Sentenza n. 13 del 1975
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SENTENZA N. 13

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista  BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio sul conflitto di competenza, sollevato dal Giudice istruttore presso il tribunale di Roma, nei confronti della Commissione parlamentare inquirente per i giudizi d'accusa, con ordinanza emessa il 28 giugno 1974 nel procedimento penale a carico di Scialotti Aldo ed altri.

Udito nella camera di consiglio del 9 gennaio 1975 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l'on. avv. prof. Giuseppe Codacci Pisanelli, rappresentante della Commissione parlamentare inquirente per i giudizi d'accusa, e il dott. Renato Squillante, Giudice istruttore presso il tribunale di Roma.

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 28 giugno 1974 nel corso di un procedimento penale a carico di Scialotti Aldo ed altri, il Giudice istruttore presso il tribunale di Roma denunciava un conflitto di giurisdizione-competenza, ai sensi dell'art. 13, secondo comma, della legge 25 gennaio 1962, n. 20, nei confronti della Commissione parlamentare inquirente per i giudizi di accusa, assumendo che questa - ottenuto in visione l'incarto processuale relativo a quel procedimento, con la sola eccezione dei documenti acquisiti in sequestro ed indispensabili ad indagini peritali già commesse - dopo aver successivamente disatteso un invito a restituire anche solo in copia fotostatica gli stessi atti, comunicava attraverso una lettera del 22 maggio 1974, a firma del Presidente della Camera dei deputati, richiesta formale per la loro acquisizione, congiunta peraltro ad una autorizzazione al proprio presidente a trasmettere la fotocopia autentica degli atti necessari all'autorità giudiziaria e gli originali di quelli non pertinenti ai fini della propria competenza. Rimasta priva di esito una ulteriore nota, indirizzata sia alla Presidenza della Camera dei deputati sia a quella della Commissione ed intesa a ricevere la materiale restituzione dell'intero incarto processuale, come pure copia della motivazione dell'atto conclusivo della Commissione stessa, il Giudice istruttore ha rimesso alla Corte la risoluzione del conflitto così insorto, chiedendo in via principale una pronuncia favorevole alla propria giurisdizione-competenza nell'assunto della inapplicabilità al caso di specie dell'art. 13, primo comma, della legge n. 20 già ricordata, ed in via subordinata, per l'ipotesi cioé che tale norma fosse ritenuta applicabile, una dichiarazione di illegittimità della stessa per violazione degli artt. 101, secondo comma, 112, 102, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.

2. - Il Consigliere istruttore presso il tribunale di Roma, con una successiva ordinanza del 3 luglio, nell'assegnare a sé medesimo l'istruttoria in corso, riservava ogni altra decisione per la prosecuzione della stessa all'esito delle delibere che sarebbero state prese dalla Commissione inquirente od all'esito della pronuncia di questa Corte. Nella sua motivazione tale seconda ordinanza esprime, peraltro, il convincimento che non potesse ancora parlarsi di un vero e proprio "contrasto", risultando che la Commissione sarebbe stata prossima ad evadere l'ultima richiesta inoltratale dall'ufficio istruzione e sussistendo così le premesse per superare agevolmente e rapidamente la questione. Ed infatti lo stesso giorno 28 giugno, data dell'ordinanza che elevava il conflitto, il Presidente della Commissione inquirente aveva comunicato al Presidente della Camera e per conoscenza al Consigliere istruttore che la Commissione , "accedendo alla richiesta del Consigliere istruttore" aveva deliberato che gli atti a suo tempo inviati in visione venissero restituiti, appena ultimata la riproduzione in fotocopia degli stessi, già in fase avanzata; al contempo la Commissione chiedeva copia dei restanti atti processuali.

3. - Il 18 luglio successivo la Commissione inquirente, a norma dell'art. 13 della legge n. 20 del 1962 e dell'art. 49 c.p.p., "ritenuta opportuna la separazione del procedimento contro Scialotti ed altri" e richiamata la propria ordinanza del 21 maggio che veniva unita in copia, deliberava di trasmettere all'autorità giudiziaria il fascicolo processuale in questione, richiedendo al contempo la restituzione in originale di alcuni atti indicati in allegato alla delibera stessa, in ordine ai quali " la Commissione ha dichiarato la propria competenza per i fatti da essi emergenti e configurabili come ipotesi di responsabilità ministeriali". Decideva altresì di chiedere all'autorità giudiziaria copia della documentazione relativa agli atti medesimi.

