SENTENZA N. 73
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 152, 398 e 399 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'8 giugno 1971 dal giudice istruttore del tribunale di Locri nel procedimento penale a carico di Lombardo Vincenzo, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 dell'8 maggio 1974.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 febbraio 1975 il Giudice relatore Luigi Oggioni;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Con sentenza istruttoria 29 ottobre 1970 il pretore di Caulonia dichiarava non doversi procedere a carico di Lombardi Vincenzo, imputato del delitto di invasione di terreni di cui all'art. 633 del codice penale, per mancanza di querela.
In sede di appello avanti al giudice istruttore presso il tribunale di Locri, l'imputato sosteneva la nullità della sentenza perché emessa senza il suo previo interrogatorio e lamentava che il proscioglimento per mancanza di querela lasciava comunque su di lui il sospetto che potesse essersi reso colpevole del reato contestatogli, mentre ciò era assolutamente da escludere in fatto, ed il pretore avrebbe dovuto quindi assolverlo con formula ampia di merito.
Il giudice istruttore, con ordinanza 8 giugno 1971, osservava che, a mente dell'art. 398 c.p.p., il pretore non era effettivamente tenuto ad assumere l'interrogatorio dell'imputato prima della pronuncia della sentenza di non dovervi procedere per difetto di querela, il che, peraltro, costituirebbe violazione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., essendo, appunto, l'interrogatorio, il mezzo difensivo fondamentale riconosciuto all'imputato.
Al riguardo, secondo il giudice a quo, varrebbero le stesse ragioni già a suo tempo esposte nella sentenza di questa Corte n. 151 del 1967, la quale, peraltro, concernendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 376 c.p.p. nei limiti in cui consente al giudice istruttore di pronunziare, senza previo interrogatorio dell'imputato, sentenza di proscioglimento per motivo diverso da quello della insussistenza del fatto o della non commissione dello stesso da parte dell'imputato, riguarderebbe, direttamente, soltanto le ipotesi di proscioglimento nel merito e non il caso di pronunzia di improcedibilità per mancanza di querela come nella specie. Né, secondo il giudice a quo, potrebbe obiettarsi che, a mente dell'art. 152 c.p.p. il giudice, in presenza di una causa di improcedibilità, non può comunque scendere ad esaminare il merito, giacché anche tale limitazione verrebbe a comprimere illegittimamente il diritto dell'imputato a svolgere la propria difesa al fine di essere prosciolto con formula piena e sarebbe inoltre in contrasto con l'art. 3 Cost., perché porrebbe irragionevolmente trattamenti diversi per gli imputati circa la possibilità della immediata dichiarazione di non procedibilità per il semplice fatto che un reato é perseguibile a querela ed un altro d'ufficio. Pertanto, l'ordinanza del pretore solleva questione di legittimità del citato art. 152 c.p.p.
Da quanto detto discenderebbe anche l'illegittimità dell'art. 399 c.p.p., nei limiti in cui non consente all'imputato di proporre appello avverso la sentenza istruttoria di non doversi procedere per mancanza di querela, giacché verrebbe così, per altro verso, pure precluso all'imputato il diritto ad ottenere il proscioglimento con formula ampia nel fatto, con con conseguente violazione della garanzia di difesa.
L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 119 dell'8 maggio 1974.
Avanti a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.
L'Avvocatura osserva che, secondo i principi generali, in difetto di querela per determinati reati non vi é e non vi può essere azione penale, e quindi non vi sarebbe neppure un imputato, che é appunto la persona contro la quale é diretta l'azione penale.
Pertanto non incorrerebbero nella lamentata violazione del diritto di difesa né l'art. 152 c.p.p., poiché il giudice, nel caso di querela, non potrebbe ovviamente scendere ad un qualunque esame di merito se l'azione penale non può essere iniziata, né l'art. 398 c.p.p., perché il giudice non potrebbe interrogare come imputato una persona che non ha tale qualità, né l'art. 399 c.p.p., perché non potrebbe essere preveduto un diritto di appello per ottenere una pronunzia concernente un'azione penale che non può essere iniziata.
