SENTENZA N. 47
ANNO 1979
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Leonetto AMADEI, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Virgilio ANDRIOLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 41, lett. b), della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), così come modificato dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, promossi con ordinanze 21 aprile 1976 del pretore di Rivarolo, 7 ottobre 1976 del pretore di Ivrea, 3 marzo 1977 del pretore di Ivrea, 15 aprile 1977 del pretore di Gallarate, 21 aprile 1977 del tribunale di Busto Arsizio, 11 luglio e 21 novembre 1977 del pretore di Gallarate, iscritte ai nn. 541 e 685 del registro ordinanze 1976; ai nn. 206, 275, 304 e 575 del registro ordinanze 1977 e ai nn. 205 e 322 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 246 e 346 dell'anno 1976; nn. 148, 198, 237 dell'anno 1977 e nn. 53 e 179 dell'anno 1978.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito il vice avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con numerose ordinanze di rimessione, emesse dai pretori di Rivarolo Canavese, Ivrea, Gallarate e dal tribunale di Busto Arsizio ed iscritte nel registro generale di questa Corte ai nn. 541, 685 del 1976; 20, 275, 304, 575 del 1977; 205 e 322 del 1978; é stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 41 lett. b) della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, così come modificata dalla legge 6 agosto 1967, n. 765, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Le ordinanze di rimessione osservano, con argomentazioni sostanzialmente uniformi, che la norma impugnata, comminando la medesima sanzione penale dell'arresto e dell'ammenda nei confronti sia di chi abbia costruito senza licenza in zona ove avrebbe potuto conseguirla, (tanto da averla ottenuta successivamente in sanatoria), sia di chi abbia edificato in violazione degli strumenti urbanistici esistenti, contrasterebbe con il principio costituzionale d'eguaglianza per aver trattato in maniera identica due situazioni che si assumono differenziate.
Soggiungono che la diversa lesione recata all'interesse pubblico tutelato, risulta confermata dalla diversità delle conseguenze che ne derivano sul piano amministrativo e civilistico, tanto che, quando sia stata ottenuta la licenza in sanatoria, non sono irrogabili dalla pubblica amministrazione le sanzioni amministrative né spetta al privato danneggiato la facoltà di ottenere la riduzione in pristino o il risarcimento dei danni altrimenti previsti dall'art. 872 codice civile.
I Giudici a quibus ritengono di poter concludere che i costruttori senza licenza successivamente autorizzati in sanatoria perché le opere edificate non erano in contrasto con gli strumenti urbanistici, non ledono l'interesse protetto dalla norma incriminatrice denunciata.
Talune delle ordinanze espressamente precisano che l'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, non ha eliminato la rilevanza della questione proposta, ricadendo il fatto-reato sotto la disciplina della normativa impugnata, rispetto alla quale la nuova legge non ha introdotto disposizioni più favorevoli agli imputati, da potersi applicare retroattivamente.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atti di deduzioni depositati rispettivamente il 5 ottobre 1976,17 gennaio 1977,21 giugno 1977, 5 agosto 1977, 20 settembre 1977, 14 marzo 1978, 15 luglio 1978 e 10 ottobre 1978, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione proposta.
Osserva la difesa dello Stato che la norma impugnata commina una sanzione penale a carico di coloro che abbiano violato il disposto dell'art. 31 della stessa legge, che vieta la edificazione senza licenza. Il bene giuridico tutelato é quello di permettere alla pubblica amministrazione il controllo sull'attività edificatoria dei privati, ed il precetto violato, penalmente sanzionato, impone di non costruire senza la previa apposita licenza edilizia. Pertanto sussiste un'unica fattispecie penale, quella della costruzione senza licenza.
Ovviamente, attesa l'ampiezza della previsione edittale, spetterà al giudice di spaziare, nell'esercizio della sua discrezionalità, dal minimo legale fino al massimo di 6 mesi di arresto e di 2 milioni di ammenda, tenendo conto anche della oggettiva contrarietà, o meno, della costruzione alle prescrizioni urbanistiche vigenti in loco.