Le due delibere della Commissione inquirente, nonché le ordinanze del Giudice istruttore Squillante e del Consigliere Gallucci sono state trasmesse alla Corte dallo stesso Consigliere istruttore, con missiva in data 22 luglio.

4. - Alla pubblica udienza del 9 ottobre 1974 questa Corte, prima di procedere al sorteggio dei giudici aggregati, accogliendo un'eccezione proposta dalla difesa di una delle parti civili, sollevava innanzi a sé medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, secondo comma, della legge n. 20 del 1962, nella parte in cui dispone che la decisione sui conflitti tra Commissione inquirente per i procedimenti di accusa o Parlamento in seduta comune e autorità giudiziaria debba farsi dalla Corte nella composizione integrata di cui all'ultimo comma dell'art. 135 della Costituzione: e ciò per contrasto con gli artt. 134 e 135 della Costituzione. Altra questione relativamente alla stessa disposizione, nella parte in cui prescrive che la decisione sul conflitto debba avvenire "sentito un rappresentante della Commissione inquirente", e non anche l'autorità giudiziaria, veniva poi sollevata d'ufficio, in riferimento agli artt. 24 e 134 della Costituzione. Entrambe le questioni erano poi discusse alla pubblica udienza del 6 novembre e decise con la sentenza n. 259 del 1974, che dichiarava la illegittimità delle norme impugnate.

5. - Il 9 gennaio 1975, la Corte riunita in camera di consiglio sentiti il Giudice istruttore dott. Squillante e il rappresentante della Commissione inquirente, on. Codacci Pisanelli, esaminava preliminarmente il problema relativo all'asserito diritto del pubblico ministero del processo a quo di prender parte alla udienza nella sua qualità di rappresentante dell'autorità giudiziaria insieme al Giudice istruttore, emanando al riguardo la seguente ordinanza della quale veniva data immediata lettura:

"La Corte

"Ritenuto che il contraddittorio innanzi a questa Corte deve essere limitato al rappresentante della Commissione parlamentare inquirente ed all'autorità giudiziaria legittimata a sollevare il conflitto;

"che nel corso di una istruttoria formale legittimato a sollevare il conflitto é il Giudice istruttore e non anche il pubblico ministero;

"che pertanto nell'attuale procedimento legittimato a partecipare al contraddittorio é il Giudice istruttore che ha sollevato il conflitto,

respinge

l'istanza del Giudice istruttore".

Nel corso della discussione successiva il Giudice istruttore insisteva per l'accoglimento delle conclusioni principali ed eventualmente di quelle subordinate contenute nella sua ordinanza del 28 giugno, mentre il rappresentante della Commissione inquirente, in via preliminare, sollevava eccezione di illegittimità costituzionale: a) in riferimento agli artt. 96 e 134 Cost., dell'art. 13 della legge n. 20 del 1962, nella parte in cui stabilisce che, solo quando vi sia un procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria a carico di alcune delle persone indicate negli artt. 90 e 96 della Costituzione, la Commissione inquirente può informare il Presidente della Camera dei deputati perché richieda all'autorità giudiziaria gli atti del processo; b) in riferimento agli artt. 3,24 e 134 Cost., dell'art. 11 della stessa legge, nella parte in cui tale disposizione legittima l'autorità giudiziaria, e non anche la Commissione inquirente, a sollevare conflitto innanzi alla Corte costituzionale per la decisione sulle rispettive competenze. Sulla prima delle due questioni il Giudice istruttore esprimeva l'avviso che fosse rilevante e non manifestamente infondata; sulla seconda, che fosse anch'essa non manifestamente infondata, ma, a differenza della precedente, irrilevante nell'attuale giudizio.

