SENTENZA N. 135
ANNO 1976
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt 42 e 44 del r.d 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), e dell'art. 162 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1974 dal pretore di Donnaz nel procedimento penale a carico di Azario Vittorio, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 10 luglio 1974.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1976 il Giudice relatore Michele Rossano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il pretore del mandamento di Donnaz - nel corso del procedimento penale a carico di Azario Vittorio, imputato di varie contravvenzioni per omissioni di versamenti di premi per regolarizzazioni di posizioni assicurative, e di contributi dovuti per lavoratori dipendenti - con ordinanza pronunziata all'udienza del 4 marzo 1974 riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 42 e 44 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) e 162 cod. pen. "nella parte in cui non consentono all'imputato fallito di effettuare l'oblazione per le contravvenzioni punibili con la sola ammenda, nonostante la situazione di incapacità derivante dalla dichiarazione di fallimento", in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Osservava che Azario Vittorio, prima dell'apertura del dibattimento, aveva chiesto ed ottenuto di essere ammesso ad effettuare l'oblazione prevista dall'art. 162 cod. pen., ma, essendo stato dichiarato fallito l'11 gennaio 1972, non aveva potuto pagare la somma fissata per l'oblazione a causa della sua situazione di incapacità patrimoniale derivante dalla dichiarazione di fallimento (artt. 42 e 44 legge fallimentare).
Aggiungeva che all'udienza del 4 marzo 1974 il difensore dell'Azario aveva sollevato l'eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 42 e 44 legge fallimentare e 162 cod. pen. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 180 del 10 luglio 1974.
Nel giudizio davanti a questa Corte non si é costituita la parte privata.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, é intervenuto con atto 3 luglio 1974 ed ha chiesto che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.
Considerato in diritto
1. - Nella motivazione dell'ordinanza il pretore sostiene che "il combinato disposto degli artt. 42 e 44 r.d. 16 marzo 1942, n 267, e 162 cod. pen., nella parte in cui non prevedono la possibilità per l'imputato fallito di effettuare la oblazione nonostante la situazione di incapacità derivante dalla dichiarazione di fallimento, privano il fallito del completo esercizio di tutti i diritti che l'ordinamento riconosce per l'esercizio della difesa e pertanto viola l'art. 24 Costituzione". La violazione non troverebbe giustificazione nel rispetto del principio della par condicio creditorum, non avendo esso rilevanza costituzionale come la tutela giurisdizionale garantita dall'art. 24 della Costituzione.
Il pretore, poi, ritiene che l'art. 3 sia violato perché il fallito "pur conservando la titolarità dei suoi beni e pur di fronte ad un possibile esito positivo della procedura fallimentare, che gli permetta di ottenere in futuro la disponibilità della somma fissata per l'oblazione, viene sottoposto, in ragione soltanto del suo dichiarato stato di insolvenza, ad una situazione di ingiustificata disparità di trattamento" in quanto gli é precluso per legge di estinguere, con il pagamento, il corso dell'azione penale.
2. - La questione non é fondata.
Questa Corte, con sentenza 27 giugno-4 luglio 1974, n. 207, sotto il profilo del differenziato trattamento fra condannato abbiente e condannato non abbiente, ha escluso la sussistenza della denunciata illegittimità considerando che "l'istituto della oblazione non si fonda sulla sussistenza del requisito della solvibilità, ma trova fondamento invece nell'interesse dello Stato di definire, con economia di tempo e di spese, i procedimenti relativi a reati di minore importanza e nell'interesse del contravventore di evitare il procedimento penale e la condanna".
In considerazione, quindi, del preminente interesse dello Stato e di quello correlativo dell'imputato, la decadenza per l'omesso pagamento nel termine fu stabilita senza che avessero importanza impedimenti di fatto o preclusioni che non fossero giuridicamente stabilite.
Non sussiste, quindi, la violazione dell'art. 24 Cost., non essendo negato alla parte di agire per la tutela del proprio diritto, né essendo stabilito un limite nei confronti del giudice.
Non é violato nemmeno l'art. 3.
Non é appropriato il riferimento, nell'ordinanza, alla sentenza di questa Corte 18-20 giugno 1971, n. 149, che dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 136, primo comma, cod. pen. "nella parte in cui ammette, per i reati commessi dal fallito in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, la conversione della pena pecuniaria in pena detentiva, prima della chiusura della procedura fallimentare".
In vero in tale sentenza la violazione dell'art. 3 fu rinvenuta nella equiparazione di due situazioni del tutto diverse: l'insolvibilità - richiesta come fatto oggettivo previsto dall'art. 136 per la conversione della pena pecuniaria non eseguita nella più grave pena detentiva - e l'insolvenza - situazione contingente, condizionata e talvolta provvisoria del fallito, posto nell'impossibilità giuridica di disporre dei suoi beni e quindi di pagare. In siffatta situazione fu ritenuto violato l'art. 3, primo comma, Cost. in coerenza con il concetto più volte precisato da questa Corte, secondo cui l'eguaglianza giuridica é eguaglianza di trattamento di situazioni ragionevolmente simili e sussiste disparità di trattamento nei casi di eguale disciplina di situazioni diverse.
Manca ogni ragionevole somiglianza tra le situazioni considerate nella citata sentenza n. 149 del 1971 per la conversione di una pena pecuniaria inflitta al fallito in quella detentiva e la situazione prospettata dal pretore con riferimento all'art. 162 del codice penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 42 e 44 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare) e 162 del codice penale, sollevata dal pretore di Donnaz, con ordinanza 4 marzo 1974, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 1976.
Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 26 maggio 1976.