SENTENZA N. 114
ANNO 1979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Leonetto AMADEI , Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 589, comma quinto, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 29 giugno 1977 dal pretore di Mesagne nel procedimento penale a carico di Sconosciuto Angelo, iscritta al n. 411 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 293 del 26 ottobre 1977;
2) ordinanza emessa il 13 settembre 1977 dal pretore di Orvieto nel procedimento penale a carico di Gagliardi Ercolani Giacomo, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 121 del 3 maggio 1978.
Udito nella camera di consiglio del 19 aprile 1979 il Giudice relatore Antonio La Pergola.
Ritenuto in fatto
1. - Il difensore di tale Angelo Sconosciuto, condannato ed in espiazione di pena, proponeva incidente di esecuzione avanti al pretore di Mesagne, adducendo le condizioni di grave infermità fisica dell'interessato per chiedere la sospensione dell'esecuzione della pena. La difesa dello Sconosciuto sollevava inoltre questione di legittimità costituzionale dell'art. 589, comma quinto, del codice di procedura penale, che in questo caso riserva la sospensione dell'esecuzione della pena all'esclusiva ed insindacabile competenza del Ministro della giustizia, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione. Il pretore riteneva tale questione rilevante ai fini del decidere, in quanto a norma della disposizione impugnata egli sarebbe stato incompetente a conoscere dell'istanza di scarcerazione dello Sconosciuto, e non manifestamente infondata. La norma in questione risulterebbe in contrasto con l'art. 13 Cost., che prescrive un atto motivato dell'autorità giudiziaria per qualsiasi restrizione della libertà personale, e con l'art. 24 Cost., che garantisce il diritto di difesa - carente nella specie, si assume, di fronte al potere discrezionale del Ministro - in ogni stato e grado del procedimento. i poi prospettata la violazione di altre regole costituzionali. Al Ministro della giustizia sarebbe consentito, in violazione dell'art. 102 Cost., di interferire in una funzione che é invece propria dell'ordine giudiziario. Sarebbe anche offeso il principio di eguaglianza, consacrato nell'art. 3 Cost., perché la stessa facoltà di differimento dell'esecuzione della pena, attribuita al Ministro dopo che l'espiazione é iniziata, spetta invece agli organi giudiziari prima che l'ordine di carcerazione sia eseguito, con il risultato che il trattamento del condannato verrebbe a mutare, da un caso all'altro, secondo un arbitrario ed irragionevole criterio discretivo. L'ordinanza di rinvio é stata emessa il 29 giugno 1977, e ritualmente notificata e pubblicata.
2. - Analoga questione é sollevata dal pretore di Orvieto, con ordinanza 13 settembre 1977, anche questa ritualmente notificata e pubblicata, in seguito ad istanza di rinvio dell'esecuzione della pena presentata da tale Giacomo Gagliardi Ercolani. Il giudice a quo argomenta, sostanzialmente in base alle stesse considerazioni del pretore di Mesagne, la difformità dell'art. 589, comma quinto, c.p.p. dalle norme costituzionali che governano i provvedimenti restrittivi della libertà personale, e riservano agli organi giurisdizionali le attribuzioni devolute nella specie al Ministro della giustizia (artt. 13, 101, 102 e 111 Cost.). Il pretore di Orvieto assume, inoltre, che la disposizione censurata lede l'art. 24 della Costituzione. Col prevedere la sospensione dell'esecuzione della pena, il legislatore avrebbe presupposto il diritto del condannato a che gli organi competenti la concedano, quando sussistono le condizioni a tal fine prescritte dalla legge; d'altra parte esso avrebbe lasciato questo diritto privo di tutela, dal momento che la sospensione dell'esecuzione della pena é esclusivamente ed insindacabilmente disposta dal Ministro della giustizia. Infine, si denunzia anche da questo giudice a quo la violazione del principio costituzionale di eguaglianza, sempre per il rilievo che nel regime del rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena vi sarebbe un'ingiustificata discriminazione fra i condannati, secondo se l'ordine di carcerazione sia eseguito, o no.
3. - Non essendovi state costituzioni di parti, entrambi i giudizi come sopra promossi vengono alla cognizione della Corte, convocata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze di rinvio del pretore di Mesagne e del pretore di Orvieto sollevano, sebbene sotto profili parzialmente diversi, la stessa questione di legittimità costituzionale. I due giudizi, con esse instaurati avanti questa Corte, possono perciò essere riuniti e decisi congiuntamente.