In pari tempo, il rappresentante della Commissione inquirente chiedeva declaratoria della avvenuta cessazione della materia del contendere deducendo che tutti gli atti del procedimento Scialotti erano stati ormai restituiti all'autorità giudiziaria, conformemente a quanto risulta dalla lettera del Presidente della Commissione in data 28 giugno 1974. La tesi era contestata dal Giudice istruttore, sulla base della richiesta, contenuta nell'ordinanza del 18 luglio della Commissione inquirente, di restituzione "in originale" di alcuni atti del procedimento.

Considerato in diritto

1. - Conviene anzitutto prendere in esame le richieste avanzate dal rappresentante della Commissione inquirente nel corso della discussione in camera di consiglio, che hanno carattere pregiudiziale o comunque assorbente.

Viene per prima in considerazione, in ordine logico, la tesi stando alla quale, a seguito della disposta - e poi materialmente effettuata - restituzione degli atti dell'intero procedimento contro Scialotti ed altri all'Ufficio istruzione, come dalla nota a firma del Presidente della Commissione inquirente in data 28 giugno 1974, inviata al Presidente della Camera e per conoscenza all'Ufficio istruzione medesimo, dovrebbe dichiararsi cessata la ragione del contendere.

Ma all'accoglimento di siffatta tesi osta, se non altro, il testo della successiva ordinanza della stessa Commissione in data 18 luglio, contenente la richiesta "in originale" di determinati atti del procedimento, unitamente alla deliberazione "di trasmettere all'autorità giudiziaria ordinaria il fascicolo processuale relativo" al (restante) procedimento contro Scialotti ed altri, del quale era ritenuta - in premessa - "opportuna separazione". Per effetto di tale deliberazione, l'area del conflitto risulta, bensì, ridotta, nei confronti di quella emergente dalle precedenti determinazioni della Commissione, senza tuttavia che possano dirsene venuti meno i presupposti e l'oggetto: quest'ultimo circoscrivendosi, ora, alla legittima sussistenza o meno di un obbligo dell'Ufficio istruzione di rimettere alla Commissione, ed in originale, quei tali documenti, spogliandosi con ciò stesso, ed almeno temporaneamente, di ogni potere in merito ai fatti cui gli stessi hanno riferimento.

Né vale obiettare, come ha fatto nella discussione orale il rappresentante della Commissione inquirente, che l'ordinanza del 18 luglio sarebbe atto meramente "interno", non essendo stata comunicata all'autorità giudiziaria per il tramite del Presidente della Camera, così come sarebbe previsto in genere dall'art. 13 della legge n. 20, poiché non vi ha dubbio che essa sia stata portata ufficialmente a conoscenza dell'autorità giudiziaria, che ne era, anzi, la naturale destinataria, nulla rilevando ai fini che qui interessano eventuali irregolarità formali della procedura seguita per la comunicazione.

Che la situazione sulla quale la Corte é chiamata a pronunciarsi si atteggi, dunque, al momento attuale, nei termini testé descritti, é ulteriormente confermato dalla circostanza che anche la più volte ricordata ordinanza del 18 luglio della Commissione inquirente é inclusa nel fascicolo degli atti del conflitto trasmessi a questa Corte dal Consigliere istruttore dott. Gallucci con la nota del 22 luglio, nella quale viene espressamente precisato che entrambe le ordinanze della Commissione (e cioé, così quella del 21 maggio come l'altra del 18 luglio) sono allegate in copia "per l'integrazione degli elementi necessari alla formazione del giudizio" di spettanza della Corte. Tanto più che lo stesso Consigliere istruttore nella sua ordinanza del 3 luglio riteneva, "onde fornire alla Corte costituzionale una più completa motivazione", che la precedente ordinanza in data 28 giugno, con cui il Giudice istruttore aveva inizialmente sollevato il conflitto, potesse utilmente essere integrata dalle determinazioni che la Commissione inquirente, secondo quanto frattanto preannunciato in una lettera del suo Presidente, era sul punto di adottare, e adottò in effetti con l'ordinanza del 18 luglio.

La richiesta del rappresentante della Commissione inquirente che sia dichiarata la cessazione della ragione del contendere deve pertanto essere disattesa.

