Sentenza n. 11 del 1978
 CONSULTA ONLINE 

 

 

SENTENZA N. 11

ANNO 1978

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 427, comma secondo, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 31 gennaio 1975 dal pretore di Alessandria, nel procedimento per incidente di esecuzione proposto da Carlo Comaroli, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 159 del 18 giugno 1975.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 20 dicembre 1977 il Giudice relatore Oronzo Reale;

 

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il pretore di Alessandria, nel corso di un procedimento per incidente di esecuzione, promosso da tal Comaroli Carlo, sollevava d'ufficio questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 427, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che l'imputato detenuto, ove rifiuti di assistere al dibattimento senza che ricorra alcuna delle circostanze di cui all'art. 497 C.P.P., viene considerato presente a tutti gli effetti, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il Comaroli aveva chiesto l'annullamento dell'ordine di carcerazione emesso a suo carico in base a sentenza di condanna scaturita da un dibattimento cui egli, detenuto per altra causa, aveva rinunciato ad assistere.

Osservava il giudice a quo che, in virtù della norma denunciata, all'imputato non era stata notificata per estratto la sentenza emessa in suo danno, sicché i termini per l'impugnazione avevano preso a decorrere dalla data in cui il dispositivo era stato letto in udienza. Tale procedimento, valutato alla stregua dei principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione, verrebbe a determinare una situazione di disfavore per l'imputato detenuto che rinunci ad assistere al dibattimento rispetto all'imputato libero che non compaia: questo ultimo infatti viene considerato contumace e gode pertanto delle garanzie difensive apprestate in favore di coloro che sono soggetti allo speciale procedimento regolato dagli artt. 497 e segg. c.p.p., tra cui quella del diritto alla notifica dell'estratto della sentenza, sicché il termine per l'impugnazione decorre dalla data della notifica della stessa.

Il diverso trattamento riservato all'imputato detenuto, che deve provvedere all'eventuale gravame nei tre giorni successivi alla pronuncia della sentenza, si appaleserebbe, oltreché di disfavore, anche incidente in maniera rilevante sull'esercizio del diritto di difesa.

Il giudice a quo, richiamandosi alla giurisprudenza della Corte costituzionale ed anche a quella della Cassazione, risolve positivamente il quesito relativo alla legittimazione del giudice dell'esecuzione penale a sollevare questioni di legittimità costituzionale e motiva ampiamente sulla rilevanza della sollevata questione, concernente il passaggio in giudicato della sentenza dalla quale era scaturito l'ordine di carcerazione oggetto del giudizio a quo.

2. - L'ordinanza veniva ritualmente notificata, comunicata e pubblicata. Davanti a questa Corte non si costituiva la parte privata, mentre spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, rilevando che la diversità di disciplina trova giustificazione nella sostanziale diversità delle situazioni messe a confronto e chiedendo che questa Corte dichiarasse non fondata la sollevata questione.

Invero l'art. 427, comma secondo, c.p.p., presuppone che l'imputato abbia avuto la conoscenza effettiva della celebrazione del dibattimento, laddove la mancata comparizione all'udienza dell'imputato libero non consente di conseguire la medesima certezza, ancorché sia stata verificata la regolarità della notificazione del decreto di citazione, atteso che detta notificazione "comporta la conoscenza legale, ma non quella reale del dibattimento".

Conseguentemente la situazione disciplinata dalla norma impugnata può essere validamente raffrontata con quella dell'imputato libero soltanto nel caso in cui vi sia la certezza che questi abbia avuto la conoscenza reale del dibattimento: si tratta dell'ipotesi disciplinata dall'art. 429 c.p.p. ovvero di quella di cui agli artt. 497 e 498 dello stesso codice, in relazione alle quali non si procede a dichiarazione di contumacia né, quindi, a notificazione dell'estratto della sentenza.

Peraltro la stessa ordinanza del giudice a quo riconosce che quando l'imputato detenuto deduca una giustificazione a sostegno della mancata partecipazione al dibattimento, la stessa giurisprudenza ammette che debba procedersi alla dichiarazione di contumacia, ove il motivo addotto non sia considerato legittimo impedimento a comparire.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - La situazione accertata e tenuta presente dal giudice a quo nel corso di un procedimento per incidente di esecuzione era la seguente. Un imputato detenuto aveva rinunciato, con dichiarazione dell'11 novembre 1974, a comparire per l'udienza fissata al 21 novembre 1974. L'imputato stesso aveva, quindi, conoscenza dell'udienza e si avvaleva di un suo diritto rifiutando di parteciparvi. Il giudice, secondo le disposizioni dell'art. 427, comma secondo, c.p.p., ordinava che si procedesse come se l'imputato fosse presente. Nella stessa udienza questi veniva condannato a pena detentiva; e, non essendo stata proposta tempestiva impugnazione avverso la sentenza, veniva conseguentemente emesso ordine di carcerazione.

