Sentenza n. 8 del 1979
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SENTENZA N. 8

ANNO 1979

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Leonetto AMADEI, Presidente

Prof Antonino DE STEFANO

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 176 codice penale e dell'art. 1 legge 12 febbraio 1975, n. 6, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 aprile 1975 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Oristano sull'istanza di Cadeddu Giuseppe Raimondo, iscritta al n. 232 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 202 del 30 luglio 1975;

2) ordinanza emessa il 14 marzo 1976 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze sull'istanza di Castellino Gaetano, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 9 giugno 1976;

3) ordinanza emessa il 15 dicembre 1975 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Oristano sull'istanza di Ghiro Adalgisa, iscritta al n. 445 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 218 del 18 agosto 1976;

4) ordinanza emessa il 19 aprile 1977 dalla Corte d'appello di Trento sull'istanza di Pedroni Guglielmo, iscritta al n. 316 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 251 del 14 settembre 1977.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1979 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito il vice avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa in data 19 aprile 1975 il giudice di sorveglianza del tribunale di Oristano sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p., con riferimento agli artt. 3, prima parte, e 27, terzo comma, della Costituzione.

Il detenuto Cadeddu Giuseppe Ralmondo, condannato alla pena complessiva di due anni e nove mesi di reclusione, dopo aver scontato venticinque mesi e diciannove giorni della pena, aveva presentato istanza di liberazione condizionale.

Il giudice a quo, nel presupposto che l'art. 191 del r.d. 18 giugno 1931, n. 787 (Regolamento degli Istituti di prevenzione e pena), fosse tuttora in vigore, rilevava che egli, non avendo il condannato scontato almeno trenta mesi della pena inflittagli, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la istanza del Cudeddu, e ciò in applicazione della norma contenuta nell'art. 176 del codice penale.

Tale articolo, ad avviso del giudice di sorveglianza, contrasterebbe però con gli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui dispone che può essere ammesso alla liberazione condizionale solo il condannato che abbia scontato almeno trenta mesi, o quattro anni, se recidivo.

Egli ritiene infatti che irrazionalmente il legislatore abbia escluso dall'ambito di applicazione del beneficio in questione tutti i condannati a pene inferiori scaturenti da reati meno gravi, da considerarsi perciò più facilmente recuperabili.

Vi sarebbe pertanto una ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento tra persone le quali, pur versando nella medesima situazione (ravvedimento, espiazione di almeno metà della pena inflitta, residuo inferiore a cinque anni) possono, o non, essere ammesse alla liberazione condizionale.

Tale trattamento legislativo contrasterebbe anche, secondo l'ordinanza di rimessione, con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto per il detenuto che abbia già dato prova di avvenuto ravvedimento, la pena residua da scontare rivestirebbe un carattere esclusivo di afflittività e sarebbe altresì suscettibile di procurare danni all'individuo.

2. - Con ordinanza in data 15 dicembre 1975, lo stesso giudice di sorveglianza del tribunale di Oristano, chiamato a dare parere sull'istanza di liberazione condizionale di Ghiro Adalgisa, condannata alla pena complessiva di mesi sei di reclusione, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p., con riferimento agli artt. 3, prima parte e 27, terzo comma, della Costituzione, in termini analoghi a quelli sopra riportati, e facendo, nell'ordinanza stessa, espresso riferimento a quanto osservato in relazione al caso del Cadeddu.

Le dette ordinanze venivano ritualmente notificate e comunicate.

3. - Con ordinanza emessa il 14 marzo 1976, il giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p. e dell'art. 1 della legge 12 febbraio 1975, n. 6, con riferimento agli artt. 27, comma secondo, e 24 della Costituzione.

Il giudice a quo, nell'esaminare l'istanza di liberazione condizionale proposta da Castellino Gaetano, onde esprimere il prescritto parere, rilevava che, nella specie, non sussistevano le condizioni oggettive previste dall'art. 176 c.p., non avendo l'istante scontato trenta mesi di detenzione, ed essendo, quanto alla durata, la pena a lui inflitta inferiore a quella minima prevista dallo stesso art. 176 per poter essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale. Pur avendo il Castellino scontato più della metà della pena a lui inflitta, il giudice di sorveglianza, in applicazione dell'art. 191 del r.d. 18 giugno 1931, n. 787, avrebbe pertanto dovuto dichiarare inammissibile l'istanza.