2. - In alternativa, il predetto rappresentante della Commissione inquirente ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 13 della legge n. 20, nella parte in cui limita il potere della Commissione di richiedere (o di provocare la richiesta) degli atti di un procedimento penale davanti all'autorità giudiziaria alla sola ipotesi che detto procedimento senza carico di alcune delle persone indicate negli artt. 90 e 96 della Costituzione", derivandone, secondo l'assunto, violazione del principio dello stesso art. 96 (per quanto rileva nel caso in oggetto), che riserva al Parlamento il promovimento dell'accusa nei confronti dei ministri per reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni; b) dell'art. 11 della legge medesima, nella parte in cui legittima l'autorità giudiziaria, e non anche la Commissione inquirente, a sollevare conflitto dinanzi alla Corte costituzionale per la delimitazione delle rispettive competenze, con violazione (come si afferma) degli artt. 3 e 24 Cost., stante la disparità di trattamento che ne risulterebbe tra i due poteri quanto ai mezzi esperibili a tutela delle proprie ragioni.

Quest'ultima eccezione é manifestamente irrilevante, non dovendosi nel presente giudizio fare applicazione dell'art. 11, che concerne l'ipotesi di due procedimenti simultaneamente pendenti, in sede parlamentare e davanti ad una autorità giudiziaria, per gli stessi fatti: laddove nella specie, non risulta, né viene comunque sostenuto dalla Commissione inquirente, che anteriormente all'ordinanza da essa adottata il 21 maggio, dalla quale trae origine il sollevato conflitto, fosse pendente davanti alla Commissione medesima, e sia pure nella fase delle indagini preliminari, alcun procedimento per gli stessi fatti che erano e sono oggetto del procedimento in corso di istruttoria contro Scialotti ed altri.

Rilevante sarebbe, invece, la questione concernente l'articolo 13, poiché su questo esplicitamente dichiarano di fondarsi l'ordinanza 21 maggio della Commissione inquirente e la conseguente richiesta di trasmissione degli atti inviata il giorno successivo dal Presidente della Camera all'Ufficio istruzione, nonché la più recente ordinanza della Commissione medesima del 18 luglio; e d'altro canto, proprio muovendo dall'assunto di una errata applicazione della disposizione stessa, il conflitto é stato sollevato dal Giudice istruttore. Al che nulla toglie qualche oscillazione, ravvisabile nelle determinazioni della Commissione susseguitesi lungo l'arco dell'intera vicenda, tra l'ipotesi dell'art 13 e quella di connessione di procedimenti, regolata dall'art. 16 della legge n. 20 (richiamato, ad esempio, sia pure collateralmente, nella ordinanza 21 maggio, insieme agli artt. 45, 49 e 50 cod. proc. pen.; mentre la stessa "separazione" del procedimento Scialotti, di cui all'ultima ordinanza del 18 luglio, sembra suggerita da quanto previsto nel secondo comma dell'art. 16 e nel testo di tale ordinanza si fa d'altronde riferimento, oltre che all'articolo 13 della legge, all'art. 49 del codice predetto, disciplinante tra l'altro la competenza della cessata Alta Corte di giustizia a conoscere di reati connessi.

Ma la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, anche se rilevante (non potendosi da tale disposizione comunque prescindere nel presente giudizio), ne presuppone una angusta e formalistica lettura, omettendo di inquadrarla - come si deve, secondo guanto si verrà mostrando in prosieguo - nel sistema complessivo tracciato dalla legge n. 20: da ricondursi armonicamente, a sua volta, ai principi di grado costituzionale che presiedono alla disciplina della materia in oggetto.

3. - Parimenti inadeguata, per identiche ragioni, é l'interpretazione da cui muove l'ordinanza del Giudice istruttore, a cominciare da quel che concerne, prima ancora che l'art. 13, le condizioni alle quali sarebbe subordinata la facoltà della Commissione di attivarsi in presenza di possibili reati ministeriali (o presidenziali) sostenendosi - in ordine a questo primo punto - che ad essa sarebbe preclusa qualsiasi iniziativa ove non sia stata sollecitata da una notitia criminis qualificata, a norma dell'art. 2 della legge e degli artt. 13 e 14 del regolamento parlamentare, ovvero non sia stata investita da un'autorità giudiziaria, a norma dell'art. 10 della legge.

