Sentenza n.133 del 1975
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SENTENZA N. 133

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale dell'Abruzzo il 12 dicembre 1973 e riapprovata il 24 aprile 1974, recante "interpretazione autentica dell'art. 1 della legge regionale 16 marzo 1973, n. 13", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l'11 maggio 1974, depositato in cancelleria il 18 successivo ed iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1974.

Visto l'atto di costituzione del Presidente della Regione Abruzzo;

udito nell'udienza pubblica del 22 gennaio 1975 il Giudice relatore Michele Rossano;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri, e l'avvocato Antonio Sorrentino, per la Regione.

Ritenuto in fatto

Con ricorso notificato l'11 maggio 1974 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione Abruzzo concernente "interpretazione autentica della legge regionale 16 marzo 1973, n. 13" e riapprovata dal Consiglio regionale, a maggioranza assoluta di voti, nella seduta del 24 aprile 1974 nel medesimo testo già approvato nella seduta del 12 dicembre 1973 e rinviato dal Governo. Ha dedotto, con due motivi, che la suddetta legge regionale viola l'art. 117, primo alinea, della Costituzione, in relazione alla legge 18 dicembre 1973, n. 836, all'art. 67 legge 10 febbraio 1953, n. 62, ed a tutto il complesso delle leggi concernenti lo status di dipendente dello Stato o di Enti locali; e viola, altresì, l'art. 97 della Costituzione.

Ha affermato che la legge regionale impugnata supera i limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato - limiti posti dall'art. 117, primo alinea, della Costituzione alla potestà legislativa delle Regioni - poiché dispone, per il proprio personale, un trattamento economico più favorevole di quello spettante al personale statale in quanto:

a) prescinde espressamente dal limite di 180 giorni in un anno - stabilito dall'ordinamento statale relativo al trattamento di missione (art. 1 legge 18 dicembre 1973, n. 836; art. 1 legge 15 aprile 1961, n. 291) - dato che prevede indennità di missione da corrispondere al personale, comandato a prestare servizio presso gli uffici della Regione, fino alla data di effettivo inquadramento dello stesso personale nel ruolo organico;

b) il personale comandato - a seguito della retrodatazione, ai sensi dell'art. 72, primo comma, della legge regionale 2 agosto 1973, n. 32, degli effetti giuridici ed economici dell'inquadramento nel ruolo organico alla data di inizio del servizio - verrà a fruire, fino all'inquadramento, di una duplice posizione giuridica: quella di comandato dallo Stato e da Enti locali, con il conseguente e generalizzato diritto alla indennità di missione; e quella di dipendente regionale con il diverso trattamento di missione previsto dall'art. 42 della citata legge regionale n. 32 del 1973; il che comporta l'incompetenza della Regione ad emanare norme su personale che non le appartiene ancora strutturalmente, con violazione degli artt. 117 e 97 della Costituzione.

La Regione Abruzzo si é costituita in giudizio con deduzioni depositate il 5 giugno 1974 ed ha, preliminarmente, sollevato l'eccezione di inammissibilità del ricorso perché tardivo. Al riguardo ha dedotto che, con l'impugnare la legge regionale 24 aprile 1974 di interpretazione autentica dell'art. 1 della legge regionale 16 maggio 1973, n. 13, in realtà il Governo rivolge il ricorso avverso tale legge n. 13 del 1973, che non fu a suo tempo impugnata. Ha affermato che la legge di interpretazione non era affatto necessaria, in quanto era chiaro che la legge regionale n. 13 del 1973 aveva inteso prorogare la corresponsione dell'indennità di missione oltre il limite dei 180 giorni in un anno. Ha aggiunto che il Governo avrebbe dovuto impugnare la legge n. 13 del 1973, qualora avesse ritenuto che tale legge eccedesse i limiti della potestà regionale; e che, se anche il ricorso venisse accolto, la pronuncia di illegittimità non coinvolgerebbe la legge n. 13 del 1973, che resterebbe operante. Nel merito ha precisato, innanzitutto, che la legge regionale impugnata non disciplina il trattamento di missione, ma prevede, nell'ambito del potere riconosciuto alle Regioni dall'art. 65 legge n. 62 del 1953, una indennità al personale statale e di altri enti comandato presso gli uffici della Regione, utilizzando, in via analogica, l'indennità prevista dalle leggi statali per la missione. Ha aggiunto che, in ogni caso, il limite dei 180 giorni non può essere considerato un principio della legislazione statale, dato che esso é una semplice regola particolare, può essere derogato mediante apposita motivazione ministeriale.