Tanto premesso, il giudice a quo sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p. laddove statuisce che il condannato non possa essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale ove non abbia espiato, a seconda dei precedenti penali, almeno trenta mesi o quattro anni di detenzione.

Ad avviso del giudice di sorveglianza, detta disposizione si porrebbe in contrasto con il precetto di cui all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, anche in base al contenuto della sentenza n. 204 del 1974 della Corte costituzionale. Poiché, si dice nell'ordinanza di rimessione, il fine rieducativo inerisce ad ogni pena, quale che ne sia la misura, il diritto di essere ammesso alla liberazione condizionale dovrebbe sorgere per ogni condannato, quale che sia l'entità della detenzione, a parità di rapporto tra la misura della pena espiata e quella da espiare.

Nello stesso contesto, il giudice a quo sollevava anche questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 12 febbraio 1975, n. 6 (Norme in tema di liberazione condizionale), nella parte in cui attribuisce alla Corte d'appello la competenza a decidere sulla concessione della liberazione condizionale, per preteso contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

Prendendo le mosse ancora dalla citata sentenza n. 204 del 1974, il giudice di sorveglianza, nel rilevare che in quella occasione la Corte ebbe ad individuare nel ricordato precetto costituzionale una esigenza di tutela giurisdizionale, assumeva che tale tutela sarebbe stata attuata solo in modo soggettivo e formale dalla norma impugnata, senza che il legislatore si fosse dato carico di garantire "l'idoneità della garanzia giurisdizionale".

Solo ove, sempre ad avviso del giudice a quo, l'organo giudiziario: possa procedere in via diretta alla rilevazione dei dati di comportamento del soggetto istante; possa territorialmente essere in contatto con il soggetto ed il luogo di detenzione, sì da rendersi conto immediatamente delle condizioni dell'uno e dell'altra; possa, "in ragione delle funzioni attribuitegli dalla legge del processo esecutivo della pena, avere cognizione diretta della situazione detentiva concreta", si potrebbe dire realizzato il precetto costituzionale, quale chiarito nella citata sentenza della Corte costituzionale. Essendo la Corte d'appello del tutto estranea alla rilevazione dei dati sul comportamento del detenuto e non avendo tale organo contatto alcuno con la situazione detentiva in cui lo stesso viene a trovarsi, appare evidente, secondo il giudice a quo, che tale organo non é idoneo a garantire sostanzialmente quelle esigenze di tutela giurisdizionale evidenziate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204 del 1974. Organo idoneo, in base alle vigenti norme, sarebbe da ritenersi la sezione di sorveglianza, già competente alla concessione degli altri benefici che costituiscono il sistema delle misure alternative alla detenzione.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata e comunicata.

Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiarasse infondate entrambe le questioni sollevate dal giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze.

L'Avvocatura osserva al riguardo che la liberazione condizionale é istituto volto a sostituire al carattere strettamente retributivo della pena una funzione di rieducazione del reo. La sua essenza si basa sul raggiungimento del ravvedimento del condannato, per effetto del trattamento carcerario.

Se tale é la ragione dell'istituto, non potrebbe ritenersi irrazionale la valutazione attuata dal legislatore, secondo cui, perché si raggiunga tale scopo, occorre che si sia scontata una misura minima della pena, ritenuta dal legislatore stesso idonea al fine insito nella liberazione condizionale, a maggior ragione ove si ponga mente al fatto che altri istituti, nell'attuale ordinamento, soccorrono per le pene di minore entità, onde conseguire la medesima finalità.

Anche la seconda questione, ad avviso dell'Avvocatura, attiene a problemi di politica legislativa. Nel dare attuazione alla più volte citata sentenza n. 204 del 1974, il legislatore ha tenuto conto dei principi enunciati in quella occasione. Il giudice a quo ritiene che al problema potesse essere data soluzione migliore; tale avviso é opinabile, ma non per questo, secondo l'Avvocatura dello Stato, può essere ritenuto irrazionale il sistema adottato dal legislatore.