Siffatta impostazione é contraddetta, peraltro, dal secondo comma dell'art. 3 della legge, alla stregua del quale la Commissione, oltre ad avere gli stessi poteri "compresi quelli coercitivi e cautelari attribuiti dal codice di procedura penale al pubblico ministero nell'istruzione sommaria", come afferma il primo comma, "esercita anche gli altri poteri attribuiti al pubblico ministero dallo stesso codice, salvo che sia diversamente disposto dalla presente legge". Non vi ha dubbio, invero, che tra i poteri del pubblico ministero, rientri, e sia anzi fondamentale, quello di promuovere l'azione penale, a norma del combinato disposto degli artt. 74 e 1 cod. proc. pen. (e cioé, come previsto da quest'ultimo, in seguito a rapporto, referto, denuncia "o ad altra notizia del reato") e di compiere gli atti di istruzione preliminare strumentalmente necessari (art. 2321; né si rinvengono, nel testo della legge n. 20, norme che possa ritenersi dispongano "diversamente", realizzando così l'eccezione ipotizzata dall'inciso finale del citato art. 3, secondo comma, della legge stessa.

Sembrano, a prima impressione, avere una portata più restrittiva gli artt. 13 e 14 del regolamento, nei quali (diversamente dal menzionato art. 1 cod. proc. pen.) non si accenna ad altra notizia del reato, all'infuori del rapporto, referto o denuncia, e sono regolate poi analiticamente le modalità con cui rapporto, referto o denuncia sono dal Presidente della Camera (che ne accerta, "se del caso", l'autenticità) trasmessi alla Commissione, estendendosi tali modalità anche all'ipotesi di cui all'art. 10 della legge.

Ma, anche a prescindere dal problema se limiti ai poteri del pubblico ministero spettanti alla Commissione inquirente possano validamente essere introdotti da fonte diversa da quella stessa legge, che testualmente li consente in quanto risultanti da disposizioni in essa ricomprese, una più attenta riflessione induce a concludere che il regolamento ha semplicemente inteso disciplinare i rapporti interni tra Presidente della Camera e Commissione inquirente, avendo presente l'id quod plerunque accidit e senza escludere ipotesi diverse: come, ad esempio, quella di denuncia pervenuta direttamente alla Commissione o come quella di notizie di fatti suscettibili di adombrare reati ministeriali, di pubblico dominio, perché apparse sulla stampa quotidiana e periodica, ed aventi - per di più - riferimento a procedimenti giudiziari in corso.

4. - In secondo luogo, ed in stretto collegamento con il primo rilievo che si é preso in esame al punto precedente, l'ordinanza del Giudice istruttore contesta che la Commissione inquirente possa disporre l'avocazione di un procedimento o chiederne in visione gli atti (fuori dei casi di connessione con altro, dinanzi ad essa pendente), se non si tratti di procedimento "a carico" di taluno dei soggetti di cui all'articolo 96 Cost., poiché soltanto a questa specifica ipotesi avrebbe riguardo l'art. 13 della legge. Viene perciò in considerazione, a questo punto, il problema del significato sistematicamente attribuibile al detto art. 13, coinvolgendo sia l'eccezione di incostituzionalità dello stesso (ove se ne dia l'interpretazione letterale e restrittiva accolta dal Giudice), proposta dal rappresentante della Commissione sia le questioni di legittimità costituzionale prospettate, in ordine alla medesima disposizione, nell'ordinanza del Giudice istruttore, subordinatamente - invece - all'opposta ipotesi, di una interpretazione estensiva, quale sarebbe implicita nelle determinazioni adottate e nei comportamenti posti in essere dalla Commissione inquirente.

