Sentenza n. 203 del 1974
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SENTENZA N. 203

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione autonoma della Sardegna, notificato il 13 luglio 1973, depositato in cancelleria il 26 successivo ed iscritto al n. 9 del registro conflitti 1973, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del provvedimento 19 maggio 1973 del Comandante del compartimento marittimo della Sardegna col quale la società Eurallumina era stata autorizzata alla discarica dei propri residui di lavorazione in mare aperto.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 marzo 1974 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'Avv. Salvatore Satta, per la Regione autonoma della Sardegna, ed il sostituto Avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso del 13 luglio 1973 la Regione autonoma della Sardegna, premesso che con provvedimento del Comandante del compartimento marittimo della Sardegna del 19 maggio 1973 la S.p.a. Eurallumina di Portovesme era stata autorizzata alla discarica dei propri residui di lavorazione in mare aperto, chiedeva a questa Corte di voler dichiarare la competenza di essa Regione in materia di "scarichi industriali nelle acque marine" e quindi annullare quel provvedimento; ed in subordine, dichiarare non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, in relazione all'art. 1, della legge 14 luglio 1965, n. 963 (disciplina della pesca marittima), e dell'art. 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627 (norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di pesca e saline sul demanio marittimo e nel mare territoriale) per contrasto con l'art. 3, lett. i, dello Statuto speciale per la Sardegna.

Il ricorso, per il regolamento del conflitto di attribuzione determinato dal detto provvedimento, veniva notificato al Presidente del Consiglio dei ministri, al Comandante del compartimento marittimo della Sardegna e alla società Eurallumina.

In punto di fatto, la Regione ricorrente ricordava che, venuta a sapere della domanda di autorizzazione ad effettuare in mare lo scarico di residui industriali avanzata dalla detta società, aveva invitato il Comandante del compartimento a non provvedere perché assolutamente incompetente in base al disposto dell'art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965 con cui erano state trasferite all'amministrazione regionale le funzioni amministrative dell'autorità marittima statale, concernenti oltre alla disciplina della pesca, "i permessi per il versamento nelle acque di rifiuti industriali"; e che tuttavia il Comandante del compartimento aveva concesso l'autorizzazione "in applicazione ordini Ministro Marina Mercantile di concerto Presidenza Consiglio Ministri" ed ai sensi della legge n. 963 del 1965 e del regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639, e di ciò, con messaggio di servizio urgente del 19 maggio 1973, pervenuto il 21 successivo, aveva dato comunicazione alla Presidenza della Giunta regionale sarda.

In funzione del proposto regolamento, deduceva che per il combinato disposto degli artt. 14 della legge n. 963 del 1965, 145 del d.P.R. n. 1639 del 1968 e 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965, "la competenza a svolgere l'istruttoria, a disporre gli accorgimenti tecnici necessari per evitare l'inquinamento, a concedere e revocare le autorizzazioni agli scarichi di rifiuti industriali spetta in via esclusiva alla Regione sarda", e che quindi il provvedimento del Comandante del compartimento appariva lesivo della competenza della Regione ed in contrasto con gli artt. 3, lett. i, e 4, lett. a, nonché 56 dello Statuto speciale.

Osservava ancora la ricorrente che, in contrario, non si poteva sostenere che solo rispetto al mare territoriale si sarebbe effettuato il trasferimento delle funzioni amministrative concernenti l'autorizzazione agli scarichi.

A) Anzitutto, nel caso dello scarico dei rifiuti industriali il limite delle acque territoriali non ha alcun valore giuridico: "la distanza dalla costa a cui ci si deve portare per compiere gli scarichi non deriva infatti da considerazioni giuridiche, in cui la territorialità acquisti un qualsivoglia rilievo, ma esclusivamente tecniche, nel senso che un determinato specchio di mare, con i suoi abissi e con il moto di correnti che presenta, appare più idoneo di altri al versamento dei rifiuti".

