SENTENZA N. 89
ANNO 1979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Leonetto AMADEI , Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 11, 12, 16, 28, commi primo, secondo, quarto, e 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 (imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 16 dicembre 1974 dal pretore di Mestre nel procedimento civile vertente tra Tagliacozzo Sergio e il Comune di Venezia, iscritta al n. 116 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 4 giugno 1975;
2) ordinanza emessa il 4 ottobre 1976 dal pretore di Livorno nel procedimento civile vertente tra Nardini Alessandro e Ivana ed il Comune di Livorno, iscritta al n. 716 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 12 gennaio 1977;
3) ordinanza emessa il 31 marzo 1977 dal pretore di San Donà di Piave nel procedimento civile vertente tra Boldrin Eugenio e il Sindaco di Venezia, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 del 22 giugno 1977.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1979 il Giudice relatore Michele Rossano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1) Con ricorso 14 agosto 1974 al pretore di Mestre Sergio Tagliacozzo propose opposizione, ai sensi dell'art. 9 legge 3 maggio 1967, n. 317, avverso l'ordinanza 6 luglio 1974, con la quale il Sindaco di Venezia gli aveva ingiunto di pagare la somma di lire diecimila quale sanzione per la violazione degli artt. 9 e 10 del regolamento comunale per il servizio delle pubbliche affissioni - riferiti agli artt. 106 e seguenti legge 3 marzo 1934, n. 383 - per avere affisso in Mestre, Via Caneve, senza autorizzazione, tre manifesti, ciascuno delle dimensioni di metri 0,70 per 0,50, contenenti l'avviso della pubblicazione e della vendita, davanti alle scuole, del bollettino n. 2 degli organismi autonomi degli studenti.
Con lo stesso atto introduttivo il ricorrente sollevò la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 28, commi primo, secondo e quarto, e 51 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, "nella parte in cui sottopongono alla disciplina prevista per la pubblicità commerciale anche le forme di propaganda ideologica, senza distinzione di sorta, perché incompatibili con i principi contenuti negli artt. 21 e 53, comma primo, della Costituzione".
Con ordinanza 16 dicembre 1974 il pretore di Mestre ha ritenuto rilevante ai fini della decisione della causa e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dall'opponente.
L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 4 giugno 1975.
Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private.
É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con atto depositato il 15 maggio 1975, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
2) Con ricorso 15 gennaio 1975 al pretore di Livorno Alessandro e Ivana Nardini proposero opposizione avverso l'ordinanza 24 dicembre 1974, con la quale il Sindaco di Livorno aveva a loro ingiunto il pagamento della somma di lire trentamila per la violazione dell'art. 13 regolamento dell'imposta comunale sulla pubblicità, perché Alessandro Nardini il 6 agosto 1974 "alla guida dell'autovettura Fiat 500 targata LU 108971, transitava in via Garibaldi effettuando pubblicità fonica con slogan politici del partito Stella Rossa, senza aver pagato la relativa imposta all'Ufficio comunale competente"; e Ivana Nardini era chiamata a rispondere, in solido, della infrazione nella sua qualità di proprietaria dell'autovettura.
Con ordinanza 4 ottobre 1976 il pretore di Livorno ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, 12 e 16 d.P.R. n. 639 del 1972, in riferimento agli artt. 3, 21 e 53, comma primo, della Costituzione, ritenendola rilevante ai fini della decisione della causa e non manifestamente infondata.
L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 12 gennaio 1977.
Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private e non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
3) Con ricorso 22 dicembre 1975 al pretore di San Donà di Piave Eugenio Boldrin propose opposizione, ai sensi dell'art. 9 legge 3 maggio 1967, n. 317, avverso l'ordinanza 21 ottobre 1975, con la quale il Sindaco di Venezia gli aveva ingiunto di pagare la somma di lire diecimila, quale sanzione per infrazione degli artt. 1, 10 del regolamento comunale per il servizio delle pubbliche affissioni e degli artt. 106 e seguenti legge 3 marzo 1934, n. 383, per "aver disposto l'affissione, in diversi punti della zona di Cavallino, Cà di Valle, Cà Ballarin, Cà Pasquali, Cà Savio, Treporti e Punta Sabbioni, di n. 60 manifesti di cm. 70 x 100 dal titolo "Referendum abrogativo delle leggi autoritarie sull'aborto - Comitato per il Referendum - Via Felisati 04 - tel. 982653" senza autorizzazione del Sindaco".
