SENTENZA N. 284
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 13, ultimo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Norme sull'edilizia residenziale pubblica), e dell'art. 9, nono comma, della legge regionale siciliana 31 marzo 1972, n. 19 (Provvedimenti per la semplificazione delle procedure amministrative), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 aprile 1972 dal Consiglio di Stato - sezione IV - sul ricorso di Del Sarto Clorinda ed altri contro il Ministero dei lavori pubblici ed il Prefetto di Grosseto, iscritta al n. 300 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 254 del 27 settembre 1972;
2) ordinanze emesse il 15 giugno 1972 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana sui ricorsi rispettivamente di Failla Lucia ed altri contro il Prefetto di Siracusa ed altri, e di Liotta Filippo ed altri contro la Regione siciliana ed altri, iscritte ai nn.315 e 357 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972 e n. 317 del 6 dicembre 1972.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e del Presidente della Regione siciliana, nonché gli atti di costituzione del Ministero dei lavori pubblici, dei Prefetti di Grosseto e di Siracusa, del Proweditorato alle opere pubbliche per la Sicilia e del Comune di Palermo;
udito nell'udienza pubblica del 23 ottobre 1974 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;
uditi l'avv. Antonino Sansone, per il Comune di Palermo, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri, per il Presidente della Regione siciliana, per il Ministero dei lavori pubblici, per i Prefetti di Grosseto e di Siracusa e per il Provveditorato alle opere pubbliche per la Sicilia.
Ritenuto in fatto
1. - A seguito del ricorso proposto da Clorinda, Rodolfo ed Anna Maria Del Sarto avverso il decreto del Ministro per i lavori pubblici (dichiarativo della pubblica utilità di un'opera rientrante tra quelle contemplate dall'art. 9 della legge 1971, n. 865 sull'edilizia residenziale pubblica) ed il connesso decreto del Prefetto di Grosseto di occupazione di urgenza di terreni di proprietà dei ricorrenti, il Consiglio di Stato - sezione IV giurisdizionale - , in sede di decisione sulla domanda incidentale di sospensione dei provvedimenti impugnati, con ordinanza in data 18 aprile 1972, ha sollevato questione di legittimità - in riferimento all'art. 113, comma secondo, della Costituzione - dell'art. 13, ultimo comma, della legge 1971, n. 865 citata: secondo cui, appunto, l'esecuzione delle dichiarazioni di pubblica utilità, dei decreti di occupazione e dei provvedimenti espropriativi posti in essere per la realizzazione delle opere di cui all'art. 9 della stessa legge "può essere sospesa nei soli casi di errore grave ed evidente nell'individuazione degli immobili ovvero nell'individuazione delle persone dei proprietari".
2. - Anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana - con ordinanza 15 giugno 1972 (emessa in un giudizio instaurato su ricorso di Lucia Failla ed altri avverso il decreto prefettizio che aveva autorizzato il Comune di Lentini ad occupare di urgenza fondi dei ricorrenti per procedere a sistemazione di strade comunali) e con altra ordinanza in pari data (emessa a seguito del ricorso di Filippo Liotta ed altri avverso i provvedimenti di approvazione del piano regolatore della città di Palermo, che vincolavano "a scuola" terreni di loro proprietà), chiamato in entrambi i casi a decidere sulla domanda incidentale di sospensione dei provvedimenti impugnati - rilevato, in premessa, che si opponeva a tale sospensione il disposto dell'art. 13 della legge 1971, n. 865, applicabile nel territorio della Regione siciliana, in virtù dell'art. 9, nono comma, della legge regionale 31 marzo 1972, n. 19 - ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 legge 1971, n. 865.
Ha dubitato, altresì, della legittimità costituzionale dell'art. 9, comma nono, della legge 1972, n. 19 citata, oltreché in riferimento agli artt.24, 103 e 113 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, per la ragione che la potestà conferita alla Regione, di emanare norme materiali per disciplinare l'attività ed i rapporti giuridici relativi al compimento di opere pubbliche, non comprenderebbe anche il potere di regolare le forme ed i modi del giudizio sulle controversie relative ai suddetti rapporti, in particolare, il potere di limitare la tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita degli interessi legittimi.
