Sentenza n. 141 del 1979
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SENTENZA N. 141

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Avv. Leonetto AMADEI , Presidente

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma terzo, del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, convertito nella legge 30 novembre 1973, n. 766, promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 1978 dal TAR per il Friuli- Venezia Giulia, sul ricorso di Guglielmucci Lino contro l'Università degli studi di Trieste, iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 ottobre 1979 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Il prof. Lino Guglielmucci, magistrato di tribunale, in servizio presso il tribunale civile e penale di Trieste e, nel contempo, professore incaricato di diritto commerciale presso la facoltà di Economia e Commercio dell'Università della stessa città, - a far tempo dall'anno accademico 1969-70 e ininterrottamente fino all'anno accademico in corso - adiva il tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia con atto notificato all'Università di Trieste in data 18 gennaio 1977.

Esponeva il docente che la detta Università non gli aveva mai corrisposto l'assegno pensionabile previsto dall'art. 12, comma primo, del d.l. n. 580 del 1973, poi convertito nella legge n. 766 del 1973, pari a lire 1.300.000 annue lorde, e ciò in applicazione del terzo comma dell'articolo citato, che prevede che il detto assegno non é cumulabile con i trattamenti economici onnicomprensivi, quale quello di cui esso deducente gode in ragione della sua qualifica di magistrato.

A sostegno della richiesta di corresponsione dell'assegno in parola, il ricorrente adduceva la illegittimità costituzionale della norma di cui al terzo comma dell'art. 12 del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, convertito nella legge 20 novembre 1973, n. 766, nella parte in cui viene sancito il divieto di cumulo dell'assegno previsto nel primo comma dello stesso articolo con i trattamenti economici onnicomprensivi spettanti allo stesso soggetto, ma in virtù di diverso rapporto di impiego, per asserito contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione.

La Università resistente non si costituiva e il ricorso passava in decisione all'udienza del 13 luglio 1977.

Con ordinanza datata 13 luglio 1978, il tribunale amministrativo adito sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma terzo, del d.l. n. 580 del 1973, - previo positivo accertamento della rilevanza della questione stessa nel giudizio sottoposto al suo esame.

Ad avviso del Collegio a quo, la detta questione non appare manifestamente infondata: in primo luogo viene posta in risalto "l'inadeguatezza oggettiva" della retribuzione spettante al professore universitario incaricato interno (cioé già vincolato da altro rapporto di impiego), se non integrata dall'importo dell'assegno pensionabile per cui é processo. La retribuzione stessa si ridurrebbe infatti ad un importo lordo annuo oscillante fra un massimo di lire 2.170.700 - per il libero docente confermato e per il docente dichiarato maturo in un concorso per cattedra universitaria (2/3 del par. 443) - ed un minimo di lire 1.190.700 - per il cultore della materia (2/3 del par. 243).

La ricordata inadeguatezza deve essere valutata in rapporto al livello culturale, oltreché qualitativo e quantitativo, delle prestazioni didattiche e scientifiche che si pretendono da un professore universitario incaricato: ne risulta il contrasto tra la norma censurata e l'art. 36 Cost. "nella parte in cui questo ultimo sancisce che la retribuzione debba essere proporzionata alla qualità e quantità del lavoro".

Sempre secondo il tribunale remittente, la stessa norma discriminerebbe - nell'ambito della categoria dei professori incaricati universitari interni - tra coloro che godono e coloro che non godono, nel diverso rapporto di impiego che li vincola, di trattamento economico onnicomprensivo. La diversità di trattamento, siccome basata su di un elemento (onnicomprensività del trattamento economico) che riguarda esclusivamente un diverso rapporto di impiego, non attinente all'insegnamento universitario e stabilito al solo fine della chiarezza retributiva (nell'ambito del diverso rapporto) appare "ingiustificata sul piano logico e razionale", in quanto le due categorie di professori devono svolgere prestazioni e possedere requisiti del tutto identici, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Da ciò consegue, sempre secondo l'avviso del Collegio, il dubbio circa il contrasto tra tale norma e l'art. 3 della Costituzione.

