SENTENZA N. 199
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 387 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1973 dal tribunale di Cosenza nel procedimento penale a carico di D'Aiello Francesco, iscritta al n. 351 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 263 del 10 ottobre 1973.
Udito nella camera di consiglio del 22 maggio 1975 il Giudice relatore Nicola Reale.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 7 giugno 1973 il tribunale di Cosenza ha sollevato, nel corso di procedimento penale a carico di D'Aiello Francesco e in riferimento all'art. 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 387 c.p.p., nella parte concernente le impugnazioni delle sentenze istruttorie di proscioglimento da parte del pubblico ministero.
La norma suddetta - secondo il giudice a quo - non prevederebbe, diversamente da quanto é disposto dall'art. 372, l'obbligo di depositare gli atti prima della decisione. Di qui la violazione del diritto di difesa.
L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata ma nel giudizio non vi é stata costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - L'art. 387 c.p.p., che disciplina le impugnazioni delle sentenze istruttorie di proscioglimento, non prevede, a differenza dell'art. 372 stesso codice, l'obbligo del deposito degli atti e della conseguente notificazione dell'avviso al difensore dell'imputato prima della decisione della sezione istruttoria della Corte d'appello. Detta norma é comunemente interpretata nel senso che tali adempimenti siano tuttavia dovuti se sono stati compiuti ulteriori atti di istruzione.
Nell'ordinanza di remissione si prospetta il dubbio, con particolare riferimento alla posizione dell'imputato e nel caso di gravame del pubblico ministero, che la norma in questione, pur così interpretata, contrasti con l'art. 24 Cost., che garantisce l'inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento. Dopo aver rilevato che l'esigenza di assicurare un esercizio pieno ed effettivo del diritto di difesa sussiste anche quando la sezione istruttoria decida sulla impugnazione senza acquisire ulteriori elementi di prova, il giudice a quo osserva, fra l'altro, che essendo richiesta dall'art. 199 bis c.p.p. solo la notifica all'imputato della dichiarazione di impugnazione del p.m. e non anche dei motivi (i quali a norma dell'art. 201 c.p.p. possono essere presentati successivamente, nel termine di 20 giorni) l'imputato potrebbe non essere in grado di contrastare efficacemente le deduzioni dell'accusa.
2. - La questione é fondata.
Secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, il diritto di difesa é, in primo luogo, garanzia di contraddittorio e pertanto, pur potendo variamente atteggiarsi in funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento, può dirsi assicurato solo quando l'interessato abbia la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale (sent. n. 190 del 1970 e 255 del 1974).
Orbene, alla stregua della norma impugnata, la possibilità di conoscenza da parte dell'imputato e della sua difesa degli elementi sui quali il giudice d'appello fonderà la propria decisione é seriamente compromessa perché, come si é visto, nessun adempimento é prescritto ad iniziativa e a carico dell'ufficio giudiziario in analogia con quanto disposto dall'art. 372 del codice di procedura penale. Né varrebbe osservare in contrario che alle parti private non é precluso di acquisire la conoscenza degli elementi che non siano coperti da segreto istruttorio e che spetta alla diligenza dell'imputato, cui é stata notificata la proposizione del gravame, seguire, anche a mezzo del difensore, il successivo iter Processuale ed il passaggio degli atti dal giudice a quo al giudice ad quem, onde prendere visione dei motivi presentati a sostegno dell'impugnazione, delle requisitorie del p.m. d'appello e delle eventuali memorie e istanze delle altre parti.
Infatti, come si rileva nell'ordinanza di rimessione, proprio perché dopo la notifica della dichiarazione di impugnazione non é previsto alcun altro adempimento da parte dell'ufficio procedente, non può escludersi che la decisione abbia luogo senza che l'imputato o il suo difensore (anche per ragioni indipendenti dalla loro volontà e comunque non ascrivibili alla loro negligenza) abbiano avuto la possibilità di intervenire con piena cognizione di causa per richiamare l'attenzione del giudice sugli elementi a discarico; laddove, come si é visto, il rispetto dei principi sanciti dall'art. 24 Cost. esige che l'imputato sia posto in grado di esporre le proprie ragioni prima della decisione.
Né vi é motivo di distinguere a seconda che la decisione debba avvenire sulla base del materiale probatorio già acquisito in primo grado, ovvero anche tenendosi conto di altri elementi risultanti da un supplemento di istruttoria. Infatti, anche nel primo caso vi é un incontestabile interesse dell'imputato a contrastare in tempo utile gli argomenti dell'accusa onde evitare il rinvio a giudizio e le relative conseguenze.
3. - La disciplina in esame é pertanto sicuramente manchevole perché, non essendo prescritto, dopo la notifica della dichiarazione di impugnazione, alcun adempimento diretto ad informare il difensore dell'imputato sugli sviluppi dell'iter processuale, la effettiva partecipazione della parte interessata al contraddittorio é rimessa unicamente alla sua iniziativa. E ciò, per quanto si é detto, non é compatibile con il precetto di cui all'art. 24 della Costituzione.
A garanzia della difesa deve pertanto estendersi all'ipotesi esaminata la normativa di cui all'art. 372 c.p.p. e conseguentemente ritenersi che, prima della decisione del giudice sull'appello, anche se non preceduta da supplemento di istruttoria, debbano depositarsi in cancelleria gli atti e i documenti del processo, dandone avviso al difensore dell'imputato ai fini dell'esercizio delle facoltà di cui al secondo comma del summenzionato art. 372 c.p.p., nel termine dalla stessa norma fissato.
Ed in tali sensi va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 387 del codice di procedura penale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 387 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che prima della decisione del giudice sull'appello del pubblico ministero si proceda, in tutti i casi, agli adempimenti di cui all'art. 372, primo e secondo comma, dello stesso codice, ai fini dell'esercizio delle facoltà da questa norma previste.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 luglio 1975.