4. - Con ordinanza in data l9 aprile 1977, la Corte d'appello di Trento, nell'esaminare l'istanza di liberazione condizionale presentata da Pedroni Guglielmo, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p. in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

Il Collegio a quo rilevava infatti che la condizione di aver espiato almeno trenta mesi di detenzione potrebbe determinare una disparità di trattamento fra i cittadini, "non risultando tale periodo proporzionale alla entità della pena inflitta, per cui in concreto risultano esclusi dal beneficio tutti coloro che debbono espiare una pena inferiore ai cinque anni", sicché potrebbe risultarne una violazione del principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione.

Nell'ordinanza di rimessione si rilevava anche che lo "svincolare il periodo minimo di detenzione" ai fini della concessione della liberazione condizionale "dal criterio proporzionale rispetto alla pena in concreto inflitta" potrebbe essere in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto ai condannati a pene inferiori ai trenta mesi verrebbe tolto ogni impulso psicologico ad emendarsi, rendendo così inattuale ogni riconoscimento ai meritevoli.

Spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiarasse infondata la questione sollevata dalla Corte d'appello di Trento.

Sotto il primo profilo l'Avvocatura sostiene essere frutto di un equivoco l'affermazione secondo cui della liberazione condizionale non potrebbero godere tutti coloro che debbono espiare una pena inferiore ai cinque anni, atteso che anche costoro potrebbero usufruire di tale beneficio, pur di aver scontato almeno trenta mesi della pena inflitta.

Assume altresì essere non irrazionale l'esigenza della avvenuta espiazione di almeno trenta mesi di detenzione, sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte a proposito dell'ordinanza di rimessione del giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze.

Nella discussione orale, l'Avvocatura dello Stato ribadiva le tesi svolte nell'atto di intervento.

Considerato in diritto

1. - Le quattro ordinanze indicate in narrativa sollevano questioni in parte identiche, in parte connesse e i relativi giudizi possono quindi essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2. - Deve essere in primo luogo esaminata la questione dell'ammissibilità delle questioni sollevate con le due ordinanze del giudice di sorveglianza del tribunale di Oristano.

Questi, chiamato ad esprimere parere su due domande di liberazione condizionale presentate rispettivamente da un detenuto condannato a due anni e nove mesi di reclusione, dei quali aveva scontato venticinque mesi e diciannove giorni (cioè meno del minimo di trenta mesi stabilito nell'art. 176 c.p.) e da una detenuta condannata a mesi sei di reclusione (e quindi egualmente esclusa dalla possibilità della liberazione condizionale dopo l'espiazione di metà della pena), riteneva che gli spettasse di dichiarare la inammissibilità delle istanze, in quanto non consentite dall'art. 176 c.p., che ammette la liberazione condizionale solo per il condannato che abbia espiato almeno trenta mesi o quattro anni se recidivo qualificato. Ma opinando che tali condizioni richieste dalla legge fossero in contrasto con gli artt. 3, prima parte, e 27, terzo comma, della Costituzione, sollevava questione incidentale di costituzionalità dell'art. 176 del codice penale.

Il giudice di sorveglianza assume che la legge 12 febbraio 1975, n. 6, la quale attribuisce alla Corte di Appello la competenza a concedere la liberazione condizionale, non abbia "mutato l'autonomo potere- dovere del giudice di sorveglianza, sancito dall'art. 191 del Regolamento degli Istituti di Prevenzione e Pena, di fungere da filtro e dichiarare senz'altro inammissibile la istanza senza neanche investirne la Corte di appello, quando ne difettino i presupposti", e che in conseguenza esso giudice di sorveglianza "é obbligato a pronunciare un provvedimento " di rito " di carattere definitivo, e ad applicare, nel far ciò, proprio l'art. 176 c.p. che si ritiene viziato di incostituzionalità": dal che "l'esistenza di quel minimo di giurisdizionalità o di processualità richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza della Corte perché possa proporsi una questione di legittimità costituzionale" (così l'ordinanza n. 232/1975 del tribunale di Oristano).

Va ricordato che analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p. era stata, con altre, sollevata dal giudice di sorveglianza di Oristano e da quelli di Bolzano, di Nuoro e di Imperia e che, giudicando su di esse, la Corte costituzionale con ordinanza n. 266 del 1976 ordinò la restituzione degli atti ai giudici a quibus perché valutassero la rilevanza delle questioni proposte in riferimento alla nuova disciplina della liberazione condizionale regolata dalla sopravvenuta legge 12 febbraio 1975, n. 6.

