale in un sistema di tutela giurisdizionale che si realizzi con l'annullamento degli atti della P.A., la tutela cautelare sarebbe ugualmente assicurata dalla norma impugnata, che si limita ad escludere che il processo cautelare si articoli in due gradi di giurisdizione. Infatti é principio affermato dalla Corte costituzionale che il doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale e non inerisce, per necessaria implicazione, alla garanzia del diritto di difesa. Inoltre, il fine della legge impugnata, escluderebbe ogni violazione del principio di uguaglianza, il quale non impone l'uniforme disciplina di tutti i procedimenti giurisdizionali che si svolgono davanti al medesimo giudice e quindi non preclude al legislatore di dettare una disciplina speciale per una intera categoria di simili procedimenti, determinata in relazione a particolari situazioni o fini da perseguire e rapporti da regolare.

Questione analoga é stata sollevata dal Consiglio di Stato (Sez. IV) con altra ordinanza 26 luglio 1978, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 103 della Costituzione.

Si afferma che l'inappellabilità delle ordinanze cautelari limita il diritto di difesa e di tutela nei confronti della P.A. per tutto il periodo intercorrente fra la pronuncia dell'ordinanza del TAR che accorda o nega la sospensione e la sentenza che definisce il processo di primo grado, dopo la quale soltanto si possono chiedere al Consiglio di Stato ulteriori misure cautelari attraverso la domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza di primo grado. Tale situazione, ove sia stata accordata la sospensione, sarebbe nociva pure per la P.A., di scarso rilievo essendo il meccanismo previsto dall'art. 5 impugnato per accelerare la decisione di primo grado e la previsione di un termine di sei mesi all'efficacia dell'ordinanza di sospensione. Inoltre la limitazione - ove ritenuta sussistente - dell'inappellabilità alla sola materia disciplinata dalla legge n. 1 del 1978 comporterebbe disparità di trattamento non giustificata.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

La norma impugnata, invero, garantirebbe al cittadino la tutela giurisdizionale pure in sede cautelare, limitandosi ad escludere l'appellabilità delle ordinanze, nella norma stessa previste.

L'Avvocatura generale dello Stato, ripetute le considerazioni già vedute, osserva ancora che l'intera legge n. 1 del 1978 contiene norme derogatorie a principi generali, tutte finalizzate e perciò stesso giustificate, alla accelerazione delle procedure per l'esecuzione delle opere pubbliche, cosicché il fine, che il legislatore si é proposto, giustificherebbe la norma impugnata ed escluderebbe la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Si é costituita pure una parte privata, chiedendo che la questione sia dichiarata fondata, per le ragioni addotte nell'ordinanza di rimessione e chiedendo altresì che sia dichiarato costituzionalmente illegittimo anche il penultimo comma dello stesso art. 5 impugnato.

Questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, ultimo comma, della legge n. 1 del 1978 é stata pure sollevata con altra ordinanza 5 giugno 1979 dal Consiglio di Stato (Sez. IV), in riferimento agli artt. 24, 97, 100, 103 e 125 della Costituzione.

Secondo detta ordinanza l'istanza di sospensione introduce un procedimento giurisdizionale distinto, seppure collegato, rispetto a quello principale, a sé stante essendone sia la causa petendi sia il petitum. Ne deriverebbe che alla pronuncia che conclude tale procedimento, dovrebbe riconoscersi contenuto risolutivo di un autonomo rapporto litigioso e, pertanto, vera natura decisoria e che la esclusione della proponibilità di impugnativa in appello contemplata dalla disposizione in esame, confligerebbe con il combinato disposto degli artt. 100, primo comma, e 125, secondo comma, della Costituzione, i quali, nel prevedere la istituzione di organi di giustizia amministrativa di mero "primo grado" (art. 125, secondo comma) e nel configurare il Consiglio di Stato come organo supremo di tutela della giustizia nell'amministrazione (art. 100, primo comma) cui spetta competenza decisoria necessaria finale nelle controversie in tema di interessi legittimi, inibirebbero al legislatore ordinario la fissazione di norme che invece, come nel caso, dei tribunali regionali facciano organi decisori di unico grado.

