SENTENZA N. 74
ANNO 1979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Leonetto AMADEI, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 176 primo cpv. del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 28 febbraio 1978 dal Giudice di sorveglianza presso il tribunale di Nuoro, sull'istanza proposta da Marino Luigi, iscritta al n. 299 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 257 del 13 settembre 1978.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 1979 il Giudice relatore Oronzo Reale;
udito il vice avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il detenuto Marino Luigi, ristretto nella Casa di lavoro di Mamone, in espiazione di una pena complessiva di anni tre e mesi nove di reclusione, presentava in data 1 agosto 1977 istanza di liberazione condizionale.
Il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Nuoro, nell'esaminare tale istanza, sollevava, con ordinanza in data 28 febbraio 1978, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 176 del codice penale nella parte in cui prevede che al recidivo qualificato possa essere concessa la liberazione condizionale soltanto dopo che questi abbia scontato non meno di quattro anni e comunque almeno i tre quarti della pena inflittagli, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
Il giudice a quo, premesso che il Marino era recidivo aggravato (art. 99 cpv. n. 2 c.p.) e che non aveva scontato, al momento della domanda, quattro anni di reclusione pur avendo scontato trenta mesi della pena inflittagli, sicché l'istanza dello stesso Marino non era ammissibile a termini dell'art. 176 c.p sollevava la riferita questione di legittimità costituzionale.
Ricordava il magistrato a quo come la giurisprudenza della Corte di cassazione fosse univoca nell'identificare in una maggiore capacità criminale da riconoscersi iuris et de iure al recidivo aggravato o reiterato rispetto al primario od al recidivo semplice, il motivo per cui é richiesto, ai fini della ammissibilità della domanda di liberazione condizionale, un maggiore periodo di osservazione in espiazione di pena.
Preso atto di tale consolidato indirizzo giurisprudenziale, il giudice a quo, a sostegno del dubbio di costituzionalità concernente la norma denunziata, osservava che la valutazione della personalità del detenuto, ai fini dell'accoglimento della domanda di liberazione condizionale, é vincolata dalla legge a criteri di "assoluto rigore"; e che il periodo di trenta mesi stabilito come minimo dall'art. 176 c.p., nella prima parte, é più che sufficiente a fondare un giudizio razionale sul ravvedimento di qualsiasi condannato. Tale considerazione appare poi avvalorata sia dall'attuale "contesto normativo in materia penitenziaria, che consente l'utilizzazione di molteplici strumenti di indagine sulla personalità del detenuto e sullo sviluppo del suo trattamento rieducativo", sia dall'attuale indirizzo legislativo che "mostra di legare ogni giudizio sulla pericolosità sociale del reo più al potere discrezionale del giudice che non a presunzioni legali iuris et de iure, come sarebbe dimostrato dalla presente formulazione degli artt. 99 e 69 del codice penale". Da tutto quanto sin qui esposto, deriverebbe la prospettata violazione dell'art. 3 della Costituzione, atteso che la diversità di condizioni prevista dall'art. 176 c.p. per i recidivi qualificati si appaleserebbe in contrasto con il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sotto il "profilo della irrazionalità ed ingiustificatezza di tale diversificazione".
Per ciò che attiene invece all'asserita violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, il giudice osservava che, premessa la congruità del termine di trenta mesi al fine di formulare un razionale giudizio sulla personalità del condannato, sussisterebbe un diritto del condannato stesso a vedere "riesaminata la sua posizione in ordine alla prosecuzione della pena per accertare se quella già espiata abbia assolto il suo fine rieducativo". Tale diritto verrebbe frustrato, pur in presenza di prova certa di avvenuto ravvedimento, in ragione del mancato decorso di un termine di espiazione ingiustificatamente motivato da una presunzione assoluta di maggiore capacità criminale, peraltro già focalizzata dalla maggiore misura della pena inflitta donde il dubbio di conformità al citato art. 27 della Costituzione.
Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di costituzionalità suesposte fossero dichiarate infondate.
Osservava all'uopo l'Avvocatura circa la questione sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione, che il determinare in maniera differenziata il periodo minimo di pena che deve essere espiata onde godere della liberazione condizionale in ragione delle condizioni soggettive del condannato, risponde a valutazioni di politica criminale, soggette a possibili mutamenti, ma comunque non viziate da irrazionalità siccome scaturenti da differenziazioni suassunte nell'attuale ordinamento.
Anche sotto il profilo dell'art. 27, comma terzo, della Costituzione, sempre secondo l'Avvocatura, la valutazione compiuta dal legislatore circa la necessità, in presenza di particolari condizioni soggettive del condannato, di un più lungo periodo di espiazione per poter ottenere la liberazione condizionale, risponde a ragioni di politica criminale, non tali da determinare un problema di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
La Corte rileva che, nel sollevare, con riferimento agli artt. 3 e 27, comma terzo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 176, 1 cpv., c.p. nella parte in cui prevede che la liberazione condizionale non possa essere concessa al recidivo qualificato se non previa espiazione di almeno quattro anni di reclusione e di almeno tre quarti della pena inflitta, il giudice di sorveglianza presso il tribunale di Nuoro ha tacitamente presupposto la propria legittimazione a sollevare la questione stessa.
Tale presupposto é errato.
La Corte ha esaminato la questione in una recentissima sentenza (n. 8 del 1979) decidendo su questioni di legittimità costituzionale sollevate con varie ordinanze e relative alle condizioni fissate nell'art. 176 c.p. per la concessione della libertà condizionale, condizioni che venivano assunte come in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
E la Corte, mentre ha ritenuto ammissibile (dichiarandola peraltro infondata) la questione sollevata dalla Corte d'appello di Trento, competente a concedere la liberazione condizionale in virtù della legge 12 febbraio 1975, n. 6, ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate, anche esse, dopo la entrata in vigore della detta legge, da vari giudici di sorveglianza.
La Corte ha rilevato che con l'entrata in vigore della citata legge n. 6 del 1975 é venuto meno il potere-dovere del giudice di sorveglianza (nell'esprimere il parere al Ministro della giustizia, competente a concedere la liberazione condizionale secondo la normativa precedente alla legge n. 6 del 1975) di dichiarare inammissibile l'istanza del condannato quando difettavano manifestamente le condizioni dell'art. 176 c.p. relative alla pena da scontare: potere-dovere che si concretava in un provvedimento decisorio non soggetto a reclamo, ritenuto di natura giurisdizionale.
La nuova normativa, infatti, ha trasferito alla Corte d'appello l'intera attività giurisdizionale relativa alla concessione della liberazione condizionale, abolendo ogni competenza decisoria del giudice di sorveglianza circa l'ammissibilità della domanda e riservandogli solo un parere che egli deve dare non più al Ministro, ma ad una autorità giudiziaria, cioè alla Corte d'appello.
Queste considerazioni hanno portato e portano la Corte a dichiarare la inammissibilità delle questioni incidentali di legittimità costituzionale sollevate dal giudice di sorveglianza chiamato ad esprimere il parere di cui all'art. 2 della legge n. 6 del 1975.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 176, primo cpv., del codice penale sollevata dal giudice di sorveglianza presso il tribunale di Nuoro per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1979.
Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 16 luglio 1979.