Nello stesso atto l'opponente propose la questione di legittimità costituzionale degli artt. 28 e 51 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 - del quale costituiva normativa di esecuzione il regolamento comunale per il servizio delle pubbliche affissioni - in riferimento agli artt. 21 e 53 della Costituzione.
Con ordinanza 31 marzo 1977 il pretore di San Donà di Piave ha ritenuto rilevante, ai fini della decisione della causa, e non manifestamente infondata la questione - proposta dall'opponente - concernente la "legittimità costituzionale degli artt. 1 e 28, commi primo e quarto, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, nella parte in cui subordinano ad una autorizzazione comunale ed al pagamento di una imposta le forme di propaganda ideologica effettuata a cura diretta degli interessati e senza fine di lucro", in riferimento agli artt. 21, comma primo, e 53, comma primo, della Costituzione.
L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 169 del 22 giugno 1977.
Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private.
É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con atto depositato il 12 luglio 1977, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. - I tre giudizi vanno riuniti in quanto hanno per oggetto questioni in parte identiche.
Secondo il pretore di Mestre gli artt. 1, 28, commi primo, secondo e quarto, e 51 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 (Imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni) - nella parte in cui sottopongono alla disciplina prevista per la pubblicità commerciale anche le forme di propaganda ideologica effettuata a cura diretta degli interessati e senza fini di lucro, mediante affissione di manifesti - sarebbero in contrasto con gli artt. 21 e 53, comma primo, della Costituzione perché, prescrivendo l'autorizzazione discrezionale del Comune ed il pagamento di imposta, renderebbero più difficile e, a volte, impossibile la libera manifestazione del pensiero e prevederebbero l'imposizione di un tributo senza che vi sia manifestazione di reddito o di spesa che giustifichi tale imposizione.
Ad avviso del pretore di San Donà di Piave i citati artt. 1 e 28, commi primo e quarto, d.P.R. n. 639 del 1972 - nella parte sopra specificata - violerebbero l'art. 21 della Costituzione, che riconosce ad ogni persona il diritto soggettivo di manifestare, in qualsiasi forma, la propria ideologia; e l'art. 53 della Costituzione medesima, dato che colpirebbero attività nelle quali non potrebbe ravvisarsi alcuna manifestazione di capacità contributiva.
Il pretore di Livorno ha denunciato la violazione degli artt. 3, 21 e 53, comma primo, della Costituzione da parte degli artt. 11, 12,16 citato d.P.R. n. 639 del 1972, che renderebbero impossibile la manifestazione e la divulgazione del pensiero perché assoggetterebbero ad imposta le forme di pubblicità ideologica effettuata con l'uso di autoveicoli muniti di mezzi sonori, a cura diretta degli interessati e senza fini di lucro.
2. - Relativamente alle ordinanze del pretore di Mestre e di San Donà di Piave, che secondo l'ordine logico si esaminano congiuntamente, va considerato che la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 28, primo, secondo e quarto comma, e 51 del d.P.R. n. 639 del 26 ottobre 1972, nella parte in cui sottopongono alla disciplina prevista per la pubblicità commerciale anche la forma di propaganda ideologica, in riferimento agli artt. 21 e 53, comma primo, della Costituzione, fu sollevata dalla parte nei ricorsi contro le ordinanze del sindaco di Venezia di pagare la somma di lire diecimila per violazione degli artt. 9 e 10 del regolamento comunale. Nelle ordinanze la questione, sotto gli aspetti precisati, fu ritenuta rilevante e non manifestamente infondata in quanto, ai termini dell'art. 3 del d.P.R. suindicato, il regolamento e le tariffe per l'applicazione sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni erano deliberati dal Consiglio comunale, con la conseguenza che dalla pronuncia di illegittimità delle norme denunciate sarebbe derivata l'illegittimità degli artt. 9 e 10 del regolamento comunale e dell'ordinanza. Tale questione non é fondata.