La legge fornirebbe, al riguardo, due decisive prove:

a) non dice una parola dell'ambito territoriale entro il quale gli scarichi si possono compiere, ed anzi, ai fini della relativa disciplina, applicabile anche ai cittadini operanti nel mare libero, non dà alcun rilievo al carattere territoriale delle acque sibbene ai limiti ed alle modalità degli scarichi ed ai fini della salvaguardia del patrimonio idrobiologico;

b) la legge ed il regolamento, poi, spesso si riferiscono alla distanza dalla costa (a cui anche il limite della territorialità delle acque si riferisce) al fine di trarne determinate conseguenze (es.: classificare il tipo di pesca che si intenda praticare, stabilire le attrezzature occorrenti, disporre l'iscrizione in particolari registri). Ma anche qui la distanza dalla costa ha un significato eminentemente tecnico. "É dunque chiaramente assurdo e contraddittorio ritenere che il limite delle acque territoriali segni il limite entro cui l'autorizzazione agli scarichi industriali può essere concessa dalla Regione o dallo Stato"; "l'unico elemento rilevante per la legge ed il regolamento é, infatti, la maggiore idoneità tecnica del tipo di scarico e del luogo prescelto per effettuarlo, onde evitare gli inquinamenti".

Ed infine, sul punto, la Regione, deduceva che contro queste considerazioni non si sarebbero potute invocare le numerose pronunce della Corte in cui il mare territoriale ha costituito il criterio per determinare in un modo o nell'altro, la competenza regionale, perché in quelle sentenze il detto criterio é stato riferito ad un concetto di sfruttamento di un bene, e qui invece si tratta di tutela per la Regione delle proprie acque e del proprio patrimonio.

B) La limitazione della competenza della Regione ad autorizzare scarichi nelle sole acque territoriali, appare inammissibile sotto un secondo profilo: perché i poteri di autorizzazione agli scarichi nel d.P.R. n. 1627 appaiono indissolubilmente connessi alla funzione di salvaguardia del patrimonio ittico, disciplinata dalla legge e dal regolamento e trasferita alla Regione con le norme d'attuazione. Per effetto di qualche gioco di correnti ciò che sia stato scaricato anche a grandissima distanza dalla costa può venirvi ricondotto, e quindi pregiudicare il patrimonio ittico nelle acque territoriali e dunque nell'ambito della stretta competenza della Regione. Con la conseguenza che "negare la competenza regionale in materia di scarichi solo perché si tratti di scarichi oltre le sei miglia dalla costa equivale a negare la competenza attribuitale in tema di pesca e di tutela del patrimonio ittico, proprio perché diviene possibile compromettere questo patrimonio operando a qualche distanza - ed al limite a pochi metri di distanza - dalle acque territoriali".

La Regione ricorrente, infine, per l'ipotesi subordinata che la legge ed il regolamento per la pesca marittima dovessero essere interpretati diversamente, rappresentava la necessità che fosse sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge n. 963 del 1965, in relazione all'art. 1, e dell'art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965 per contrasto con l'art. 3, lett. i, dello Statuto speciale, in quanto le dette norme limiterebbero la competenza esclusiva della Regione in materia di pesca.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto del 27 luglio 1973, chiedeva che la Corte, previe le più opportune declaratorie, in particolare per quel che concerne la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge n. 963 del 1965 e dell'art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965, volesse respingere il ricorso, dichiarando spettare alle autorità statali le funzioni concernenti il rilascio di autorizzazione all'immissione di rifiuti di lavorazione industriale o provenienti da servizi pubblici nelle acque marittime al di fuori del limite territoriale della Sardegna.

La doglianza della Regione é - secondo l'Avvocatura - manifestamente infondata. Anzitutto, perché, sia l'intitolazione del d.P.R. n. 1627 del 1965 che la letterale dizione dell'art. 1, limitano espressamente il trasferimento alla Regione delle funzioni statali in materia di pesca e saline (e conseguentemente in materia di autorizzazione di scarichi di rifiuti in mare) con riferimento al demanio marittimo e al mare territoriale, ed escludono dal trasferimento quelle relative al mare libero.