3. - Innanzi a questa Corte, si sono costituiti, nel giudizio relativo al ricorso Del Sarto, il Ministero dei lavori pubblici ed il Prefetto di Grosseto, per il tramite dell'Avvocatura di Stato, che ha concluso, per entrambi, nel senso di una declaratoria di infondatezza della sollevata questione.
4. - Analoghe conclusioni l'Avvocatura ha spiegato relativamente alle ordinanze del Consiglio di giustizia amministrativa, in rappresentanza - nel primo giudizio - del Presidente della Giunta regionale siciliana, del Ministro per i lavori pubblici - Provveditorato alle opere pubbliche per la Sicilia, del Prefetto di Siracusa e dell'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri e - nel secondo giudizio - del Ministro per i lavori pubblici e della Presidenza della Regione siciliana.
5. - L'illegittimità della norma impugnata é stata, invece, sostenuta da Filepo, Angelo, Vincenzo e Maria Liotta.
6. - Infine, il Comune di Palermo - costituitosi anch'esso nel giudizio Liotta - ha dedotto la infondatezza della questione di legittimità dell'art. 13 legge 1971, n. 865 e, quanto all'art. 9 legge 1972, n. 19 citata, in via principale la inammissibilità della questione (e solo subordinatamente la infondatezza): inquantoché - fermo restando il principio che la legge regionale, neppure in materia di competenza esclusiva, può limitare i poteri attribuiti dalle leggi dello Stato agli organi di giustizia amministrativa - non si ravviserebbe, comunque, nella specie, una tale limitazione, ripetendo l'art. 9 legge 1972, n. 19, quanto già contenuto in una norma statale legittima, quale l'art. 13 legge 1971, n. 865.
Considerato in diritto
1. - Dispone l'art. 13 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che, nella materia della edilizia residenziale pubblica, l'esecuzione dei provvedimenti di dichiarazione di pubblica utilità, di occupazione temporanea e di urgenza e di espropriazione (impugnati innanzi all'organo giurisdizionale amministrativo) "può essere sospesa nei soli casi di errore grave ed evidente nell'individuazione degli immobili ovvero delle persone dei proprietari".
Tanto il Consiglio di Stato - in relazione all'art. 113, comma secondo, della Costituzione - che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana - in riferimento anche agli artt.24 e 103 della Costituzione - hanno promosso, come sopra detto, la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, dubitando che la limitazione, da questa apportata, al potere cautelare di sospensione dell'organo di giustizia amministrativa, confligga con il principio della tutela giurisdizionale del cittadino avverso atti della pubblica amministrazione, di cui la misura cautelare rappresenterebbe, appunto, una componente essenziale ed insopprimibile.
Nella prospettazione delle ordinanze di rinvio, é implicita, per altro, la denunzia di violazione anche del principio di uguaglianza, in quanto si esclude che sussistano ragioni giustificative della restrizione apportata dall'art. 13 citato al potere cautelare di sospensione, che in via generale ha - ex art. 39 t.u. leggi sul Consiglio di Stato - il solo presupposto della esistenza di "gravi ragioni" (ed, ora - in base all'articolo 21 della legge 1971, n. 1034, istitutiva dei T.A.R. - la allegazione di "danni gravi ed irreparabili derivanti dall'esecuzione dell'atto").
2. - Nel contestare la fondatezza della sollevata questione, obietta l'Avvocatura di Stato che, in realtà, la disciplina della sospensione in sede giurisdizionale non attiene al comma secondo del richiamato art. 113 della Costituzione (che, nell'escludere la limitazione della tutela a particolari mezzi di impugnazione, non si riferirebbe al petitum delle varie domande proponibili contro la P.A., ma alla causa petendi, cioè ai vizi denunciabili con il ricorso), sibbene al comma terzo della stessa norma, che contempla i poteri del giudice nei confronti degli atti amministrativi.
Epperò - poiché tale ultimo precetto implicitamente consentirebbe che la legge limiti, se non addirittura anche escluda, l'annullamento del provvedimento amministrativo - a fortiori risulterebbe ammissibile la limitazione del potere di sospensione che, rispetto all'annullamento, rappresenta un minus.