3. - Questa Corte, con la sentenza n. 1 del 5 giugno 1956, affermò che il quinto comma dell'art. 113 del t.u. delle leggi di pubblica sicurezza n. 773 del 18 giugno 1931, il quale disponeva che "le affissioni non possono farsi fuori dei luoghi destinati dall'autorità competente", non era in contrasto con l'art. 21 della Costituzione né con altra norma costituzionale. Tale principio affermò in coerenza con l'altro, posto in risalto nella sentenza stessa, che una disciplina delle modalità di esercizio di un diritto, in modo che l'attività di un individuo, rivolta al perseguimento dei propri fini, si concili con il perseguimento dei fini degli altri, non é da considerare di per sé violazione o negazione del diritto. Tali concetti furono espressamente richiamati nella sentenza n. 48 del 1964, la quale affermò che l'obbligo degli artt. 1 e 8, comma quarto, della legge n. 212 del 4 aprile 1956 di affiggere manifesti soltanto negli spazi a ciò destinati dal Comune non toccava minimamente il diritto di manifestare il proprio pensiero, né comportava violazione del diritto di usare i mezzi che ne realizzavano la diffusione. E ciò, in quanto dette norme, che si limitavano a disciplinare il diritto, apparivano estrinsecazione di un potere del legislatore ordinario, del quale la Corte, in riferimento a varie fattispecie e con ripetute e costanti pronunce, aveva riconosciuto la piena legittimità sempre che il diritto attribuito dalla Costituzione non fosse stato snaturato. Tali generali considerazioni, espresse in questione concernente il divieto penalmente sanzionato di affissione dei manifesti di propaganda elettorale fuori degli spazi stabiliti dal Comune, furono ribadite con la sentenza n. 129 del 24 giugno 1970, che le ritenne appropriate ed applicabili al caso di contravvenzione per affissione di un manifesto fuori degli spazi a ciò destinati non per propaganda elettorale. E nella stessa sentenza le ragioni di consentire l'affissione di manoscritti e stampati solo negli appositi spazi furono ravvisate nella esigenza di considerare altri interessi pubblici di primaria considerazione, come la sicurezza della viabilità, la tutela dei monumenti, dell'estetica cittadina, del paesaggio.
4. - In coerenza con tali principi, affermati con giurisprudenza costante, deve ritenersi che non siano in contrasto con l'art. 21 della Costituzione gli artt. 1 e 28, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 639 del 1972 in quanto dispongono che le pubbliche affissioni costituiscono servizio di esclusiva competenza comunale e i diritti sulle pubbliche affissioni si applicano ai manifesti, avvisi e fotografie, di qualunque materia costituiti, esposti a cura del Comune negli spazi riservati dallo stesso nell'ambito del proprio territorio. Ma la questione é stata ritenuta non manifestamente infondata dai pretori in quanto le suindicate disposizioni e il quarto comma dell'art. 28 sarebbero in contrasto con l'art. 21, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui subordinano ad una autorizzazione comunale ed al pagamento di un'imposta le forme di propaganda ideologica a cura diretta degli interessati e senza motivo di lucro.
Anche sotto tali aspetti non esiste contrasto.
Il quarto comma dell'art. 28 del d.P.R. n. 639 del 1972 dispone che "il Comune può tuttavia consentire l'affissione diretta da parte degli interessati, in spazi di loro pertinenza, di manifesti e degli altri mezzi di cui al precedente comma; in tal caso é dovuto il pagamento della relativa imposta sulla pubblicità in misura pari ai diritti sulle pubbliche affissioni ridotti del cinquanta per cento". Il limite della discrezionalità nell'osservanza dell'obbligo di gestire il pubblico servizio é segnato dall'interesse pubblico che nelle singole fattispecie il Comune deve tutelare (cfr. sentenza n. 129 del 24 giugno 1970, retro cit.), in connessione con l'interesse privato all'affissione in luogo di sua pertinenza. E l'art. 37 dello stesso d.P.R., nell'ovvio presupposto di una richiesta da parte dell'interessato, stabilisce che "la giunta comunale, sentita la locale commissione edilizia, determina, previo consenso dei proprietari, gli spazi in cui é consentita l'affissione. Qualora non sia possibile tale determinazione mediante accordo fra il Comune e i proprietari, ad essa provvede il Prefetto, sentito l'Ufficio del Genio Civile e la Sovraintendenza alle antichità e belle arti, il quale determinerà anche la misura dell'indennizzo. Nei locali degli uffici delle pubbliche affissioni devono essere esposti, in modo da potersi facilmente consultare dal pubblico, la tariffa del servizio ed un elenco sul quale devono essere indicati gli spazi destinati alle affissioni e la categoria alla quale gli spazi stessi appartengono".