Ed inoltre perché l'attribuzione alla Regione della potestà legislativa in materia di caccia e pesca (art. 3, lett. i, dello Statuto) non può non trovare il limite nel territorio della Regione, con la inclusione, al più, del mare territoriale.

D'altra parte, sembra al resistente che, per avere, in subordine ed in via incidentale, dedotto l'anzidetta questione di legittimità costituzionale, la stessa Regione dubiti del fondamento della doglianza principale.

A proposito della questione subordinata, poi, il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendone la manifesta infondatezza, eccepiva che l'attribuzione alla Regione di competenza in materia di pesca non può comportare il venir meno dei poteri dello Stato per quanto concerne la tutela delle risorse biologiche oltre il limite delle acque territoriali e cioè oltre il limite del potere regionale, e che fosse del tutto irrilevante l'argomento secondo cui i provvedimenti dell'autorità statale relativi alle zone di mare libero potrebbero aver ripercussioni anche sulla pesca nelle acque territoriali, circostanti l'isola.

In conclusione, la Regione potrebbe avere un interesse al buon uso da parte delle autorità statali dei poteri ad esse spettanti, ma non potrebbe pretendere di esercitarli; d'altronde, ove si portasse la contraria tesi alle sue naturali conseguenze, si dovrebbe giungere a ritenere attribuite alla Regione sarda anche le funzioni delle altre Regioni (ad es. Liguria o Toscana) il cui esercizio può avere conseguenze sulla pesca dell'isola.

3. - Con la memoria la Regione, dopo aver effettuato una ricognizione delle fonti normative, rilevava che l'interpretazione dell'art. 1 del d.P.R. n. 1627 fornita dall'Avvocatura dello Stato, poggia sul presupposto che il mare territoriale rappresenti il massimo limite spaziale della Regione e per ciò stesso della sua competenza, ed opponeva la non fondatezza di codesto assunto.

A suo avviso, oggetto immediato di tutela delle ricordate norme sarebbe il mare territoriale e quindi questo, in quanto segna il limite estremo della sovranità statale, costituisce ad un tempo un limite tanto alle funzioni statali che a quelle regionali: la funzione di tutela delle acque territoriali svolta dallo Stato con effetti incidenti oltre l'ambito segnato dalle acque medesime per ragioni logiche e giuridiche non può essere preclusa alla Regione, e quindi ad essa spetta di compiere atti della stessa natura al di fuori del limite spaziale del mare territoriale. E se un impedimento esiste, esiste necessariamente sia per lo Stato che per la Regione, essendo il limite spaziale causa (comune) dell'impedimento.

La locuzione "mare territoriale" di cui all'art. 1 del d.P.R. n. 1627, non ha una portata riduttiva dell'espressione "acque marittime" di cui all'art. 14, lett. d, della legge n. 963 ed all'art. 145 del d.P.R. n. 1639, ma ha voluto semplicemente, "confermare l'unità della Repubblica ripartita in Regioni, salvando le autonomie regionali con il richiamo al limite territoriale".

Di fronte agli scopi avuti di mira dalle leggi sulla pesca, il richiamo alla nozione di mare territoriale serve "a precisare l'elemento costitutivo territoriale dell'ente attributario delle funzioni trasferite" e "ad individuare, attraverso la relazione col territorio, i soggetti abilitati a chiedere l'autorizzazione alla immissione dei residui".

Ed in contrario non si possono invocare (come fa l'Avvocatura) le interferenze fra Regioni le cui acque territoriali si fronteggino, perché questo possibile conflitto é risolto dall'art. 1 del d.P.R. n. 1627, con l'attribuzione della competenza per i vari provvedimenti alla Regione da cui potrebbe partire l'effetto inquinante.

In sostanza, il potere di autorizzare gli scarichi industriali nelle acque marine é attribuito alla Regione per consentirle di perseguire lo scopo particolare, ed anche generale, di tutelare le risorse biologiche del mare e di proteggere così la fauna ittica e la pesca; e non solo nei limiti del mare territoriale, dato che l'utile conseguimento di quello scopo può aversi in modo essenziale evitando immissioni moleste anche fuori dalle acque territoriali.