La limitazione in questione confligerebbe inoltre anche con l'art. 24, comma primo, della Costituzione, nella parte in cui garantisce la possibilità di agire in giudizio per la tutela degli interessi legittimi. Infatti nel nostro ordinamento dette situazioni giuridiche sono suscettive di ricevere riparazione alle ingiuste lesioni subite non in forme generiche, come il risarcimento del danno, ma solo in forma specifica attraverso il ripristino dello stato antecedente, ovvero con la emanazione di un nuovo provvedimento che legittimamente sostituisca quello invalido annullato. Consegue che la tutela di tali posizioni é condizionata alla conservazione nel corso di un giudizio di una situazione materiale la quale consenta poi, in ipotesi di accoglimento del ricorso, il ripristino dello stato antecedente ovvero la utile emanazione del nuovo provvedimento; la tutela del diritto di difesa postulerebbe allora la necessità di dotare il titolare di esse dei mezzi giudiziari onde ottenere la predetta conservazione della situazione materiale esistente, tra i quali quello di richiedere la sospensione del provvedimento impugnato, e quello di proporre appello avverso le ordinanze di tale richiesta reiettive.

Analogo discorso va fatto - sempre secondo l'ordinanza con riferimento alla posizione della Pubblica Amministrazione intimata nel giudizio cautelare in relazione al principio di buon andamento della sua attività emergente dall'art. 97, comma primo, della Costituzione, giacché il rispetto di tale principio comporterebbe la necessità che all'amministrazione sia riconosciuto ogni possibile mezzo giudiziario atto a consentirle il perseguimento di indifferibili interessi pubblici e, dunque, anche il potere di gravarsi avverso le ordinanze dei tribunali regionali statuenti la sospensione del provvedimento impugnato.

Né in contrario alle esposte osservazioni varrebbe la possibilità per le parti di chiedere la revoca delle ordinanze cautelari allo stesso giudice che le ha pronunciate, essendo siffatte istanze legittimamente proponibili solo in ipotesi di sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto, e non anche allo scopo di lamentare erroneità di giudizio inficianti l'ordinanza.

Qualora poi alla norma impugnata fosse da attribuire una sfera di operatività circoscritta alle sole ordinanze emanate nella materia interessata dalla legge 3 gennaio 1978, n. 1, si porrebbe un'ulteriore questione di incostituzionalità in relazione all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo che non sarebbe dato rinvenire razionale giustificazione della differenziazione di regime che verrebbe in tal guisa a verificarsi tra le ordinanze cautelari pronunciate nella materia predetta e le ordinanze cautelari pronunciate in ogni diversa materia.

Subordinatamente all'ipotesi di declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 5, ultimo comma, della su menzionata legge n. 1 del 1978, nella stessa ordinanza 5 giugno 1979 si solleva questione di legittimità costituzionale del penultimo comma dello stesso art. 5, nella parte in cui circoscrive l'efficacia delle ordinanze di sospensione dei tribunali amministrativi regionali a non oltre sei mesi dalla loro emanazione, questione ritenuta rilevante essendo alla sua risoluzione direttamente legata la possibilità di accoglimento o meno della domanda dedotta, diretta a sentire integrare la pronuncia di sospensione del provvedimento impugnato emessa dal Tribunale regionale, con l'ulteriore statuizione della sua operatività fino al termine del giudizio di primo grado.

Il penultimo comma contrasterebbe con gli artt. 3, 24, 97, 103 e 113 della Costituzione in quanto:

a) la scadenza di efficacia della ordinanza di sospensione al compimento del sesto mese ingiustificatamente priva il soggetto istante, per la rimanente durata del giudizio di primo grado, di tutela cautelare senza che il decorso dei sei mesi sia a lui imputabile;

b) una norma la quale legittima la ripresa dell'attuazione del provvedimento impugnato, malgrado la presenza di una pronuncia giurisdizionale che, sia pure soltanto in via meramente delibativa, si é positivamente espressa nel senso della sussistenza di un concreto fumus di invalidità e della suscettività della relativa esecuzione a cagionare un danno grave e irreparabile sarebbe in contrasto col principio del buon andamento dell'Amministrazione, tanto più che, cessata l'efficacia della ordinanza di sospensione per scadenza di sei mesi, l'autorità procedente può proseguire l'iter di realizzazione dell'opera fino alla pubblicazione della sentenza di prime cure, per poi vederselo nuovamente passibile di sospensione da parte del giudice d'appello;

