SENTENZA N. 185
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 23 dicembre 1966, n. 1139 (condono di sanzioni non aventi natura penale in materia tributaria), promosso con ordinanza emessa il 30 marzo dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento civile vertente tra la società Molino Felice Saini e l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritta al n. 238 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 del 1 agosto 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;
udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 1975 il Giudice relatore Leonetto Amadei;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione finanziaria.
Ritenuto in fatto
A seguito di verifica effettuata il 30 aprile 1964 dal nucleo della polizia tributaria, venivano rilevate, a carico della s.p.a. Molino Felice Saini, varie infrazioni alle disposizioni sul pagamento dell'IGE.
L'Intendenza di finanza di Novara condannava, con ordinanza notificata l'8 febbraio 1966, la società al pagamento di lire 11.412.696 per IGE evasa e di lire 23.466.000 per pena pecuniaria.
In pendenza del ricorso al Ministero delle finanze veniva emanata la legge 23 dicembre 1966, n. 1139, contenente disposizioni sul condono di sanzioni non aventi natura penale in materia tributaria.
La società pur non rinunciando al proprio ricorso provvedeva al pagamento del tributo evaso in relazione alle infrazioni contestate ai nn. 2, 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14 dell'ordinanza dell'Intendenza.
Con decreto 17 luglio 1970, il Ministro per le finanze accoglieva il ricorso relativamente agli addebiti di cui ai nn. 1, 2, 4 e 7 e dichiarava condonate le infrazioni di cui ai nn. 8 e 9, confermando nel resto il provvedimento impugnato.
Con citazione del 9 novembre 1970 la società conveniva davanti al tribunale di Torino l'Amministrazione finanziaria dello Stato chiedendo, tra l'altro, la condanna della predetta Amministrazione al rimborso della somma di lire 3.447.694 a suo tempo corrisposta per le infrazioni di cui ai nn. 2 e 7.
Il tribunale di Torino, con sentenza 8 ottobre-6 novembre 1971, respingeva la domanda di rimborso delle somme pagate in applicazione dell'art. 6 della legge n. 1139 del 1966, per le infrazioni riconosciute inesistenti.
Avverso la sentenza interponeva appello la società Saini.
La Corte di appello di Torino, con ordinanza del 30 marzo 1973, sollevava d'ufficio la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23 e 53, primo comma della Costituzione, del precitato art. 6 della legge 23 dicembre 1966, n. 1139.
Per la Corte di appello la violazione dell'art. 23 della Costituzione discenderebbe dal fatto che l'art. 6 della legge n. 1139 del 1966, precludendo nella assolutezza del suo dettato la ripetibilità delle somme corrispondenti al tributo evaso anche quando, come nella specie, venga accertata la inesistenza del tributo, imporrebbe una prestazione patrimoniale non giustificata sulla base del principio costituzionale che fa divieto di imposizioni di tale natura senza una esplicita previsione normativa. Tale principio esigerebbe, nella interpretazione ad esso data dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 4 e 30 del 1967,non soltanto che il potere di imporre una prestazione abbia base in una legge, ma anche che questa indichi nell'attribuire il potere, i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del potere stesso. Nel caso il contestato art. 6 consentirebbe una imposizione al di fuori di una norma che la giustifichi é quindi un atto di esercizio di potere arbitrario.
Il primo comma dell'art. 53 della Costituzione, relativo alla capacità contributiva, risulterebbe violato in quanto l'art. 6 consentirebbe la richiesta di un tributo in mancanza del presupposto che lo legittimi: il rapporto tra l'entità del tributo stesso e la capacità contributiva del soggetto al quale viene imposto.
Nel giudizio davanti alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si é costituita l'Amministrazione finanziaria dello Stato, in persona del Ministro pro-tempore, ambedue rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato.
Per l'Avvocatura dello Stato la interpretazione dell'art. 6 della legge n. 1139 ipotizzata dalla Corte di appello sarebbe inaccettabile sia dal punto di vista letterario sia dal punto di vista logico, in quanto una volta effettuato a norma dell'art. 3 della stessa legge, il pagamento dei tributi evasi, al fine di poter conseguire il condono, non si potrebbe più far luogo all'accertamento della inesistenza dei presupposti per l'applicazione dei tributi stessi. In effetti la esatta interpretazione dell'art. 6 porterebbe a dover ritenere che la irripetibilità dei tributi corrisposti per beneficiare del condono sarebbe una logica conseguenza del consolidarsi, attraverso la stessa richiesta di volere usufruire del condono, della legittimità dell'atto amministrativo di accertamento e di imposizione.
In sostanza il legislatore avrebbe offerto al contribuente una duplice libera scelta, o beneficiare del condono alle condizioni e con le conseguenze prestabilite dalla legge che lo concede o rinunziare al condono stesso utilizzando i rimedi giuridici concessi per contrastare la esistenza dei presupposti in base ai quali sarebbe stata determinata la imposizione tributaria.
D'altra parte, a parere dell'Avvocatura, l'art. 6 non disporrebbe alcuna prestazione patrimoniale; questa troverebbe la sua collocazione nelle singole leggi che disciplinano le imposte e per le quali il condono può avere applicazione.