3. - La Corte rileva che il ragionamento attraverso il quale il giudice di sorveglianza di Oristano si é attribuito la legittimazione a sollevare la questione di costituzionalità é erroneo e viziato da equivoco. É vero, infatti, che precedentemente alla legge 12 febbraio 1975, n. 6, quando in virtù dell'art. 43 delle Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale la liberazione condizionale era conceduta con decreto del Ministro della Giustizia, secondo la procedura fissata negli artt. 191 e 192 del Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena, la domanda del condannato era trasmessa al giudice di sorveglianza, il quale, se difettavano manifestamente le condizioni relative alla pena inflitta da scontare..... doveva dichiarare "senz'altro inammissibile l'istanza con provvedimento scritto, non soggetto a reclamo"; e che, se l'istanza era giudicata ammissibile, la trasmetteva al Ministero corredata del suo parere. E dunque il giudice di sorveglianza esercitava certamente attività decisoria e giurisdizionale.

Ma la richiamata legge n. 6 del 1975, emanata a seguito della sentenza n. 204/1974 della Corte costituzionale che dichiarava la illegittimità degli artt. 176 c.p. e 43 delle Disp. Att. c.p.p., Iegge già in vigore quando le ordinanze del giudice di sorveglianza di Oristano sono state emesse, ha determinato (come si é espressa anche la Cassazione Penale) l'abrogazione integrale del meccanismo processuale precedente. La liberazione condizionale é ora richiesta alla Corte d'appello del distretto nel quale il condannato espia la pena, e la Corte provvede su parere del giudice di sorveglianza, osservandosi nel procedimento, in quanto applicabili, le disposizioni del c.p.p. per gli incidenti di esecuzione.

E dunque: l'intera attività giurisdizionale appartiene alla Corte d'appello; nessuna competenza decisoria circa l'ammissibilità della domanda é attribuita al giudice di sorveglianza; al parere di questi, dato alla Corte d'appello, cioè ad una autorità giudiziaria, non appare possibile attribuire quel carattere di giurisdizionalità che, del resto, il giudice di sorveglianza di Oristano aveva desunto esclusivamente dal proprio ritenuto potere- dovere di pronunciarsi definitivamente sull'ammissibilità dell'istanza.

Deve pertanto concludersi che la questione incidentale di costituzionalità sollevata con le due ordinanze del giudice di sorveglianza di Oristano é inammissibile.

4. - Ad eguale conclusione deve giungersi per quanto riguarda la medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p. sollevata dal giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze con riferimento al secondo comma dell'articolo 27 della Costituzione. Anche tale giudice, infatti, erroneamente si ritiene legittimato a sollevare la questione in conseguenza del supposto sopravvissuto potere-dovere di dichiarare la inammissibilità, per difetto dei presupposti di legge, della istanza di liberazione condizionale.

Né la legittimazione potrebbe derivare dal fatto che nella stessa ordinanza il giudice ha sollevato altra questione di costituzionalità impugnando l'art. 1 della legge 12 febbraio 1975, n. 6, nella parte in cui attribuisce alla Corte d'appello anziché alla Sezione di Sorveglianza presso la stessa Corte, prevista dall'art. 70 della legge 26 luglio 1975, n. 354, la competenza a concedere la liberazione condizionale. Infatti (a parte che, come detto, la legittimazione é stata anche dal giudice di Firenze desunta soltanto dall'errata opinione che egli fosse tenuto a dichiarare la inammissibilità della domanda per difetto dei suoi presupposti di legge) lo stesso giudice, ritenendo tale competenza da attribuirsi alla Sezione di Sorveglianza e non a se medesimo, non sarebbe nemmeno per questa via legittimato a proporre la questione di costituzionalità dell'art. 176 c.p. per mancanza del presupposto della propria competenza.

5. - Il giudice di sorveglianza di Firenze non é quindi legittimato neppure a proporre la questione di legittimità dell'art. 1 della legge 12 febbraio 1975, n. 6, in quanto é evidente che, fondata o infondata tale questione (che cioè appartenga alla Corte d'appello o alla Sezione di Sorveglianza presso di essa la competenza a concedere la liberazione condizionale), nessuna influenza la soluzione di essa potrebbe esplicare sui poteri propri di quel giudice.