c) come già affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 27 dicembre 1974, n. 284), una volta strutturato dal legislatore un sistema di giustizia amministrativa avente il suo cardine nella giurisdizione generale di annullamento degli atti illegittimi, é naturale e conseguenziale l'attribuzione all'organo deputato all'annullamento del concorrente potere di sospensione dell'atto impugnato, consentendo esso di provvisoriamente anticipare l'effetto finale della giurisdizione, sì che questo intervenga re adhuc integra: principio questo, che sarebbe incompatibile con la fissazione di un termine di durata dell'ordinanza di sospensione.

Davanti a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Ha sostenuto che l'ultimo comma dell'art. 5 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, riguarda solo le ordinanze di sospensione di provvedimenti riguardanti l'oggetto di detta legge e che una volta attribuito al TAR il potere di sospensione del provvedimento amministrativo, non contrasta con gli articoli 103 e 125 della Costituzione una normativa, come quella in questione, che non prevede impugnativa dinanzi al Consiglio di Stato del provvedimento del TAR tenuto conto della fissazione di un termine di efficacia al provvedimento del TAR e della successiva devoluzione, in sede d'appello, di tutta la controversia al Consiglio di Stato. Né detta normativa contrasterebbe con l'art. 24 della Costituzione, non avendo esso costituzionalizzato, né per il giudizio di merito né tanto meno per il giudizio cautelare, il principio del doppio grado di giurisdizione. Neppure, infine, la norma impugnata contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, essendo essa giustificata dalla materia alla quale si riferisce e dalla specialità del procedimento giurisdizionale cautelare dettato dagli ultimi due commi dell'art. 5 della legge n. 1 del 1978, rispetto alla disciplina generale risultante dalla legge n. 1034 del 1971.

Si é costituita pure la parte privata chiedendo declaratoria d'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Questioni analoghe alle precedenti sono state pure sollevate dal Consiglio di Stato (Sez. V) con 4 ordinanze del 20 ottobre 1978, del 4 luglio 1980 e due del 30 luglio 1980, e nei relativi giudizi si sono costituiti il Presidente del Consiglio dei ministri ed una parte privata (Savini Nicci Lavinia), chiedendo, il primo, che le questioni siano dichiarate non fondate e la seconda che siano ritenute fondate.

Infine questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, ultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, é stata sollevata anche con ordinanza (Sez. V) 24 aprile 1981, in riferimento agli articoli 3, 24, 100, 103, 113 e 125 della Costituzione; in tale ordinanza si fa riferimento, per la motivazione della non manifesta infondatezza della questione, all'ordinanza del 4 luglio 1978 (rectius: 4 luglio 1980) già citata.

Nel giudizio si sono costituite due parti private chiedendo che la questione sia dichiarata fondata l'una, che sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, infondata l'altra.

A sostegno della non fondatezza, la parte privata che la sostiene ha depositato una elaborata memoria, nella quale si cita ampiamente la giurisprudenza e la dottrina che, anteriormente alla decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 1978, ritennero non impugnabili le ordinanze di sospensione emesse da giudici amministrativi di primo grado e si critica la decisione dell'Adunanza plenaria. Si sostiene, altresì, che la norma impugnata avrebbe valore interpretativo e portata generale.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze di cui in narrativa sollevano tutte questioni di legittimità costituzionale identiche o connesse e pertanto i giudizi con esse promossi vanno riuniti ai fini di un'unica pronuncia.

2. - Le questioni sollevate con le ordinanze predette sono le seguenti:

a) illegittimità costituzionale dell'art. 5, ultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1 ("Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali") - il quale esclude la appellabilità al Consiglio di Stato delle ordinanze dei tribunali amministrativi regionali che si pronunciano sulla domanda di sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato - in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 100, 103, 113 e 125 della Costituzione;

b) illegittimità costituzionale dell'art. 5, penultimo comma, della stessa legge n. 1 del 1978, nella parte in cui limita la efficacia della ordinanza con la quale il TAR sospende la esecuzione dell'atto amministrativo impugnato a sei mesi, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103 e 113 della Costituzione (questione sollevata solo con la ordinanza 5 giugno 1979 dalla Sez. IV del Consiglio di Stato, n. 677/1979).

