SENTENZA N. 78
ANNO 1977
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 177, ultimo comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 26 agosto 1974 dal giudice di sorveglianza del tribunale di Prato sul ricorso proposto da Valerio Stefano, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 del 30 ottobre 1974.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1977 il Giudice relatore Guido Astuti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Dovendo decidere sul ricorso proposto da Valerio Stefano per ottenere la revoca anticipata della misura di sicurezza (libertà vigilata), il giudice di sorveglianza del tribunale di Prato ha sollevato, di ufficio, questione di legittimità costituzionale dell'art. 177, ultimo comma, c.p., in relazione agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione.
Si afferma nell'ordinanza di rinvio che, mentre l'art. 230 del c.p. dispone che la libertà vigilata é sempre ordinata quando il condannato é ammesso alla liberazione condizionale, l'articolo 177 dello stesso codice prevede la revoca delle misure di sicurezza personali solo quando sia decorso tutto il tempo della pena inflitta, senza che sia intervenuta causa di revoca della liberazione condizionale. Tale sistema normativo, in forza del quale la misura di sicurezza della libertà vigilata, conseguente alla liberazione condizionale, non potrebbe essere revocata se non a seguito della estinzione della pena, si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, atteso che, per il disposto degli artt. 228, 208 e 216 c.p., il giudice può rivalutare la pericolosità sociale delle persone sottoposte alla libertà vigilata per altre cause, al fine dell'eventuale revoca delle misure di sicurezza.
Il principio del diritto di difesa, sarebbe, a sua volta, violato dalla determinazione vincolante ed astratta della durata delle misure di sicurezza effettuata dal legislatore, senza alcun potere discrezionale del giudice in ordine alla valutazione della effettiva pericolosità sociale della persona che vi é sottoposta.
Anche il principio del giudice naturale sarebbe violato dalla attribuzione al giudice di sorveglianza, e non al giudice dell'esecuzione, del potere di revocare la misura di sicurezza, decorso il tempo della pena inflitta.
Infine, la disciplina impugnata, imponendo il mantenimento della misura di sicurezza, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto, sarebbe in contrasto con la finalità rieducativa della pena.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, deducendo l'infondatezza delle questioni proposte.
Dopo aver affermato essere dubbio se la concessione della liberazione condizionale implichi una rinuncia al potere punitivo, ovvero dia luogo ad una diversa fase della esecuzione della pena, si osserva che, comunque, la liberazione condizionale é sempre soggetta, ai sensi dell'art. 177 c.p., alla condizione risolutiva che il liberato non commetta, per tutto il tempo della pena inflitta, un reato della stessa indole di quello per il quale é stato condannato: di qui la ragionevolezza della sottoposizione allo stato di libertà vigilata al fine essenziale di evitare occasioni di nuovi reati.
Quanto alla dedotta violazione del principio di eguaglianza si osserva che la norma impugnata si applica indistintamente a tutti i condannati ai quali sia concesso il beneficio della liberazione condizionale, e che al termine del tempo previsto dalla pena inflitta la revoca non é suscettibile di valutazione discrezionale da parte del giudice, come avviene nelle altre ipotesi di sottoposizione di libertà vigilata, che non sono assimilabili alla fattispecie della libertà vigilata conseguente alla liberazione condizionale.
La denunziata violazione del diritto di difesa non sussisterebbe essendo il condannato sottoposto alla misura di sicurezza per ordine del giudice di sorveglianza, innanzi al quale la difesa é ammessa, in senso sia materiale che formale, in tutte le fasi di applicazione della misura stessa.
Ancora, non vi sarebbe sottrazione al giudice naturale, dato che la precostituzione del giudice competente é operata dalla legge.
Infine, non sarebbe invocabile un contrasto tra la normativa impugnata e la funzione educativa della pena, posto che l'art. 27, comma terzo, della Costituzione, si riferisce solo alle pene, e non riguarda le misure di sicurezza.
Considerato in diritto
1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe viene sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 177, ultimo comma, del codice penale, sotto quattro diversi profili, e precisamente: "nella parte in cui esclude la revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata alla persona ammessa alla liberazione condizionale, prima che sia estinta la pena; nella parte in cui sottrae al giudice di sorveglianza il potere-dovere di riesame della pericolosità sociale del sottoposto; nella parte in cui sottrae l'interessato alla tutela giurisdizionale e al giudice precostituito per legge; nonché, infine, nella parte in cui rende inattuabile la rieducazione e l'emenda del condannato".