Si ritiene ancora che la discriminazione testé rilevata andrebbe inevitabilmente ad assumere la funzione di un "ostacolo obiettivo" all'accesso all'insegnamento universitario da parte dei dipendenti pubblici dotati di trattamento economico onnicomprensivo. La norma impugnata darebbe luogo ad un processo di selezione dei docenti universitari che, "anziché fondarsi sul livello culturale e scientifico dei docenti e sulla loro disponibilità a svolgere le prestazioni didattiche e scientifiche connesse con la funzione", utilizzerebbe criteri del tutto incompatibili con la selezione stessa, "quali la fruizione, o meno, di un trattamento economico onnicomprensivo".

In ciò sarebbe ravvisabile un contrasto tra la norma denunciata ed il primo comma dell'art. 33 della Costituzione, secondo il quale l'arte e la scienza sono libere e libero ne é l'insegnamento, posto che la libertà di insegnamento "deve essere intesa in entrambi gli aspetti che la costituiscono, e cioé, non soltanto come libertà del docente di determinare il contenuto del proprio insegnamento, ma anche come libertà di chiunque possiede i requisiti di idoneità e disponibilità a svolgerlo di accedere alle strutture in cui deve essere impartito, senza essere in esse discriminato dal punto di vista della retribuzione conseguibile".

L'ordinanza veniva ritualmente comunicata e notificata. Non si costituiva alcuna parte privata, mentre spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.

Si osserva nell'atto di intervento che, in applicazione del terzo comma dell'art. 12 del d.l. n. 580 del 1973, alla corresponsione dell'assegno previsto nel primo comma dello stesso articolo osta non soltanto il godimento di un trattamento economico onnicomprensivo, ma anche il godimento di "altri assegni ed indennità di analoga natura".

Secondo l'Avvocatura, tale espressione conterrebbe un non equivoco riferimento all'assegno perequativo, previsto dall'art. 1 della legge 15 novembre 1973, n. 734; legge non ancora in vigore all'atto dell'adozione del decreto legge ricordato, ma vigente al momento della conversione del decreto stesso. Anche tale assegno é pensionabile, utile ai fini dell'indennità di buonuscita e di licenziamento e di esso non godono, oltre al personale insegnante dell'università, anche i funzionari con qualifica di dirigente ed i magistrati, categorie queste che fruiscono di uno stipendio che viene detto onnicomprensivo appunto "perché si considera in esso compreso, tra l'altro, anche l'assegno perequativo". Tale assegno, del resto, fu previsto proprio per restituire l'equilibrio ed il rapporto proporzionale tra i trattamenti dei vari gruppi dei dipendenti dello Stato che erano stati ritenuti turbati a seguito del trattamento differenziato introdotto per le qualifiche dirigenziali.

Ora, la medesima ratio legis dell'esclusione del cumulo tra l'assegno di cui all'art. 12 del d.l. n. 580 del 1973 e l'assegno perequativo va ravvisata nell'esclusione del cumulo dell'assegno previsto dal citato art. 12 con il trattamento onnicomprensivo (che comprende l'assegno perequativo).

Tanto premesso, l'Avvocatura riteneva infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte.

Quanto al preteso contrasto con l'art. 36 Cost., questo potrebbe caso mai ipotizzarsi in rapporto alle norme che sanciscono i livelli retributivi dei professori incaricati e non già alla norma denunziata.

Né sussisterebbe violazione dell'art. 3 Cost., atteso che la norma denunciata é tesa a conservare l'equilibrio, perseguito con la concessione dell'assegno perequativo, tra coloro che, nel diverso rapporto di impiego godono di tale assegno e coloro che fruiscono di uno stipendio onnicomprensivo. In eguale maniera la corresponsione dell'assegno previsto dal più volte citato art. 12 tende a garantire l'equilibrio retributivo tra questi ultimi, i professori di ruolo, gli incaricati esterni e gli assistenti, la cui retribuzione non comprende l'assegno perequativo né altro assegno pensionabile.

Discenderebbe dalla esclusa disparità di trattamento che la norma impugnata non pone alcun ostacolo all'accesso all'insegnamento universitario dei dipendenti pubblici, siano essi dotati di trattamento economico onnicomprensivo, o di assegno perequativo.

Considerato in diritto

1. - Il giudice a quo dubita della costituzionalità del terzo comma dell'art. 12 del d.l. 1ò ottobre 1973, n. 580 (convertito nella legge 30 novembre 1973, n. 766). Il citato articolo al primo comma attribuisce al personale insegnante universitario di ruolo, fuori ruolo e incaricato un assegno annuo pensionabile e utile ai fini dell'indennità di buonuscita e al terzo comma stabilisce che il detto assegno "non é cumulabile con altri assegni o indennità di analoga natura né con trattamenti economici onnicomprensivi".