Con la memoria, la Regione, d'altra parte, insisteva nella tesi che, se fosse interpretato diversamente, l'art. 14 della legge n. 963, così come tradotto nell'art. 145 del d.P.R. n. 1639, in relazione all'art. 1 del d.P.R. n. 1627, sarebbe in contrasto con l'art. 3, lett. i, dello Statuto in riferimento anche ai successivi artt. 6, 56 e 57.

Se, infatti, le norme d'attuazione avessero limitato il potere della Regione di autorizzare lo scarico in mare di residui industriali, e quindi fossero compressi i poteri ampiamente attribuiti dall'art. 14 della legge n. 963, sarebbe violato anche l'art. 56 dello Statuto per ciò che si avrebbe una incisione ablativa nelle attribuzioni amministrative regionali determinate dagli artt. 6 e 57: il d.P.R. n. 1627 avrebbe, quindi, sottratto, con lo strumento del decreto legislativo, una parte delle funzioni ad essa Regione spettanti per disposizione costituzionale.

4. - All'udienza del 20 marzo 1974 l'Avv. prof. Salvatore Satta, per la Regione autonoma della Sardegna, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri, hanno svolto le ragioni a sostegno delle rispettive richieste.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, la Regione autonoma della Sardegna, in relazione al provvedimento del 19 maggio 1973 del Capo del compartimento marittimo della Sardegna con cui la S.p.a. Eurallumina di Portovesme é stata autorizzata alla discarica dei propri residui di lavorazione in una zona del mare libero a sud-ovest dell'isola, chiede a questa Corte di voler dichiarare la competenza di essa Regione "in materia di scarichi industriali nelle acque marine", e quindi annullare il detto provvedimento; ed in subordine, dichiarare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge 14 luglio 1965, n. 963, in riferimento all'art. 1, e dell'art. 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627, per contrasto con l'art. 3, lett. i, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

2. - Si controverte tra le parti circa la spettanza e l'ampiezza (della potestà legislativa e) delle attribuzioni amministrative in materia di immissione o versamento di rifiuti industriali nelle acque del mare. Dalla Regione, a fondamento del proposto ricorso per conflitto di attribuzione, si assume che "a sensi del combinato disposto degli artt. 14 della legge 14 luglio 1965, 145 del d.P.R. 2 ottobre 1968 e 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627 - la competenza a svolgere la istruttoria, a disporre gli accorgimenti tecnici necessari per evitare l'inquinamento, a concedere e revocare le autorizzazioni agli scarichi di rifiuti industriali spetta in via esclusiva alla Regione sarda", e che tale competenza trovi riscontro negli articoli 3, lett. i, e 4, lett. a, 6, 56 e 57 dello Statuto speciale. Dallo Stato, invece, si assume che spettino "alle autorità statali le funzioni concernenti il rilascio di autorizzazione all'immissione di rifiuti di lavorazione industriale o provenienti da servizi pubblici nelle acque marittime al di fuori del limite del mare territoriale della Sardegna".

Essendo pacifico tra le parti che rientrano nella sfera di competenza costituzionale della Regione i poteri relativi ai permessi per il versamento dei rifiuti industriali nelle acque del mare territoriale, l'oggetto della controversia risulta delimitato: ciascuna delle parti pretende di essere competente in ordine a quei permessi qualora il versamento debba aver luogo nelle acque del mare libero.

A giudizio della Corte, e per i motivi che seguono, i poteri in contestazione sono di spettanza dello Stato.

3. - Ai sensi dell'art. 3, lett. i, dello Statuto speciale la Regione ha potestà legislativa in materia di "pesca"; e per il successivo art. 6, esercita le funzioni amministrative nella stessa materia.

"Pesca" come materia di competenza regionale, é l'attività diretta, indipendentemente dai mezzi adoperati e dal fine perseguito, a catturare esemplari di specie il cui ambiente abituale o naturale di vita siano date acque.