6. - Esclusa, peraltro, per le ragioni dette, l'ammissibilità di tutte le questioni sollevate dai giudici di sorveglianza presso i tribunali di Oristano e di Firenze, resta egualmente da esaminare, perché ritualmente proposta dalla Corte d'appello di Trento, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 176 c.p. in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

Afferma la detta Corte d'appello che l'art. 176 c.p. col prescrivere, tra i presupposti della liberazione condizionale, la espiazione di almeno trenta mesi, determinerebbe una discriminazione tra i cittadini "non risultando tale periodo proporzionale all'entità della pena inflitta, per cui in concreto risultano esclusi dal beneficio tutti coloro che debbono espiare una pena inferiore a cinque anni": dal che una violazione del principio di eguaglianza.

Aggiunge che il rilevato difetto di proporzionalità, "in quanto toglie ai condannati a pene inferiori ogni impulso psicologico ad emendarsi", "potrebbe contraddire il principio della funzione educativa della pena stabilito dall'art. 27 della Costituzione" e "rendere inattuale ogni riconoscimento al meritevole".

7. - La Corte rileva innanzitutto che, ritenendo esclusi dalla possibilità del beneficio tutti i condannati a pene inferiori a cinque anni, la Corte d'appello di Trento ha erroneamente supposto una condizione che nell'art. 176 c.p. non é esplicita né implicita, ben potendo raggiungere i trenta mesi di espiazione e insieme espiare oltre la metà della pena anche i condannati a pene inferiori a cinque anni. Vengono pertanto meno i presupposti di una violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Sotto il profilo della supposta violazione dell'art. 27, comma terzo, della Costituzione, secondo il quale le pene debbono tendere alla rieducazione del condannato, la questione non é del pari fondata.

Lo stesso giudice a quo riconosce nell'ordinanza di rimessione che i limiti temporali stabiliti nell'art. 176 c.p. potrebbero essere giustificati dalla necessità di sperimentare per un tempo apprezzabile la condotta del condannato e di non ridurre, nel caso di brevi condanne, per le quali peraltro é ammesso il beneficio della sospensione condizionale, l'efficacia repressiva e intimidatrice della pena; cioè riconosce l'opinabilità dei criteri adottati dal legislatore. E infatti tali criteri possono essere e sono discussi dal punto di vista dell'opportunità e della piena adeguatezza al fine dell'istituto cui ineriscono, ma sempre sul piano della scelta legislativa. Tutti i parametri dell'art. 176 C.p., e non solo quelli (si pensi alle condizioni per la sospensione della pena stabilite nell'art. 163 C.p.), sono opinabili, ma tutti appartengono all'ambito della politica legislativa e quindi della discrezionalità del legislatore. Né é dato riscontrare nelle disposizioni che attualmente regolano l'istituto della liberazione condizionale incongruenze e irragionevolezze di rilievo costituzionale, soprattutto tenendo presente (e così negando fondamento alla affermazione della Corte di appello di Trento che il difetto di proporzionalità fra pena scontata e pena inflitta possa togliere ai condannati a pene minori l'impulso ad emendarsi e rendere inattuale ogni riconoscimento al meritevole) che il nuovo ordinamento penitenziario di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, prevede una serie di istituti (affidamento in prova al servizio sociale, regime di semilibertà, licenza premio, liberazione anticipata) i quali o si riferiscono alle pene minori o sono indipendenti dall'entità della pena da espiare, e tutti hanno il fine di favorire la rieducazione del reo e il suo reinserimento sociale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 176, primo comma, c.p. sollevate dai giudici di sorveglianza dei tribunali di Oristano e di Firenze, rispettivamente, per contrasto con gli artt. 3, prima parte, e 27, terzo comma, e per contrasto con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione, nonché la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 12 febbraio 1975, n. 6, sollevata dal giudice di sorveglianza del tribunale di Firenze per contrasto con l'art. 24 della Costituzione;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 176, primo comma, c.p. sollevata dalla Corte d'appello di Trento in relazione agli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1979.

Leonetto AMADEI - Antonino DE STEFANO - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 maggio 1979.