2. - La questione non é fondata. L'istituto della liberazione condizionale, la cui disciplina non é stata, sotto questo profilo, modificata né dalla legge 12 febbraio 1975, n. 6 (norme in tema di liberazione condizionale), né dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 (norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), comporta la sospensione della esecuzione di parte della pena, non la sua estinzione, che si verifica solo alla scadenza del relativo termine. Ciò risulta altresì dalla disposizione dell'art. 177, primo comma, codice penale (confermata anche dall'art. 5 della legge 12 febbraio 1975, n. 6), per cui la liberazione stessa può essere revocata qualora la persona liberata commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisca agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, con gli effetti ivi previsti per l'ulteriore esecuzione della pena.
In conformità a questi principi l'art. 230, n. 2, del codice penale dispone che la libertà vigilata deve essere sempre ordinata quando il condannato é ammesso alla liberazione condizionale; e l'art. 177 dello stesso codice coerentemente stabilisce, all'ultimo comma, che decorso tutto il tempo della pena inflitta, (ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all'ergastolo), senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca della liberazione condizionale, la pena rimane estinta, e sono revocate le misure di sicurezza personale ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo.
É evidente che non sussiste violazione dell'art. 3 Cost., per l'asserita disparità di trattamento rispetto alle altre persone sottoposte alla medesima misura di sicurezza della libertà vigilata, ai sensi degli artt. 228 e seguenti del codice penale. Trattasi infatti della libertà vigilata di un condannato a cui é stata concessa la liberazione condizionale; e questa Corte ha già avuto occasione di rilevare come il potere di revoca anticipata delle misure di sicurezza, ed in specie della libertà vigilata, non possa estendersi a questa fattispecie, "per l'impossibilità di assimilare la comune figura della libertà vigilata a quella particolare conseguente alla liberazione condizionale, che necessariamente, nel sistema legislativo vigente, deve durare tanto quanto dura il periodo della liberazione condizionale" (sentenza n. 11 del 1970).
3. - Non sussiste, conseguentemente, nemmeno la pretesa violazione dell'art. 24, come effetto dell'esclusione della possibilità di riesame da parte del giudice di sorveglianza, della pericolosità sociale del sottoposto: trattandosi, in questa particolare applicazione, di una misura non revocabile e non prorogabile, non può esservi luogo ad accertamenti sulla pericolosità, il cui riesame da parte del giudice é previsto dalla legge solo in relazione ad eventuali ulteriori provvedimenti circa la durata delle misure di sicurezza, che nell'ipotesi della liberazione condizionale non possono essere adottati.
La disposizione dell'art. 177, ultimo comma, non confligge con l'art. 24 né con l'art. 25 Cost.: il soggetto ammesso a liberazione condizionale e sottoposto alla libertà vigilata non può certo dirsi sottratto alla tutela giurisdizionale, che gli é garantita dalla facoltà di ricorso al giudice di sorveglianza, i cui provvedimenti, a norma degli artt. 635 e seguenti del codice di procedura penale, debbono essere motivati e sono suscettibili di impugnazione (sentenza n. 53 del 1968); né può ravvisarsi deroga alcuna al principio della precostituzione del giudice, per il fatto che, quando sia decorso il tempo della pena inflitta, la revoca della misura di sicurezza, effetto automatico della declaratoria di estinzione della pena, competa al giudice della esecuzione anziché al giudice di sorveglianza (art. 578 c.p.p.).
4. - Deve infine escludersi che il regime della libertà vigilata per i condannati ammessi a liberazione condizionale, non consentendo la revocabilità anticipata, ne renda inattuabile la rieducazione e l'emenda, con violazione del principio sancito dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione. A parte il fatto che tale principio si riferisce soltanto alle pene, per costante giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 1 del 1971), deve qui ricordarsi che il regime proprio della libertà vigilata, secondo quanto risulta dalle disposizioni degli articoli 648 e seguenti c.p.p., é precisamente diretto, oltre che al controllo del comportamento del vigilato, anche al fine della graduale rieducazione e del cauto reinserimento sociale, come confermano altresì il disposto dell'art. 195 del r.d. 18 giugno 1931, n. 787 circa la possibilità di riduzione delle prescrizioni imposte dal giudice di sorveglianza proprio nel caso della liberazione condizionale, nonché i recenti provvedimenti sugli interventi del servizio sociale nei confronti dei sottoposti a libertà vigilata (art. 55 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sostituito con l'art. 6 della legge 12 gennaio 1977, n. 1).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 177, ultimo comma, del codice penale, sollevata dalla ordinanza di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 1977.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 12 maggio 1977.