3. - La prima delle accennate questioni é fondata, con riferimento all'art. 125, secondo comma, della Costituzione.

É invero, giurisprudenza costante di questa Corte che l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale (da ultimo sentenza n. 62/1981), ma nei casi che formano oggetto delle ordinanze di cui in epigrafe la giurisprudenza stessa non può essere applicata, in quanto si tratta di questioni attinenti alla giurisdizione amministrativa la quale trova nella stessa Carta costituzionale una disciplina differenziata. Infatti l'art. 125, secondo comma, esplicitamente stabilisce che i tribunali amministrativi da istituire (e poi istituiti con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 "Istituzione dei tribunali amministrativi regionali") sono giudici di primo grado, soggetti pertanto al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato.

Il che trova spiegazione nei caratteri propri della giurisdizione amministrativa ordinaria, che verte particolarmente nella sfera del pubblico interesse e rende, quindi, opportuno il riesame delle pronunce dei tribunali di primo grado da parte del Consiglio di Stato, che trovasi al vertice del complesso degli organi costituenti la giurisdizione stessa.

Non v'ha, quindi, dubbio che nel settore in parola il principio del doppio grado di giurisdizione abbia rilevanza costituzionale.

Il problema da risolvere, pertanto, é quello di accertare se questo principio copra il solo processo di merito ovvero anche il processo incidentale cautelare, consistente nel decidere se sussistano gravi ragioni per sospendere la esecuzione dell'atto amministrativo impugnato dinanzi al TAR in attesa della pronuncia sul merito del gravame che acclara definitivamente la legittimità o meno di tale atto.

Ad avviso della Corte la risposta al quesito deve essere affermativa.

La giurisprudenza di questa Corte medesima (sentenze numeri 284 del 1974 e 227 del 1975), infatti, ha posto in luce il carattere essenziale del procedimento cautelare e la intima compenetrazione sua con il processo di merito nell'ambito della giustizia amministrativa, nella quale maggiormente si avverte la necessità di un istituto, quale appunto il procedimento cautelare, che consenta di anticipare, sia pure a titolo provvisorio, l'effetto tipico del provvedimento finale del giudice, permettendo che questo intervenga re adhuc integra e possa consentire in concreto la soddisfazione dell'interesse che risulti nel processo meritevole di tutela.

É del resto noto che la pronuncia incidentale sulla domanda di sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato, quale che ne sia il contenuto, é suscettibile di incidere in maniera decisiva sulle conseguenze delle pronunce di merito del giudice e, quindi, anche se indirettamente, sulla tutela sostanziale delle parti e sugli interessi che entrano nel processo amministrativo, in modo particolare sul pubblico interesse: la pronuncia incidentale, invero, come può pregiudicare (se negativa) l'interesse del privato ricorrente, così, in non pochi casi (se positiva), può pregiudicare la soddisfazione del pubblico interesse, anche se di altissimo rilievo, che l'atto amministrativo impugnato aveva ritenuto di realizzare in un determinato modo.

Date queste premesse e considerando, quindi, la necessità che le opposte posizioni del privato e della P.A. trovino la più piena e completa valutazione da parte del giudice amministrativo, é da ritenere che il principio del doppio grado di giurisdizione, e quindi la possibilità di un riesame del provvedimento decisorio del giudice di primo grado da parte del Consiglio di Stato, trovi applicazione anche nei riguardi del processo cautelare.

L'art. 125 Cost., d'altro canto, non contiene limitazione alcuna dalla quale possa dedursi che esso si riferisca esclusivamente alle pronunce di merito.

É vero, poi, che l'art. 28 della legge n. 1034 del 1971, nel trattare dell'appello menziona esplicitamente solo le sentenze dei TT.AA.RR.: ma, a parte la considerazione che esso si porrebbe in contrasto con la citata norma costituzionale ove fosse da interpretare restrittivamente, sta di fatto che la giurisprudenza amministrativa ravvisa tale disposizione come relativa a tutti i provvedimenti di carattere decisorio del giudice di primo grado, fra i quali é indubbiamente compresa la ordinanza che pone termine al procedimento cautelare.

