SENTENZA N.58
ANNO 1980
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 59, comma primo, n. 1 e 61 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 novembre 1978 dal Giudice conciliatore di Genova nel procedimento civile vertente tra Di Vincenzo Domenico e Cevasco M. Angela, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 133 del 16 maggio 1979;
2) ordinanza emessa il 26 gennaio 1979 dal Giudice conciliatore di Caltanissetta nel procedimento civile vertente tra Cosentino Francesco e Di Benedetto Andrea ed altri, iscritta al n. 262 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 154 del 6 giugno 1979.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze 217 e 262 del 1979, meglio descritte in narrativa, prospettano questioni tra loro connesse, sicché i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.
2. - La Corte costituzionale è chiamata a decidere se gli artt. 59, primo comma, n. 1, e 61 della legge sull'equo canone n. 392 del 1978 secondo cui il proprietario locatore di una casa ha diritto di ottenerne la disponibilità nei confronti di un conduttore che gode del regime vincolistico, subordinatamente al requisito di esserne proprietario da almeno un biennio, ed alla condizione che provi la necessità di destinare l'immobile a proprio uso abitativo o commerciale contrastino, o meno, con gli artt. 42 e 47, secondo comma, della Costituzione, dubitandosi che le suddette limitazioni violino la garanzia costituzionale assicurata all'acquisizione e al godimento del diritto di proprietà, nonché la particolare tutela del risparmio popolare, sancita per favorire l'accesso all'abitazione.
3. - Il medesimo art. 61 è altresì denunciato, nella parte in cui stabilisce che il diritto di recesso può essere esercitato immediatamente dal proprietario, nel caso intenda procedere a demolizione o trasformazione dell'immobile (art. 59, n. 4, citata legge), mentre spetta solo dopo il decorso di un biennio dall'acquisto, nel caso di destinazione dell'immobile per propria necessita, per asserito contrasto con gli artt. 3, 42, 47 Cost.
É infatti prospettato il dubbio che l'indicata disparità sia ingiustificata, in quanto danneggerebbe gli inquilini poveri costretti a vivere in immobili antiquati, e privilegerebbe i proprietari costruttori o muratori che potrebbero più facilmente rientrare nel possesso dei loro immobili. Nel contempo l'inaccessibilità per un biennio alla propria abitazione, e la mancanza di godimento che ne consegue, rappresenterebbero dei limiti che eccessivamente condizionerebbero la proprietà e l'uso della casa sviando il risparmio dall'investimento in beni abitativi.
4. - Le questioni non sono fondate e non meritano accoglimento.
La Corte costituzionale, con la sentenza 29 del 1975 ha già ritenuta non fondata la censura mossa, in riferimento agli artt. 3 e 47 della Costituzione, ad una norma di contenuto analogo a quella oggi impugnata e secondo la quale chi acquistava un appartamento già locato a un inquilino avente diritto alla proroga, non poteva far valere l'azione di necessità prima che fosse decorso un certo lasso di tempo dall'acquisto stesso, (all'epoca fissato in un triennio).
Nel passato, dunque, tale termine era più lungo dell'attuale ed il decorso dello stesso costituiva quanto meno a seguito degli artt. 2 quarter e 1° quinquies delle leggi n. 351 del 1974 e 363 del 1975 condizione di proponibilità della domanda giudiziale.
La norma oggi denunciata con L'ordinanza 217/79 si limita a stabilire che la facoltà di recesso, nel caso previsto dall'art. 59, n. 1, citata legge, non può essere esercitata dall'acquirente per atto tra vivi, finché non siano decorsi almeno due anni dalla data dell'acquisto (art. 61 stessa legge 392/1978).
Ad avviso della Corte il legislatore ha voluto in tal modo contemperare l'interesse del conduttore con quello del proprietario che, acquistato un appartamento condotto da altri in locazione, invochi poi il recesso per necessità, stabilendo un periodo minimo di intangibilità del rapporto locatizio, variamente graduato, a tutela della parte economicamente più debole. Tale disciplina appare ragionevole esplicazione del l'esercizio di discrezionalità legislativa, non in contrasto con gli artt. 42, secondo comma, e 47 della Costituzione.
Invero essendo rimesso al legislatore di determinare i modi di acquisto e di godimento della proprietà, non può certo affermarsi che essa venga vanificata, con conseguente violazione dell'invocato art. 42 Cost., sol perchè il proprietario non può ottenere una decisione giudiziale in ordine al diritto di recesso prima che siano decorsi i prescritti due anni.
Pertanto tale limite del biennio, così come configurato, non produce affatto l'asserita vanificazione del diritto di proprietà che già era stata esclusa nella precedente sentenza n. 29/1975 di questa Corte in riferimento ad una più grave limitazione. La riconosciuta utilità e ragionevolezza di tale norma vale altresì ad escludere che sia imputabile alla medesima il paventato effetto di allontanare il risparmio dal bene casa, risultando così infondata anche la denunciata violazione dell'art. 47 Cost. Quanto poi alla prospettata violazione dell'art. 42 Cost. per effetto della previsione che il locatore possa recedere dal contratto solo in caso di necessita, è sufficiente osservare che tale limitazione è giustificata nel regime transitorio dal contemperamento degli opposti interessi del locatore e del conduttore come è ampiamente ricordato nella sentenza n. 22 del 1980.
5. - La censura formulata con l'ordinanza 262/1979 non tiene conto della diversità oggettiva delle situazioni poste in comparazione, (considerate rispettivamente ai nn. 1 e 4 dell'art. 59 citata legge), erroneamente prospettando l'illegittimità della norma che, nell'ultimo dei casi indicati, non pone il decorso del biennio dall'acquisto come condizione dell'azione di recesso.
Invero nel caso in cui il proprietario, ottenuta l'apposita autorizzazione amministrativa, intenda procedere ad un'opera di ricostruzione o di notevole trasformazione dell'immobile per eseguire nuove costruzioni, si verte in un'ipotesi particolare che il legislatore ha disciplinato tenendo conto, oltrechè del rapporto locatore-conduttore (tutelato mediante il prescritto preavviso di sei mesi), anche degli ulteriori interessi connessi alle esigenze di incremento e miglioria del patrimonio edilizio.
Sotto tale profilo va rilevato che condizione per l'azione di rilascio è il possesso della licenza o della concessione richieste dalle rigorose leggi vigenti in proposito, e che può escludersi, oggi, la possibilità che la norma favorisca intenti di speculazione edilizia del proprietario locatore.
Invero è ben noto che quest'ultimo potrà ricavare dalla successiva locazione degli immobili, così ricostruiti, non più un libero prezzo di mercato bensì il reddito locatizio stabilito autoritativamente dalla legge sull'equo canone.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1. - dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 59, n. 1 e 61 della legge sull'equo canone n. 392 del 1978, sollevate, in riferimento agli artt. 42 e 47 della Costituzione con l'ordinanza n. 217 del 1979, in epigrafe descritta;
2. - dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 61 in relazione all'art. 59, n. 4 della citata legge 392 del 1978, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42, e 47 della Costituzione, con l'ordinanza n. 262 del 1979, anch'essa in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/04/80.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI – Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO – Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN – Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI – Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE – Antonio LA PERGOLA – Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 22/04/80.