Neppure fondato sarebbe il particolare profilo di illegittimità per contrasto con l'art. 3 Cost. prospettato in relazione all'art. 152 c.p.p., in quanto la norma impugnata non porrebbe in essere trattamenti diversi per situazioni uguali, ma consentirebbe il proscioglimento di merito per colui che assume la veste di imputato, e lo escluderebbe invece ben logicamente nei confronti della persona nei cui confronti l'azione penale non può essere iniziata, e non é quindi imputata.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza del giudice istruttore presso il tribunale di Locri, adito in sede di appello avverso sentenza del pretore di Caulonia che aveva dichiarato non doversi procedere, per mancanza di querela, contro Lombardo Vincenzo, accusato del reato di cui all'art. 633 del codice penale, sottopone alla Corte, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 152, 398 e 399 del codice di procedura penale.
Si assume in ordinanza che, sia l'obbligo imposto in via generale al giudice, dell'immediata declaratoria che un'azione penale non possa essere iniziata (art. 152 c.p.p.), ciò pur senza il previo interrogatorio sul fatto da parte del soggetto interessato: sia, in particolare, l'obbligo imposto al pretore di pronunciare senz'altro sentenza di non doversi procedere ove risultino difettare le condizioni di procedibilità (art. 398 c.p.p): sia, infine, la non appellabilità, da parte del soggetto privato, contro la sentenza di non doversi procedere (art. 399 c.p.p.): diano tutti luogo ad un complesso normativo, escludente il diritto di difesa nel merito, (onde ottenere, a tutela della propria reputazione, pieno proscioglimento per insussistenza del fatto o per non commissione dello stesso) nonché escludente il principio di pari trattamento, da doversi qui applicare razionalmente tanto ai reati perseguibili a querela di parte, quanto a quelli perseguibili di ufficio.
2. - La questione non é fondata.
Senza che si ravvisi qui necessario identificare la natura giuridica dell'istituto della querela (sia questa, secondo diverse teorie, condizione di procedibilità, ovvero di punibilità o l'una e l'altra insieme) va considerato, anzitutto, che, laddove non si verifichino le condizioni per l'esercizio del relativo diritto ai sensi dell'art. 120 cod. pen. vengono a mancare a priori in modo assoluto le premesse che consentano di dar corso all'azione penale. Manca l'assunzione della qualità di imputato (art. 78 cod. proc. pen.): manca, comunque, l'obbligo di effettuare preventiva comunicazione giudiziaria (art. 304 cod. proc. pen.). Il che spiega l'"immediatezza" dell'obbligo della relativa declaratoria (art. 152 c.p.p.) ed, infine, l'esonero dalla iscrizione nel casellario giudiziale della sentenza di non doversi procedere (art. 604, comma secondo, cod. proc. pen.).
Ciò stante, questo sistema non può dirsi suscettibile di riflessi esterni, tali da dar luogo ragionevolmente ad una apparente situazione di discredito nei riguardi di persona, cui venga attribuito un fatto, perseguibile soltanto a condizione dell'esistenza di querela di parte.
3. - Secondo l'ordinanza di rinvio, l'interesse ad ottenere, al di là della mancanza del cennato elemento condizionante, un pieno proscioglimento nel merito, a riparazione del preteso discredito, potrebbe essere tutelato, quanto meno con la forma dell'interrogatorio. Ma, a parte che il solo interrogatorio non sarebbe, di per sé, risolutivo, v'é da tener conto che tale mezzo istruttorio qui presuppone pur sempre l'avvenuta assunzione della qualità di imputato.
L'art. 398, ultimo comma, cod. proc. pen. stabilisce bensì che il pretore non possa pronunciare sentenza di non doversi procedere nei casi di concessione di perdono giudiziale, di insufficienza di prove e di amnistia, senza che l'imputato sia stato interrogato sul fatto: (ciò in conformità a quanto già stabilito nell'art. 376 cod. proc. pen. per l'istruzione formale).
Tuttavia, detto interrogatorio, che é atto istruttorio, risulta imposto in relazione a casi, come quelli del perdono giudiziale e della insufficienza di prove, che postulano ovviamente un esame di merito (con l'estensione a casi similari, indicati con la sentenza n. 151 del 1967) nonché in relazione all'ipotesi di amnistia (propria), concessa durante un'azione penale in corso, nella quale sia già configurata la qualifica di "imputato", secondo l'espresso richiamo contenuto nei cennati artt. 376 e 398 del codice di procedura penale.
4. - Dev'essere, di conseguenza, esclusa ogni pretesa contraddizione delle disposizioni impugnate, singolarmente e nella loro connessione e interdipendenza, ai principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 152, 398 e 399 del codice di procedura penale sollevata con l'ordinanza 8 giugno 1971 dal giudice istruttore presso il tribunale di Locri in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 25 marzo 1975.