Ha, poi, sostenuto che l'art. 67 della legge n. 62 del 1953 - richiamato nel ricorso - é del tutto estraneo alla questione in esame perché la legge impugnata si riferisce al personale statale e degli altri enti locali "comandato" e non al personale regionale, onde la norma che interessa é l'art. 65 della stessa legge, che prevede una indennità in conseguenza del comando.

Ha, infine, affermato, in relazione al richiamo dell'art. 72 della legge regionale 2 agosto 1973, n. 32, che l'indennità al personale comandato é corrisposta in conseguenza della residenza, a ristoro dei disagi ed a rimborso delle spese affrontati dal dipendente per la prestazione del servizio fuori sede, disagi e spese che non sono eliminati dalla retrodatazione degli effetti dell'inquadramento.

Considerato in diritto

É preliminare l'esame dell'eccezione di inammissibilità del ricorso, perché tardivo, sollevata dalla Regione Abruzzo.

L'eccezione é destituita di giuridico fondamento, perché la legge d'interpretazione autentica - in quanto impone a tutti di riconoscere un certo contenuto alla legge interpretata - ha di per sé un effetto innovativo che non può essere sottratto al controllo di legittimità costituzionale.

Il ricorso, sebbene ammissibile, non é fondato.

Il ricorrente sostiene che la previsione dell'indennità di missione al personale comandato oltre il termine di 180 giorni in un anno, fino alla data di effettivo inquadramento nel ruolo organico, é illegittima sotto due aspetti: sotto il primo, perché in contrasto con il principio - ritenuto fondamentale dell'ordinamento statale dalla sentenza di questa Corte 24 febbraio 1972, n. 40, e stabilito dall'art. 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, sulla costituzione e sul funzionamento degli organi regionali - che vieta alle Regioni di stabilire un trattamento economico al proprio personale più favorevole di quello spettante al personale statale. Ma tale sentenza affermò la validità costituzionale del principio con riguardo allo stato giuridico ed economico del personale regionale, al quale esplicitamente si riferiva l'art. 67, che era impugnato assumendosi che invadeva la competenza attribuita alle Regioni dall'articolo 117 della Costituzione. Il principio, quindi, implicava una valutazione comparativa tra lo stato economico e giuridico del personale di ruolo delle Regioni e quello del personale statale. Non esclude, invece, che, per il personale comandato, le Regioni possano autorizzare indennità per il tempo del comando, nell'esercizio del potere legislativo che l'art. 117, primo alinea, loro attribuisce. L'art. 65 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, che prevede il comando del personale statale o di enti locali necessario per la prima costituzione degli uffici regionali, vieta indennità per il comando in sede, ma non che le Regioni possano, nei limiti della loro competenza legislativa in materia di ordinamento dei loro uffici, corrispondere indennità per il comando fuori sede.

Sotto il secondo aspetto il ricorrente sostiene che il termine di 180 giorni stabilito dall'art. 1 legge 15 aprile 1961, n. 291, sostituito dall'art. 1 legge 18 dicembre 1973, n. 836, costituisce espressione di un principio fondamentale dell'ordinamento statale del personale dello Stato, non derogabile dalle Regioni.

Ma il termine, alla stregua delle norme su citate, é derogabile per circostanze speciali con "apposita motivazione ministeriale". E nella specie la derogabilità e le circostanze speciali sono considerate dall'art. 65 della citata legge, che dispone il comando "in quanto sia necessario" ed é norma temporanea in quanto rivolta a disciplinare la prima fase di impianto degli uffici delle Regioni, come fu ritenuto con la sentenza n. 40 del 1972 di questa Corte.

Le stesse considerazioni valgono ad escludere che sussista la violazione dell'art. 97 della Costituzione, genericamente denunciata dal ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso 11 maggio 1974 avverso la legge della Regione Abruzzo concernente "interpretazione autentica della legge regionale 16 marzo 1973, n. 13", riapprovata dal Consiglio regionale nella seduta del 24 aprile 1974.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 28 maggio 1975.