Sul secondo profilo di incostituzionalità riferito all'art. 53, primo comma, della Costituzione, l'Avvocatura osserva che la incostituzionalità non é ipotizzabile sotto il precedente profilo, in quanto muoverebbe da quella stessa interpretazione della norma impugnata che sarebbe da non accogliere.
Poiché la irripetibilità di quanto pagato per beneficiare del condono importerebbe, per le motivazioni suespresse, la implicita rinuncia al ricorso proposto dal contribuente avverso l'accertamento e il conseguente consolidarsi della legittimità di questo, l'indice rivelatore di ricchezza, presupposto del tributo, rimarrebbe necessariamente quello già accertato.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza della Corte di appello di Torino propone, in riferimento agli artt. 23 e 53, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità dell'art. 6 della legge 23 dicembre 1966, n. 1139 - condono di sanzioni non aventi natura penale in materia tributaria - che dispone la non ripetibilità dei tributi, dei diritti, delle maggiorazioni e degli interessi di mora corrisposti per beneficiare delle disposizioni di cui alla legge stessa.
La questione non é fondata.
2 - La legge n. 1139 del 1966, fra le condizioni che subordinano la concessione del condono tributario impone anche quella che venga effettuato, nel termine di 120 giorni dalla data della sua entrata in vigore, il pagamento dei tributi evasi e delle indennità di mora (art. 3, primo comma, n. 2). Uniformandosi ad un costante indirizzo in materia, il legislatore ha disposto, nel ricordato art. 6, la non ripetibilità in nessun caso delle somme corrisposte.
In tale sistema il giudice a quo ha ritenuto dover ravvisare una possibile violazione sia dell'art. 23 della Costituzione, per il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, sia dell'art. 53, per il quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
3. - L'ordinanza di rinvio muove dalla considerazione che l'art. 6 della legge n. 1139 del 1966 imporrebbe, attraverso l'istituto della non ripetibilità, una prestazione patrimoniale non giustificata e non giustificabile qualora venissero a mancare i presupposti atti a legittimare all'origine la pretesa del tributo accertato. L'istituto della non ripetibilità assumerebbe, in tal caso, figura e carattere di una vera e propria imposizione fiscale autonoma, direttamente ricollegata al condono e da questo derivabile.
Questa interpretazione dell'art. 6 della legge data dal giudice proponente non tiene conto che il pagamento tempestivo dei tributi accertati come evasi costituisce condizione per l'applicazione del provvedimento di clemenza; ciò sta a significare che si deve aver riguardo, ai fini della soluzione della questione di legittimità, a quello che é l'aspetto della posizione contributiva del soggetto, possibile beneficiario del condono, al momento dell'emanazione del provvedimento stesso. Tale posizione contributiva é senz'altro quella giuridicamente fissata dall'atto formale impositivo, in conformità alla legge tributaria che lo consente.
Sotto questo profilo non può, pertanto, essere ravvisata alcuna illegittimità nella norma che impone la condizione del pagamento dei tributi considerati come evasi e la loro irrepetibilità, in quanto, appunto, la norma tiene conto della situazione in atto alla quale si lega la concessione del beneficio, diretto a risolvere il rapporto dare-avere tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria in forza dell'accertamento da questa effettuato.
Il condono opera, in sostanza, dal momento in cui il contribuente lo chiede adempiendo regolarmente alle condizioni imposte dalla legge; verrebbero meno, invero, le finalità perseguite con esso dallo Stato se dovesse trovare applicazione solo dopo l'accertamento della sussistenza o meno dei presupposti che stanno alla base del tributo.
Per quanto riguarda l'asserita violazione dell'art. 53 della Costituzione, la Corte osserva che non può condividersi la tesi del proponente che, dall'art. 6 della legge risulterebbe violato il principio che ogni tributo deve essere commisurato alla capacità contributiva del soggetto a cui il tributo stesso viene applicato e richiesto. Il divieto della ripetibilità si pone al di fuori del meccanismo giuridico su cui poggia l'accertamento e l'imposizione del tributo. É proprio la richiesta del condono che impedisce ogni accertamento in via amministrativa o in via giudiziaria sulla eventuale illegittima imposizione del tributo.
In sostanza, il decreto di condono pone l'interessato di fronte ad una alternativa: o soggiacere alla pretesa della pubblica amministrazione onde definire la pendenza tributaria attraverso la richiesta del beneficio o esperire i rimedi giuridici che la legge prevede per contrastare la pretesa stessa. Tutto ciò si inserisce razionalmente in quelle che sono le finalità del provvedimento di clemenza: una regolamentazione giuridica del rapporto pendente tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria che renda indenne l'interessato dalle sanzioni conseguenti al mancato adempimento del quale la legge tributaria gli fa carico e che dirima, nel contempo, ogni controversia in ordine alla regolarità della obbligazione tributaria alla sua fonte. Presupposto dell'applicazione del provvedimento di clemenza é senz'altro l'accettazione volontaria e non obbligatoria delle condizioni che la legge di condono impone al debitore tributario perché possa beneficiarne.
Una volta accettate le condizioni, automaticamente la pretesa contributiva della pubblica amministrazione, consacrata dall'atto originario di imposizione di tributo, trova una sua concreta e valida legittimazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 23 dicembre 1966, n. 1139 (condono di sanzioni non aventi natura penale in materia tributaria) proposta, in riferimento agli artt. 23 e 53, primo comma, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria l'8 luglio 1975.