La accertata illegittimità costituzionale dell'art. 5, ultimo comma, della legge n. 1 del 1978 esime dal prendere in considerazione gli altri profili di illegittimità posti in luce dai giudici a quibus.

4. - Non é fondata, invece, la seconda delle riferite questioni.

Come risulta dai lavori preparatori, la legge n. 1 del 1978 ha voluto adottare una serie di misure intese ad accelerare le procedure ed i modi di attuazione delle opere pubbliche e di altre opere di pubblica utilità che, come gli impianti industriali, hanno sempre avuto ed hanno anche nel momento presente un particolare valore ai fini della politica economica generale, provvedendo alla eliminazione degli ostacoli di natura amministrativa che si frappongono alla puntuale progressione degli investimenti pubblici.

Con il quarto comma dell'art. 5 il legislatore si é proposto anche il problema delle conseguenze connesse al prolungarsi degli effetti di una pronuncia positiva di sospensione quando tardi eccessivamente la decisione sul merito del gravame, dato che in tal caso rimane ostacolata la realizzazione delle opere alle quali la legge predetta si riferisce.

A questo fine il legislatore ha adottato talune misure considerate idonee anche a sveltire i giudizi dinanzi ai giudici amministrativi di primo grado, quando venga chiesta la sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato.

E perciò da un lato si é stabilito che la istanza di sospensione non può essere trattata se non sia stata presentata la domanda di fissazione di udienza, che costituisce condicio sine qua non per la discussione del gravame e la cui mancanza comporta la perenzione del ricorso nel termine non certo breve di due anni dalla data del suo deposito (art. 25 legge n. 1034 del 1971), evitando così che pronunce sulla sospensione possano essere emesse e produrre effetti per lungo tempo e senza collegamento con la possibilità di una sollecita discussione del merito.

Dall'altro, per accelerare il giudizio di merito, é stato fissato un termine, anche se meramente sollecitatorio, per la discussione del merito, per il caso che la domanda di sospensione sia stata accolta, e cioè quando possa risultare maggiormente compromesso il pubblico interesse.

In questo quadro si colloca anche la ulteriore misura consistente nella fissazione di un dies ad quem, decorso il quale la ordinanza che ha paralizzato la efficacia dell'atto impugnato perde essa stessa efficacia e l'atto impugnato può produrre i suoi normali effetti: si tratta di una disposizione la quale ha inteso evitare la possibilità di danni gravi alla soddisfazione del pubblico interesse ed insieme maggiormente stimolare il giudice amministrativo di primo grado a risolvere rapidamente nel merito le controversie sottopostegli e, quindi, a consentire o negare in via definitiva la realizzazione dell'opera.

D'altro canto il termine di sei mesi (che decorre dalla data della ordinanza che dispone la sospensione) appare congruo e ragionevole in relazione alla durata normale di un processo amministrativo, tenuto anche conto delle particolari ragioni di pubblico interesse che sono insite nelle materie che formano oggetto della disciplina di cui alla legge n. 1 del 1978.

Se così stanno le cose, la Corte non ravvisa ragioni di contrasto della norma in parola con la Carta costituzionale: non con l'art. 3 (punto sul quale la ordinanza non svolge alcuna considerazione), perché la materia delle opere pubbliche e di pubblica utilità ha sempre formato oggetto di attenzione particolare da parte del legislatore soprattutto al fine di accelerarne le procedure e, quindi, il soddisfacimento degli interessi pubblici ad essa connessi; non con gli artt. 24, 103 e 113, cioè con il diritto di difesa, che non viene soppresso né gravemente limitato (anzi con il riconoscimento della appellabilità delle ordinanze trova una maggiore espansione); non, infine, con l'art. 97, non potendosi ritenere che la limitazione temporale della efficacia delle ordinanze in questione comprometta il buon andamento della P.A., essendo, al contrario, rivolta a conseguire una più rapida soddisfazione degli interessi pubblici.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 5, ultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1 ("Accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali");

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, penultimo comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1 - nella parte in cui limita a sei mesi la durata dell'efficacia delle ordinanze dei TT.AA.RR. che sospendano la esecuzione dell'atto impugnato - sollevata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 5 giugno 1979, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103 e 113 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 1982.

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.

Depositata in cancelleria il 1 febbraio 1982.