Al riguardo deve muoversi dalla sicura premessa che, a norma degli artt. 90, 96, 134 e 135 Cost., esclusivamente competente a promuovere l'azione penale contro i ministri per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni (così come contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento e attentato alla Costituzione) é il Parlamento in seduta comune al quale é altresì riservato di compiere le indagini istruttorie a tal fine necessarie (come risulta anche testualmente dall'articolo 12 della legge cost. n. 1 del 1953, laddove prevede che l'accusa sia deliberata a Camere riunite "su relazione di una Commissione costituita di dieci deputati e di dieci senatori eletti da ciascuna Camera ogni volta che si rinnova, con deliberazione adottata... in conformità del proprio regolamento"); mentre, a sua volta, esclusivamente competente a giudicare delle accuse così promosse é la Corte costituzionale, nella speciale composizione "integrata" di cui all'ultimo comma dell'art. 135. É dunque la stessa Costituzione che deroga, così, ai principi richiamati dal Giudice istruttore, contenuti nel Titolo IV della sua Parte seconda, relativi alla indipendenza dei giudici, ed in particolare alla autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario da ogni altro potere, nonché della obbligatorietà dell'azione penale, esercitata dal pubblico ministero (che non significa, tuttavia, come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, ed é riconosciuto nella ordinanza del Giudice istruttore, esclusiva spettanza della stessa a quest'organo), e ciò allo scopo di garantire d'altro lato la indipendenza del potere politico contro ogni indebita ingerenza suscettibile di alterare la reciproca parità e la necessaria distinzione tra i poteri dello Stato.

Discende, in primo luogo, dalla premessa che procedimenti "a carico" delle persone indicate negli artt. 90 e 96 Cost., neppure nel più ampio senso che a questa formula deve darsi per effetto delle modifiche al codice, successive alla legge n.20, di cui alle leggi 5 dicembre 1969, n. 932, e 15 dicembre 1972, n. 773, non possono essercene, salvo che nella circoscritta ipotesi di reati non ministeriali (o non ritenuti tali dall'aurorità giudiziaria) soggettivamente riferibili a taluna di quelle persone, prevista nell'art. 12 della legge nonché, nella sua dizione letterale, dallo stesso art. 13. Del che si ha conferma a livello di normazione ordinaria nell'art. 2 della legge de qua. prescrivente che l'autorità (qualunque essa sia, compresa una autorità giudiziaria, a norma dell'art. 7 cod. proc. pen.), alla quale sia stato presentato rapporto, referto o denuncia relativamente ad un fatto di cui all'art. 96 e all'art. 90 Cost., "deve curarne l'immediata trasmissione al Presidente" della Camera, che dovrà a sua volta investirne la Commissione inquirente (art. 14, reg. parl.).

Dal coordinamento degli artt. 12 e 13 della legge si trae ulteriormente con sicurezza che, se la Commissione , andando in diverso avviso, "ritiene che il fatto integra alcuna delle ipotesi previste dagli stessi articoli" (90 e 96 Cost.), ne informa il Presidente della Camera dei deputati, il quale richiede all'autorità giudiziaria la trasmissione degli atti; quest'ultima potendo esimersi dall'ottemperare, soltanto sollevando conflitto dinanzi a questa Corte per rivendicare la propria competenza. Ma, affinché la Commissione inquirente sia in grado di ritenere che il reato abbia natura ministeriale (o rientri nell'art. 90), deve poter prendere conoscenza degli atti del procedimento, anche chiedendone copia, in tutto od in parte, secondo le circostanze. La possibilità, quindi, di una simile richiesta della Commissione é da ritenersi implicitamente presupposta dall'art. 13, anche ad assumerne il significato più restrittivo.

5. - Dalla premessa di ordine costituzionale sopra affermata discende altresì un secondo corollario, e precisamente che poteri analoghi a quelli testé descritti non possono non spettare alla Commissione inquirente, sempre con l'onere dell'autorità giudiziaria, che non intenda aderire, di sollevare conflitto, anche in ogni altra ipotesi di fatti suscettibili di integrare gli estremi di reati ministeriali, dei quali la Commissione abbia notizia e che siano comunque emersi nel corso di procedimenti giudiziari, pur se originariamente non "a carico" di ministri. Se così non fosse, coloro che tale ufficio ricoprono od hanno ricoperto potrebbero eventualmente essere sottratti ad ogni responsabilità, non essendo lecito - da un lato - ad alcuna autorità giudiziaria (ordinaria o militare) di compiere nei loro confronti, per fatti inerenti alle loro funzioni, atti istruttori né tanto meno di promuovere azione penale e di giudicarli per accertarne le responsabilità; ed essendo - d'altro lato - inibita al Parlamento, e per esso anche alla Commissione inquirente, qualsiasi iniziativa a ciò rivolta: che non é, certamente, il risultato che la riserva costituzionale agli organi parlamentari (quanto all'accusa) ed alla Corte costituzionale (quanto al giudizio su di essa) é diretta a conseguire.