3. - osserva la Corte che l'affermazione dell'Avvocatura - che, ex art. 113, comma terzo, della Costituzione, resta demandata alla legge ordinaria la determinazione dei casi in cui possono annullarsi gli atti della P.A. e delle autorità a ciò deputate - é, indubbiamente, esatta.
Errata é, però, la conclusione che da tale premessa si intende trarre, che, cioè, resti a fortiori, in ogni caso, nella libera disponibilità del legislatore di limitare (od eliminare) il potere strumentale di sospensione degli atti impugnati.
Infatti, una vola che il legislatore ha operato le sue scelte in ordine all'attribuzione del potere finale di annullamento dell'atto e ha strutturato un sistema di giustizia amministrativa, il quale ha il suo cardine, appunto, nella giurisdizione generale di annullamento degli atti illegittimi, é naturale e conseguenziale l'attribuzione, all'organo medesimo deputato all'annullamento, del concorrente potere di sospensione cautelare dell'atto impugnato.
L'esercizio di tale potere consente, infatti, di anticipare, sia pure a titolo provvisorio, l'effetto tipico del provvedimento finale della giurisdizione, permettendo che questo intervenga re adhuc integra.
4. - Posto che il potere di sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo é un elemento connaturale di un sistema di tutela giurisdizionale che si realizzi in definitiva con l'annullamento degli atti della pubblica amministrazione e che le citate leggi sugli organi di giustizia amministrativa, in via generale e in conformità di una lunga tradizione storica, consentendo di valutare caso per caso la ricorrenza delle gravi ragioni (o del pericolo di irreparabilità degli effetti della esecuzione), una esclusione del potere medesimo o una limitazione dell'area di esercizio di esso con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi o al tipo del vizio denunciato contrasta col principio di uguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione, qualora non ricorra una ragionevole giustificazione del diverso trattamento.
Tale giustificazione non si rinviene nella specie.
Essa non può in particolare individuarsi nella urgenza delle finalità cui adempiono gli atti contemplati dalla legge 1971, n. 865, citata: inquantoché tale connotato dell'urgenza (unitamente a quello dell'indifferibilità) assiste una serie indefinita di provvedimenti di espropriazione od occupazione - cosiddetti, appunto, necessitati (cfr. i casi previsti dall'art. 71 legge sulle espropriazioni del 1865, come modificato dalla legge 1879, n. 5188, e integrato dall'art. 39 r.d. 1923, n. 422; ed, in genere, tutti i casi di opere in cui la dichiarazione di urgenza é considerata implicita nel provvedimento di approvazione del progetto: art. 6 legge 1959, n. 125, art. 12 legge 1960, n. 1676, art. 107 legge 1961, n. 469, ecc.) - e caratterizza, comunque, anche fuori della materia delle ablazioni, una altrettanto vasta gamma di provvedimenti dell'autorità.
Per tali svolte considerazioni - che si riassumono nella rilevazione di un vizio di violazione del principio di uguaglianza sul terreno della difesa avverso atti amministrativi - va, quindi, dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 13, ultimo comma, della legge 1971, n. 865.
Le medesime ragioni - di contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione (assorbito rimanendo, quindi, l'ulteriore profilo di violazione degli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale per la Regione siciliana) - sorreggono, infine, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma nono, della legge regionale 31 marzo 1972, n. 19 (denunziato nelle ordinanze del Consiglio di giustizia amministrativa), per la parte, appunto, in cui rende applicabile, nel territorio della Regione siciliana, l'art. 13, ultima parte, della legge statale 1971, numero 865, innanzi citata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale:
a) dell'art. 13, ultimo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Norme sull'edilizia residenziale pubblica); b) dell'art. 9J comma nono, della legge regionale siciliana 31 marzo 1972, n. 19 (Provvedimenti per la semplificazione delle procedure amministrative), per la parte in cui rende applicabile, nel territorio della Regione siciliana, l'articolo 13, ultimo comma, della legge 1971, n. 865.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1974.
GIULI Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1974.