SENTENZA N. 43
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), promosso Con ordinanza emessa il 5 febbraio 1974 dal pretore di Vittorio Veneto nel procedimento penale a carico di Basso Zefferina ed altri, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 19 giugno 1974.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 dicembre 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un giudizio a carico di Basso Zefferina ed altri, imputati della contravvenzione punita dall'art. 59 del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, per aver evaso l'imposta di consumo su 150 litri di liquore, il pretore di Vittorio Veneto ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nella parte in cui sancisce la c.d. ultrattività delle norme penali finanziarie, in riferimento al principio costituzionale d'eguaglianza.
Ad avviso del giudice a quo la norma impugnata - che impedirebbe di tener conto dell'intervenuta abrogazione delle imposte comunali di consumo ex art. 90, n. 15, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 - creerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento in danno degli imputati di reati previsti dalle leggi finanziarie, derogandosi al principio generale di cui all'art. 2, secondo comma, del codice penale.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto di deduzioni depositato il 2 aprile 1974, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione sollevata. La difesa dello Stato osserva che in materia finanziaria, a fondamento dell'ultrattività delle norme, viene comunemente ravvisata la particolare necessità di tutela dell'interesse fiscale, avente un esplicito riconoscimento nell'art. 53, comma primo, della Costituzione. In una successiva memoria ha tuttavia rilevato che preliminarmente la Corte potrebbe riconoscere l'irrilevanza prima facie della questione prospettata, la quale sarebbe pertanto inammissibile, non potendo trovare applicazione nel giudizio di merito la norma impugnata, operante a tutela dei soli tributi statali.
Considerato in diritto
La Corte é chiamata nuovamente a decidere se l'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, nella parte in cui sancisce la c.d. "ultrattività delle disposizioni penali delle leggi finanziarie", contrasti o meno con il principio costituzionale d'eguaglianza, per il dubbio che la deroga apportata ai principi vigenti in tema di successione di leggi penali (art. 2 c.p.) sia ispirata ad un'ingiustificata eccessiva tutela degli interessi fiscali.
Va innanzitutto constatato che la questione é stata sollevata nel corso di un procedimento penale instaurato a carico di taluni soggetti imputati del reato di cui agli artt. 59 e 55 del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 (t.u. per la finanza locale), per aver evaso l'imposta comunale di consumo, in violazione di norme abrogate al momento del giudizio per effetto dell'art. 90, n. 15, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Né il pretore si é dato carico di spiegare perché l'impugnato art. 20 della citata legge n. 4 del 1929 avrebbe potuto trovare applicazione anche nel giudizio a quo, diretto alla repressione della violazione di un'imposta comunale, nonostante la contraria interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale.
Invero, come risulta espressamente dal combinato disposto degli artt. 1 e 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, il c.d. principio d'ultrattività opera soltanto per la "repressione delle violazioni delle leggi finanziarie relative ai tributi dello Stato" e non é applicabile, secondo la costante ed anche recentissima giurisprudenza della Cassazione, alla violazione delle leggi penali concernenti i tributi spettanti agli enti locali. É appena il caso di accennare che tale diversità di trattamento é stata già esaminata da questa Corte che ha respinto la relativa censura di incostituzionalità (ordinanza n. 279 del 1974).
Da quanto precede emerge che la questione sollevata dal giudice a quo appare prima facie irrilevante e va pertanto dichiarata inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile per manifesta irrilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (c.d. ultrattività delle leggi penali finanziarie), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO
Depositata in cancelleria il 6 marzo 1975.