Un primo profilo di incostituzionalità (per violazione dell'art. 3 della Costituzione) che il giudice a quo sottopone alla Corte é quello della diversità di trattamento "nell'ambito delle categorie dei professori incaricati universitari interni, fra coloro che godano e coloro che non godano, nel diverso rapporto di impiego che li vincola, di trattamento economico onnicomprensivo", i quali tutti "devono svolgere (nell'Università) prestazioni e possedere requisiti del tutto identici".

2. - La questione non é fondata.

La denunciata e soprariprodotta disposizione, infatti, esclude il cumulo dell'assegno di cui trattasi non solo con i trattamenti economici "onnicomprensivi", ma anche "con altri assegni e indennità di analoga natura".

La generalità degli "interni", cioé degli incaricati con altro rapporto di impiego pubblico, o appartengono a categorie il cui trattamento é onnicomprensivo (come i magistrati, fra i quali é il ricorrente), oppure godono dell'assegno perequativo pensionabile introdotto per gli statali dall'art. 1 della legge 15 novembre 1973, n. 734, o di altro trattamento equipollente. Il detto assegno perequativo fu appunto introdotto - come osserva l'Avvocatura citando un parere del Consiglio di Stato - per restituire l'equilibrio dei vari trattamenti dei dipendenti statali dopo l'introduzione dei trattamenti differenziati per le categorie dirigenziali. E infatti il secondo comma del citato art. 1 della legge n. 734/1973 esclude dalla corresponsione dell'assegno disposto nel primo comma i funzionari con qualifica di dirigente e il personale di cui alla legge 24 maggio 1951, n. 392, cioé i magistrati.

Ora, quando il citato d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, parla di "altri assegni e indennità di analoga natura" é evidente che il riferimento si estende all'assegno perequativo introdotto col disegno di legge presentato alla Camera quasi contemporaneamente dallo stesso governo e approvato (legge n. 734/1973) prima della conversione in legge del d.l. n. 580.

Pertanto gli incaricati universitari "interni", sia che usufruiscano del trattamento onnicomprensivo, sia che godano dell'assegno perequativo introdotto dalla legge n. 734/1973 o di altro trattamento equipollente, sono esclusi, in virtù del terzo comma dell'art. 12 del d.l. n. 580/1973 convertito nella legge n. 766/1973, dal godimento dell'assegno annuo pensionabile concesso con il primo comma del detto art. 12 al personale insegnante dell'Università. Non esiste quindi la denunciata diversità di trattamento per le due categorie di "interni".

3. - Del pari non fondata é la questione sotto il profilo della pretesa violazione dell'art. 36 della Costituzione, che si verificherebbe - secondo il giudice a quo - per l'inadeguatezza della retribuzione prevista per le prestazioni di un professore incaricato, quando essa non sia integrata dall'assegno disposto dall'art. 12 del d.l. n. 580. La invocata norma costituzionale, infatti, nel proclamare il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata al suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa, non può essere riferita alle singole fonti della retribuzione del lavoratore, ma alla sua globalità (confr. sent. n. 88 del 1970). Ora il professore incaricato interno insieme e oltre alla remunerazione per l'incarico, percepisce uno stipendio per il suo rapporto di impiego pubblico: nella specie cui si riferisce la causa lo stipendio di magistrato.

Non può quindi nemmeno ipotizzarsi una violazione dell'art. 36 della Costituzione.

4. - Egualmente é privo di fondamento il riferimento che il giudice a quo fa all'art. 33 della Costituzione assumendo che la "discriminazione" per i dipendenti pubblici dotati di trattamento economico onnicomprensivo (rispetto agli altri non dotati di tale trattamento) "assume inevitabilmente la funzione di un ostacolo obiettivo all'accesso all'insegnamento universitario" distorcendo il processo di selezione dei più meritevoli.

Poiché, come si é visto, il denunciato trattamento differenziale tra gli incaricati interni (provvisti o no di trattamento onnicomprensivo) non sussiste, il richiamo all'art. 33 della Costituzione non ha ragion d'essere.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 12, terzo comma, del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, (convertito nella legge 30 novembre 1973, n. 766), sollevate dal tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia Con ordinanza iscritta al n. 277 del registro ordinanze 1979 in riferimento agli artt. 3, 33 e 36 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1979.

Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 6 dicembre 1979.