Considerato in diritto
1) Le otto ordinanze, elencate in epigrafe, propongono tutte la medesima questione di legittimità costituzionale, sicché i relativi giudizi devono essere riuniti e definiti con unica sentenza.
2) La Corte é chiamata a decidere se contrasti o meno con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, l'art. 41, lett. b) della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, sostituito dall'art. 13 legge 6 agosto 1967, n. 765, nella parte in cui colpisce con la medesima pena edittale - arresto fino a 6 mesi e ammenda fino a lire 2 milioni - sia chi ha costruito senza licenza (anche ove l'abbia ottenuta ex post in sanatoria) sia chi ha edificato senza licenza in contrasto con le prescrizioni stabilite da strumenti urbanistici.
Si afferma nelle ordinanze di rimessione che in tal modo ricevono eguale trattamento situazioni diverse, in quanto vengono comminate eguali sanzioni penali per le edificazioni effettuate in zona ove avrebbe potuto essere ottenuta la licenza e per quelle compiute in violazione delle prescrizioni urbanistiche. I giudici a quibus soggiungono, con adeguata motivazione, che la sopraggiunta legge 28 gennaio 1977, n. 10, é ininfluente ai fini del decidere e dell'esame, da parte della Corte, della censura prospettata.
La questione non é fondata.
Per inquadrare il problema in termini generali, va innanzitutto ricordata la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui "non può aver ingresso in sede di giudizio di legittimità costituzionale la questione sollevata con riferimento all'art. 3 Cost. che si risolve in una critica di politica legislativa avverso una valutazione del legislatore non eccedente i limiti della ragionevolezza" (sentenza n. 100 del 1977). Neppure può ignorarsi esser stato ripetutamente affermato che "la valutazione dei criteri in base ai quali il legislatore ha ritenuto ipotizzare una diversità di situazioni sia incensurabile nei limiti in cui la valutazione stessa risulti ragionevole e non arbitraria" (sentenza n. 237 del 1975).
Più in particolare può rilevarsi che la censura mossa alla norma impugnata si presenta destituita di fondamento sotto un duplice profilo: perché non é esatto che le situazioni comparate siano diverse, sotto l'aspetto penale, come pure é inesatto che ricevano, dal complesso della specifica normazione esistente in materia, eguale trattamento e sanzioni.
Invero, risponde ad un fondamentale interesse pubblico, avvertito dal legislatore già da lungo tempo, sottoporre l'attività edilizia al controllo preventivo della pubblica amministrazione, con conseguente imposizione, a chi voglia edificare, dell'obbligo di richiedere l'apposita autorizzazione amministrativa (art. 31 della citata legge urbanistica).
Rientra, pertanto, nell'esercizio della discrezionalità legislativa comminare una sanzione penale a chi violi comunque tale precetto, giustificandosi la contravvenzione prevista dall'impugnato articolo 41, lett. b), della legge citata.
Rispetto a tale esigenza di controllo preventivo della pubblica amministrazione, é quindi del tutto indifferente la circostanza che la costruzione corrisponda o meno al complesso delle norme che regolano l'attività edilizia.
D'altro canto la distinzione tra costruzioni, la cui edificazione avrebbe potuto essere autorizzata, e quelle altre contrastanti, invece, con specifiche prescrizioni urbanistiche, implica che si aggiungano, nei casi previsti dalla legge, alle sanzioni penali, notevoli pene amministrative ed eventuali responsabilità da illecito civile, e dimostra che non sussiste la censurata parità di trattamento di situazioni diverse.
L'eventuale successiva licenza, così detta in sanatoria, produce quindi effetti limitati alle sole conseguenze extra penali dell'infrazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41, lett. b), della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo sostituito dall'art. 13 legge 6 agosto 1967, n. 765) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 giugno 1979.
Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 18 giugno 1979.