Passando ora alla legge n. 20, alla luce dei predetti criteri, é da rilevarsi anzitutto che soltanto negli artt. 12 e 13 detta legge ha testuale riferimento all'elemento soggettivo (necessario, ma non sufficiente, ad integrare le ipotesi degli artt. 90 e 96 Cost.); in tutte le altre sue disposizioni che interessano il punto in esame, si parla invece di "fatto" (o di "fatti", al plurale), oggetto di rapporto, referto o denuncia (art. 2), o di un procedimento penale pendente, in qualsiasi fase, davanti ad un'autorità giudiziaria (art. 10), ovvero di un simultaneo processo in sede giudiziaria e parlamentare (art. 11); o in relazione al quale sia intervenuta dichiarazione di incompetenza del Parlamento o della Commissione, perché "diverso" da quelli di cui agli artt. 90 e 96. Ed é ancora agli "stessi fatti" che ha riguardo l'art. 15 nello stabilire che la definizione del procedimento di accusa per una causa che non sia l'incompetenza ha efficacia preclusiva dell'azione penale.

É da rilevare, in secondo luogo, che il potere di sollevare conflitto a tutela della propria competenza é dato soltanto all'autorità giudiziaria; ma la situazione, che sarebbe così sbilanciata a svantaggio degli organi parlamentari ed in contrasto con la sopra ricordata normativa costituzionale, può essere riequilibrata considerando che a questi ultimi é riconosciuto, invece, il potere di richiedere gli atti del procedimento, ponendo l'autorità giudiziaria, destinataria della richiesta, nell'alternativa di soddisfarla oppure di sollevare il conflitto.

Ma é chiaro che a tali conclusioni può giungersi soltanto se si ammette che il congegno previsto dall'art. 13 sia del pari applicabile nelle ipotesi degli artt. 10 e 11, quando la Commissione inquirente abbia motivo di ritenere che l'autorità giudiziaria possa avere omesso di provvedere d'ufficio in conformità a quanto ivi prescritto: fermo restando, ovviamente, il controllo di questa Corte, qualora sia adita dietro ricorso dell'autorità giudiziaria medesima.

Così rettamente interpretato, l'art. 13 si sottrae alle censure di incostituzionalità proposte dal rappresentante della Commissione, che devono perciò ritenersi manifestamente infondate.

6. - Accertato, dunque, che la Commissione inquirente può attivarsi per svolgere indagini sulla base di notizie di possibili reati di sua competenza, ancorché non tipiche o qualificate, e che può altresì, a tal fine, richiedere all'autorità giudiziaria ordinaria o militare, in visione, gli atti o parte degli atti di procedimenti in corso anche fuori della specifica e circoscritta ipotesi ivi letteralmente denunciata, di guisa che, sotto questi aspetti, le doglianze del Giudice istruttore sono da respingere, bisogna peraltro soggiungere che alla Commissione non spetta l'ulteriore potere di avocare procedimenti, precludendo all'autorità giudiziaria dinanzi alla quale essi pendono di proseguire nell'assolvimento dei suoi doveri istituzionali, senza prima avere affermato in concreto la propria competenza, dichiarando, formalmente, aperta l'inchiesta, a norma dell'art. 19 del regolamento parlamentare, o comunque personalizzando le indagini preliminari di cui al precedente art. 17, nei confronti di taluno dei soggetti indicati negli artt. 90 e 96 della Costituzione.

Se, infatti, dai principi costituzionali sopra richiamati al punto 4 si ricava l'esigenza di garantire che la Commissione inquirente ed il Parlamento siano messi in grado di esplicare i poteri istruttori ed accusatori ad essi riservati senza essere condizionati da discrezionali valutazioni dell'autorità giudiziaria, dagli altri principi costituzionali, cui pure si é in quel luogo fatto cenno, che disciplinano la funzione giurisdizionale e le competenze degli organi che concorrono ad esercitarla, si trae parimenti, per altro verso, che il normale corso della giustizia penale non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari, potendo e dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui l'esercizio di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente ad essa sottratti e in ordine ai quali sia stata ritenuta la competenza degli organi parlamentari.