Per siffatta complessa normativa, che concerne l'ambito del servizio di affissioni in tutto il territorio comunale, la discrezionalità del Comune, prevista dal citato quarto comma dell'art. 28 del d.P.R. n. 639 del 1972, non é affatto incensurabile, ma é soggetta, secondo i principi dell'ordinamento, al sindacato del giudice competente.
5. - Quanto poi al parametro dell'art. 53 della Costituzione, va considerato che i limiti di applicabilità rispetto a tale articolo, che questa Corte ha già avuto occasione di indicare (cfr. sentenze n. 30 del 1964; n. 128 del 1966; nn. 23 e 97 del 1968; n. 85 del 1969; n. 91 del 1972; n. 201 del 1975; n. 62 del 1977) non sono stati specificamente contestati, assumendosi soltanto che la propaganda ideologica, in luoghi diversi da quelli riservati per l'affissione dai Comuni, deve essere esente da tributi.
6. - Occorre appena rilevare che non é appropriato il riferimento alla sentenza n. 131 del 1973 di questa Corte, contenuto nell'ordinanza del pretore di Mestre. Tale sentenza, richiamati i principi in tema di pubblicità affine, si riferisce all'ipotesi diversa della pubblicità affine speciale, eseguita dai diretti interessati in via ambulante.
7. - É invece fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 del d.P.R. n. 639 del 26 ottobre 1972 in riferimento agli artt. 3, 21 e 53 Cost., sollevata dal pretore di Livorno.
Questa Corte, con la sentenza 16 luglio 1973, n. 131, dichiarò: 1) l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, legge 5 luglio 1961, n. 641, in relazione all'art. 2, commi secondo e terzo, della stessa legge, nella parte in cui assoggettava ad imposta anche le forme di propaganda ideologica effettuata senza fini di lucro, a diretta cura degli interessati; 2) ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639, limitatamente alla parte in cui assoggettava ad imposta anche le forme di pubblicità ideologica effettuata a cura diretta degli interessati senza motivi di lucro.
Affermò che sussisteva il prospettato contrasto con gli artt. 21 e 53, comma primo, della Costituzione, perché la norma denunciata colpiva anche quelle forme di propaganda meramente ideologica effettuata, senza fini di lucro, a cura diretta dell'interessato, come l'esporre un cartello o il distribuire personalmente manifestini, nelle quali non era dato ravvisare alcuna manifestazione di reddito o di spesa che giustificasse l'imposizione stessa.
E da ritenere, sul piano razionale, che anche la propaganda ideologica effettuata mediante circolazione di persone con automobile e senza fini di lucro non sia di per sé manifestazione di un reddito o di una spesa che giustifichi l'imposizione del tributo per pubblicità.
Deve quindi dichiararsi, per somiglianza di situazioni giuridicamente rilevanti ai termini dell'art. 3, primo comma, Cost., l'illegittimità dell'art. 12 (tariffe per la pubblicità effettuata con veicoli in genere) dello stesso d.P.R. citato, in riferimento agli articoli della Costituzione sopra menzionati.
Non é invece fondata la questione di legittimità dell'art. 11 (tariffa per la pubblicità effettuata con veicoli pubblicitari) e dell'art. 16 (tariffa per pubblicità sonora effettuata a mezzo di apparecchi da posti fissi) dello stesso d.P.R. in riferimento agli artt. 3, 24 e 53, comma primo, Cost. perché, per il loro contenuto, non escludono una manifestazione di reddito che consenta l'imposizione di un tributo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 639 (Imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni), limitatamente alla parte in cui assoggetta ad imposta anche le forme di pubblicità ideologica effettuata con veicoli, a cura diretta degli interessati, senza motivi di lucro;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 28, commi primo, secondo e quarto, e 51, stesso d.P.R. n. 639 del 1972, proposte dal pretore di Mestre con ordinanza 16 dicembre 1974, in riferimento agli artt. 21 e 53, comma primo, della Costituzione;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 28, commi primo e quarto, stesso d.P.R. n. 639 del 1972, proposte dal pretore di San Donà di Piave con ordinanza 31 marzo 1977, in riferimento agli articoli 21, comma primo, e 53, comma primo, della Costituzione;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 16 stesso d.P.R. n. 639 del 1972, proposte dal pretore di Livorno, con ordinanza 4 ottobre 1976, in riferimento agli artt. 3, 21 e 53, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.
Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 26 luglio 1979.