2. - L'una e l'altra ordinanza di rimessione muovono dall'assunto che l'art. 589, comma quinto, del codice di procedura penale confligge con l'art. 13, comma secondo, della Costituzione. La disposizione censurata attribuisce al Ministro della giustizia - nelle ipotesi previste dall'art. 147 del codice penale, e quando l'ordine di carcerazione del condannato sia già stato eseguito - il potere di sospendere l'esecuzione della pena. I giudici a quibus ritengono che, con ciò, vi sia illegittima interferenza dell'esecutivo nell'ambito che, ai sensi dell'art. 13 Cost., é invece esclusivamente riservato agli organi giudiziari. Discenderebbe di qui la violazione degli altri precetti costituzionali, come viene prospettata, sostanzialmente negli stessi termini, nelle due ordinanze di rinvio. La previsione della discrezionale ed insindacabile competenza dell'autorità amministrativa implica, si assume, che viene meno la tutela giurisdizionale del diritto del condannato, assicurata dall'art. 24 Cost., ed, inoltre, che risultano lese le norme costituzionali concernenti la funzione propria dell'ordine giudiziario (articoli 101, 102, 111 della Costituzione). Ne seguirebbe, infine anche la violazione del principio di eguaglianza, sancito nell'art. 3 Cost.: ai sensi del comma terzo dell'art. 589, c.p.p., il potere di differire l'esecuzione della pena, quando questa non é ancora iniziata, spetta, sempre nelle ipotesi contemplate dall'art. 147 c.p., agli organi giudiziari, cioé al pubblico ministero o al pretore competenti per l'esecuzione; la disposizione censurata avrebbe, dunque, introdotto un'arbitraria ed irragionevole discriminazione fra il condannato che "per qualsivoglia causa, e al limite anche per fatto proprio, si sia sottratto all'ordine di carcerazione", ed il condannato che espia la pena, nei confronti del quale é prevista la competenza del Ministro.
3. - Per le ragioni sopra esposte, occorre prima di tutto indagare se l'art. 589, comma quinto, c.p.p., confligga, come ritengono i giudici a quibus, con l'art. 13, comma secondo, Cost. La questione é fondata. Il caso di specie é quello, previsto nell'art. 147, comma primo, n. 2, c.p., di un condannato che versa in condizioni di grave infermità fisica. Il Ministro della giustizia é al riguardo investito di un potere discrezionale ed insindacabile, che egli esercita, sia col disporre sia col negare la sospensione dell'esecuzione della pena. Si tratta però di materia certamente sottratta alla competenza degli organi esecutivi, in forza della fondamentale ed inderogabile garanzia costituzionale, consacrata nella norma della quale é denunziata la violazione, che esige l'atto motivato dell'autorità giudiziaria per qualsiasi restrizione della libertà personale.
La Corte ha del resto, in riferimento all'art. 13, comma primo, Cost., già dichiarato l'illegittimità costituzionale di altre disposizioni di legge, le quali conferivano al Ministro della giustizia poteri sotto vario riguardo interferenti nell'ambito in cui devono operare la riserva di competenza degli organi giudiziari, e la connessa tutela della libertà personale: il potere di revocare ex art. 207, comma ultimo, c.p., le misure di sicurezza, prima che sia decorso il tempo corrispondente alla durata minima fissata dalla legge (sentenza n. 110 del 1974), nonché il potere di concedere, ex art. 43 del r.d. 28 maggio 1931, n. 602, la liberazione condizionale prevista e regolata nell'art. 176 c.p. (sentenza n. 204 del 1974). Quest'orientamento va riaffermato nel presente giudizio anche per altre considerazioni. Come nei casi decisi con le pronunzie sopra citate, così nella specie, il potere attribuito al Ministro non trae alcun fondamento dalle regole costituzionali (artt. 107 e 110 Cost.), che a questo organo riconoscono espressamente certe attribuzioni, sempre, però, sul presupposto che egli c membro del Governo, responsabile dell'organizzazione e dei servizi del suo dicastero.
A ciò si aggiunge che il decidere intorno al rinvio dell'esecuzione della pena concerne per un verso le restrizioni della libertà personale, e per l'altro l'attuazione della potestà punitiva dello Stato: la quale ultima - é stato affermato nella sentenza n. 204 del 1974, e deve ripetersi in questa sede - non può essere spostata in capo al Ministro, senza vulnerare la sfera degli organi ad essa istituzionalmente preposti. La norma attributiva della competenza al Ministro va dunque dichiarata costituzionalmente illegittima perché contrasta, non soltanto con l'art. 13, ma con il sistema della Costituzione, nonché con il principio dell'esclusività della funzione propria dell'ordine giudiziario, e della sua distinzione dagli altri poteri dello Stato.