2. - Osserva la Corte che il giudice dell'esecuzione era legittimato a sollevare la questione di costituzionalità perché egli doveva stabilire se la sentenza (di primo grado) da eseguire era passata in giudicato, per difetto di impugnazione nel termine di legge.

3. - Ma la questione non é fondata.

Il giudice a quo ha sollevato il dubbio di costituzionalità nei confronti dell'art. 427, comma secondo, c.p.p., il quale prescrive che, nell'ipotesi di rifiuto dell'imputato ad assistere all'udienza, il giudice ordina che si proceda come se l'imputato fosse presente. Ora, la norma non é lesiva dei diritti dell'imputato, ma anzi concilia la facoltà dell' imputato di non assistere all'udienza, con la fondamentale esigenza di giudicarlo egualmente, cioè di non subordinare alla volontà dell'imputato l'attuazione della potestà punitiva dello Stato. In quanto consente che il giudizio abbia luogo nonostante la volontaria dichiarata rinuncia dell'imputato a parteciparvi, la norma dell'art. 427, secondo comma, c.p.p., si sottrae, dunque, di tutta evidenza, al dubbio di incostituzionalità.

Sennonché la questione va esaminata anche in relazione agli effetti che dalla stessa norma derivano al momento della pronuncia della sentenza, effetti che sono disciplinati dall'art. 472, terzo comma, c.p.p., nel senso che la lettura del dispositivo in udienza vale notificazione sia nei confronti delle parti presenti, sia di quelle "che debbono considerarsi presenti" nel dibattimento.

La medesima questione, più puntualmente riferita all'articolo 472, terzo comma, c.p.p. (oltre che agli artt. 199, commi primo e terzo, e 500 c.p.p.), fu esaminata e dichiarata infondata dalla Corte con sentenza 136 del 1971; e ancora, proposta con riferimento al solo art. 472, terzo comma, c.p.p., fu dichiarata dalla Corte manifestamente infondata con ordinanza n. 76 del 1973. Sempre identica questione fu proposta con riferimento, questa volta, al solo art. 500 c.p.p., in quanto prevede soltanto per il contumace, e non per l'assente volontario, la notificazione per estratto della sentenza; e la Corte ugualmente la dichiarò infondata con sentenza n. 18 del 1976.

In tutti questi casi erano stati richiamati, quali parametri, gli artt. 3 e 24 della Costituzione, che egualmente sono stati invocati nell'ordinanza del pretore di Alessandria che ha promosso il presente giudizio.

Il pretore, cioè, ritiene che l'art. 3, con riferimento anche all'art. 24, sia violato per la disparità di trattamento tra imputato detenuto che rinunzi a comparire e imputato libero che può volontariamente non comparire, "godendo questi di tutte le guarantigie del giudizio contumaciale", mentre l'altro "deve essere dichiarato assente e perdere il diritto alla notifica per estratto".

Ma la situazione dell'imputato che rinunzia espressamente a comparire all'udienza, della quale, dunque, ha certa conoscenza, é diversa da quella dell'imputato libero, che all'udienza di fatto non partecipa, ma che poteva anche ignorarne l'avvenuta fissazione o la data, nonostante la notifica del decreto di citazione, stante che la notificazione stabilisce una presunzione legale di conoscenza dell'atto, ma, tranne quando sia avvenuta a mani proprie, non dà la certezza della conoscenza reale di esso; mentre poi la legge, come osserva l'Avvocatura dello Stato, pareggia la situazione dell'imputato libero a quella del detenuto che abbia rinunziato a comparire in alcuni casi determinati, nei quali é certo che l'imputato ha conoscenza della celebrazione del dibattimento (artt. 428 e 497, comma secondo, c.p.p.).

In tale diversità di situazioni, ben poteva, e ragionevolmente, il legislatore trattare l'imputato libero come contumace (e quindi prescrivere la notificazione della sentenza per estratto) e considerare a tutti gli effetti come presente l'imputato detenuto che ha espressamente rinunziato ad assistere all'udienza, e quindi non prevedere la notifica a lui dell'estratto. Ad ogni eventuale conseguenza di questa mancata notifica l'imputato può sottrarsi, e di fatto normalmente si sottrae, tenendosi informato dell'esito del processo, senza contare che a tutti gli effetti egli é rappresentato dal difensore (art. 427, secondo comma, c.p.p.).

Tale scelta del legislatore potrebbe essere discussa sul piano dell'opportunità, non su quello della legittimità costituzionale.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 427, secondo comma, c.p.p., sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Alessandria, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

 Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 febbraio 1978.

 

 

Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1978.