Né sarebbe sufficiente, al riguardo, richiamare l'art. 14 della legge, che prevede l'eventuale declaratoria di incompetenza di questi ultimi, con la conseguente restituzione degli atti all'autorità giudiziaria (ipotesi, questa, che non contraddice a quanto sin qui osservato, ben potendo accadere che, in esito agli accertamenti istruttori compiuti, la competenza inizialmente affermata si riveli poi insussistente), poiché non é da escludere, stante l'assenza di qualsiasi prescrizione in proposito, che, per un qualunque motivo, le indagini abbiano a protrarsi per un tempo così lungo da determinare conseguenze non riparabili.

Così ulteriormente precisato il significato da darsi alla disposizione dell'art. 13, anche le censure prospettate nell'ordinanza 28 giugno del Giudice istruttore, subordinatamente all'accoglimento di una più lata interpretazione, che con quanto precede si é qui disattesa, risultano assorbite e manifestamente infondate.

7. - Consegue dalle considerazioni precedenti che le doglianze del Giudice istruttore vanno accolte, invece, nella parte in cui si riferiscono alla richiesta, contenuta nell'ordinanza del 18 luglio della Commissione inquirente, degli atti elencati in allegato alla stessa, in originale, disponendo la separazione dei medesimi dal procedimento contro Scialotti ed altri.

Con tale ordinanza, infatti, la Commissione, dopo aver avuto visione degli atti dell'intero procedimento, non ha adottato una nuova e specifica declaratoria di competenza "in concreto", sia pure limitatamente ad una parte soltanto del detto procedimento, ma ha semplicemente richiamato e confermato, entro un ambito più circoscritto, la dichiarazione di competenza già risultante dalla precedente ordinanza del 21 maggio: che era, peraltro, genericamente ipotetica, e poteva quindi giustificare la presa in visione degli atti, ma non anche la loro acquisizione formale (o l'acquisizione formale di alcuni tra essi), e cioé l'avocazione (totale o parziale) dell'istruttoria sui fatti da essi emergenti. Che questo sia il significato dell'ordinanza del 18 luglio si evince così dall'uso del verbo al passato ("in ordine ai quali ha dichiarato la propria competenza"), come dal puntuale richiamo all'ordinanza del 21 maggio, contestualmente trasmessa all'Ufficio istruzione del tribunale di Roma.

Le due successive delibere si integrano, cioé, a vicenda e devono qui essere valutate nella loro correlazione, d'altronde espressamente affermata. La competenza di cui é parola - al passato - nell'ordinanza del 18 luglio é dunque di compiere "tutti gli accertamenti utili a verificare la reale sussistenza dell'ipotesi" che "siano adombrate responsabilità a carico di persone indicate nell'art. 96 della Costituzione" (come si legge nell'ordinanza del 21 maggio), e solo se e quando siffatta verificazione sarà stata compiuta e avrà dato esito positivo, potrà porsi un problema di avocazione degli atti, ed eventualmente - poi - di connessione tra il procedimento così aperto davanti alla Commissione e quello frattanto proseguito in sede giudiziaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara, nei sensi di cui in motivazione e allo stato attuale del procedimento contro Scialotti ed altri:

a) che spetta alla Commissione parlamentare inquirente compiere indagini dirette ad accertare se ricorrano ipotesi di responsabilità per fatti previsti nell'art. 96 della Costituzione;

b) che alla Commissione predetta, ai fini di tali indagini, spetta il potere di prendere visione degli atti del procedimento, anche ottenendone copia e senza che ciò comporti sospensione dell'istruttoria in corso davanti all'autorità giudiziaria sugli stessi fatti, nell'ambito della sua competenza;

annulla, in conseguenza, l'ordinanza 18 luglio 1974 della Commissione medesima, limitatamente alla parte in cui richiede l'acquisizione in originale di atti del procedimento sopra menzionato.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 gennaio 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE Trimarchi - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO

 

Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1975.