Codesta attività, in sé e finalisticamente considerata, evidenzia determinati interessi tipici, privati e pubblici; e le norme che la disciplinano, proprio di codesti interessi integrano la tutela.

Accanto ad essi sono altri interessi, il cui perseguimento é certamente giovevole alla pesca, ma che ha una ben più ampia o generale portata: così, la conservazione ed il miglioramento del patrimonio ittico, delle risorse biologiche del mare e dell'ambiente marino in genere sono, ormai ed in misura sempre crescente, contenuto di esigenze da tutti avvertite e considerate meritevoli di tutela nell'ordinamento interno e sul piano internazionale.

Per la protezione di tali cose (insuscettibili per altro di far parte in via esclusiva di date zone giuridicamente rilevanti del mare, e per esempio di quello territoriale), soccorrono vari strumenti, e tra questi rientra la disciplina delle immissioni nelle acque del mare di rifiuti industriali, siano essi inquinanti o meno. L'interesse che sottende a tali attività, anche se connesso indirettamente a quelli caratterizzanti la pesca, ne é ovviamente diverso, e ciò basta, riguardando il fenomeno sotto l'angolo visuale che qui interessa, ad escludere che la "pesca", assunta nello Statuto speciale de quo come materia di potestà legislativa o di funzioni amministrative, possa a rigore comprendere, in modo immediato o meno, anche le dette immissioni.

Tale avviso trova riscontro in una precedente pronuncia di questa Corte (sentenza n. 23 del 1957). In quell'occasione, adita in sede di impugnativa in via diretta da parte dello Stato di un testo legislativo approvato il 7 marzo 1956 dal Consiglio regionale della Sardegna e contenente disposizioni relative all'esercizio di funzioni amministrative in materia di pesca, la Corte ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma di cui all'art. 2 n. 5 del detto testo, in forza della quale all'amministrazione regionale sarebbe spettato di "concedere - sentita per le zone di mare la capitaneria di porto - le autorizzazioni e le limitazioni di cui al disposto dell'art. 9 del t.u. 8 ottobre 1931, n. 1604" e cioè quelle relative al versamento di rifiuti di stabilimenti industriali nelle acque pubbliche e nelle zone di mare, e motivò nel senso che "trattasi di materia d'industria piuttosto che di pesca", aggiungendo che detta materia, anche in sede di decentramento delle proprie funzioni, lo Stato aveva riservato ai propri organi.

Ora, tale pronuncia sul punto merita d'essere confermata, per l'estraneità, nel senso indicato, dell'interesse in oggetto a quelli tipici della "pesca" come materia.

4. - Intervenute le norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in materia di pesca (cit. d.P.R. n. 1627 del 1965) che prevedono il trasferimento all'amministrazione regionale delle funzioni amministrative dell'autorità marittima statale concernenti tra l'altro, "i permessi per il versamento nelle acque dei rifiuti industriali" relativamente al mare territoriale (art. 1), e soprattutto tenendo conto di dette norme, sono in questa sede prospettate dalle parti le richiamate (e contrastanti) tesi interpretative.

Il punto di vista della Regione ricorrente non può essere condiviso.

In primo luogo rilevano il contenuto ed il limite della "pesca" come materia ex art. 3, lett. i, dello Statuto, come sopra precisati.

In secondo luogo soccorre il dato letterale offerto dal fatto che tanto nella intitolazione del decreto presidenziale quanto nel testo del citato art. 1 si fa riferimento al mare territoriale. E non vale in contrario sostenere che tale riferimento serva per "precisare l'elemento costitutivo territoriale dell'ente attributario delle funzioni trasferite" e per "individuare attraverso la relazione col territorio i soggetti abilitati a chiedere l'autorizzazione all'immissione dei residui": in verità, anche ad ammettere che quel riferimento giovi a codesti fini, é innegabile che tali relazioni non sono le sole possibili.

Va poi considerato che praticamente con l'uso di quella espressione non si é operata una limitazione o riduzione della competenza statuaria; e si é, invece, operato un ampliamento di essa in quanto alla tutela degli interessi propri della pesca si é aggiunta quella dell'interesse perseguibile attraverso la disciplina delle ripetute immissioni nel mare territoriale di rifiuti industriali.