Il rinvio dell'esecuzione della pena resterà conseguentemente affidato, anche ad espiazione iniziata, agli organi giudiziari - pubblico ministero o pretore - competenti per l'ipotesi che l'ordine di carcerazione del condannato non sia stato ancora eseguito. Tale previsione normativa risulta dal disposto dell'art. 589, comma terzo, c.p.p., ed esce indenne, occorre precisare, dalle censure mosse al comma quinto dello stesso art. 589, c.p.p., oggetto del presente giudizio. Non si ha infatti alcuna violazione del principio di uguaglianza, perché la parità di trattamento dei condannati é assicurata in ogni caso in cui viene in considerazione la facoltà di sospendere l'esecuzione della pena, e così anche in quello di cui si discute. I rilievi sopra svolti assorbono, poi, gli altri profili della questione, sotto i quali si deduce che al Ministro é consentito di invadere un ambito precluso agli organi del potere esecutivo: una volta che differimento e sospensione dell'espiazione della pena sono rimessi agli organi dell'esecuzione penale, qualsiasi decisione, non importa se favorevole o sfavorevole all'interessato, sarà sempre, e in piena aderenza ai precetti della Costituzione, il risultato di un atto motivato dell'autorità giudiziaria.
4. - Resta tuttavia da considerare che nelle ordinanze di rinvio é altresì prospettata la violazione dell'art. 24 Cost. I giudici a quibus assumono che, sussistendo le condizioni prescritte per la sospensione dell'esecuzione della pena, il condannato abbia diritto ad ottenerne l'accertamento e ad ottenere, in conseguenza, detta sospensione. La competenza in proposito attribuita al Ministro sarebbe incostituzionale, sotto il profilo qui considerato, proprio in quanto il discrezionale ed insindacabile provvedimento amministrativo di quest'organo sfugge ai rimedi giurisdizionali, che dovrebbero presidiare il diritto del condannato.
Ora, é principio di civiltà giuridica che al condannato sia riconosciuta la titolarità di situazioni soggettive attive, e garantita quella parte di personalità umana, che la pena non intacca. Tale principio é accolto nel nostro ordinamento: nell'art. 27, comma terzo, Cost. é detto, anzitutto, che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità"; ed é, allora, alla luce di questo precetto che, nel caso in esame, va considerato il trattamento del condannato. L'espiazione della pena offenderebbe il senso di umanità, al quale é manifestamente ispirata la citata statuizione costituzionale, se non fosse sospesa o differita con riguardo a chi versa nelle condizioni di infermità previste nell'art. 147, comma primo, n. 2, c.p. Deve infatti trattarsi di grave infermità fisica non suscettibile di guarigione mediante le cure o l'assistenza medica disponibili nel luogo di detenzione.
D'altra parte, qui si tratta di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena: agli organi giudiziari spetta pur sempre una competenza discrezionale, diversamente dalle altre ipotesi in cui, secondo il codice penale, detto rinvio é obbligatorio. Il che implica che gli organi competenti sono chiamati non soltanto a verificare la presenza delle condizioni richieste dalla legge perché sia sospesa l'esecuzione della pena, ma anche ad apprezzare opportunamente le ragioni giustificative della sospensione - nella specie, la grave infermità fisica dell'interessato - in rapporto ad altre considerazioni, le quali possono di volta in volta rilevare per il provvedimento da emettere.
Siamo comunque di fronte ad un provvedimento che, sia se concede sia se nega il rinvio dell'esecuzione della pena, incide nella sfera della libertà personale del soggetto. La tutela giurisdizionale della posizione soggettiva del condannato discende, dunque, da questa natura dell'atto riservato agli organi giudiziari, e dalla conseguente applicabilità, nel nostro caso, dei rimedi previsti dal codice di procedura penale. Precisamente, é da ritenere che, allo stato attuale della legislazione, l'interessato possa proporre incidente di esecuzione ex art. 628, comma secondo, c.p.p. avverso il rifiuto o la revoca del provvedimento di sospensione, e ricorso per cassazione, ex art. 631, comma secondo, c.p.p., contro l'ordinanza con cui il giudice decide su tale incidente. Diversamente, sarebbe leso l'art. 24 Cost. La conclusione alla quale questa Corte é pervenuta esclude una simile conseguenza; al tempo stesso, essa assicura che la sospensione dell'esecuzione della pena ricada nell'ambito di competenza dell'autorità giudiziaria, e sia circondata dalle garanzie connesse con l'esercizio della giurisdizione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 589, comma quinto, del codice di procedura penale nella parte in cui - nel caso previsto dall'art. 147, comma primo, n. 2 del codice penale - attribuisce al Ministro della giustizia il potere di sospendere l'esecuzione della pena, quando l'ordine di carcerazione del condannato sia già stato eseguito.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 luglio 1979.
Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 6 agosto 1979.