Gli argomenti addotti dalla Regione a sostegno della tesi della limitazione o riduzione e della irrazionalità e ingiustificatezza della stessa, non sono probanti e comunque non sono al fine decisivi.

Anche se si seguisse la tesi della Regione che la distanza dalla costa, e specificamente il limite di ampiezza del mare territoriale, di per sé possa non avere valore giuridico per la ripartizione delle competenze in materia tra Regione e Stato, e che, ai fini della salvaguardia del patrimonio idrobiologico, soltanto rilevino i limiti e le modalità degli scarichi, si deve ricordare che in generale al criterio spaziale si fa ricorso per comporre casi di concorso o di conflitto di diritti o di interessi, e constatare che mano a mano che ci si allontani dalla costa di una Regione (e nella specie, della Sardegna) il concreto interesse locale gradatamente si affievolisce sino a venir meno.

Poi, va tenuto in preminente conto che per la disciplina delle attività nel mare libero sono gli Stati chiamati a provvedere anche in ossequio a pattuizioni internazionali e possibilmente in stretta collaborazione; e della violazione di norme o di regole o della lesione di interessi, da chiunque poste in essere in atto o tendenzialmente sono gli Stati a rispondere, di modo che, nella materia de qua e per la specie, appare più che giustificato che sia lo Stato (italiano) a disciplinare, autorizzare, sorvegliare l'attività di pesca di tutti i cittadini nel mare libero e che sia lo Stato ad attendere alla disciplina, in astratto ed in concreto, delle immissioni di rifiuti industriali nel mare libero, considerate (ed in quanto siano considerate) connesse all'attività di pesca in quello stesso mare ed anche per le conseguenze dannose che quelle immissioni possano causare nel mare territoriale.

Ed infine, e soprattutto, rileva l'interesse nazionale, che in quanto tale richiede e comporta una competenza statale e che impone unitarietà nella disciplina (e nelle modalità, nonché nei criteri di applicazione delle norme) delle immissioni di rifiuti industriali nel mare libero; interesse nazionale che qui opera anche come ratio della limitata aggregazione a quello tipico della pesca di un settore ad esso estraneo. Ed inoltre, a parte la dimensione ultranazionale del problema, c'é una esigenza di parità di trattamento sopra codesto punto, tra tutti i cittadini, e tra la Regione autonoma della Sardegna e le altre Regioni, a statuto speciale o ordinario, aventi o meno competenza legislativa e attribuzioni amministrative in materia di pesca nel mare territoriale.

5. - In dipendenza di quanto sopra non sussistono gli estremi, in termini di rilevanza e di non manifesta infondatezza, perché questa Corte possa e debba sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 della legge n. 963 del 1965 e 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965 in accoglimento dell'eccezione proposta, in subordine, dalla Regione.

Sul punto in controversia, la competenza della Regione della Sardegna é quella che testualmente risulta dall'art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965, più volte citato. La norma non pare in contrasto con l'art. 3, lett. i), dello Statuto; e non lo é neppure con il successivo art. 4, lett. a: nonostante l'affermazione fatta da questa Corte nella ripetuta sentenza n. 23 del 1957 (affermazione incidentale, dato che in quella occasione si discuteva della conformità o meno della norma regionale impugnata all'art. 3, lett. i) rimane decisivo il fatto sopravvenuto della aggregazione della funzione de qua alla "pesca". E le altre pretese violazioni degli artt. 6, 56 e 57 dello stesso Statuto, di conseguenza, non sono neppure configurabili.

I poteri di cui si tratta sono, quindi, - si ripete - di spettanza dello Stato. E questo, a mezzo delle autorità a ciò preposte, non mancherà di farne buon uso in coerenza con l'interesse che al riguardo la Regione non può non avere. Il coordinamento tra Stato e Regione nell'esercizio delle funzioni in materia di pesca potrebbe dirsi essere una costante dei rispettivi comportamenti siccome, d'altronde, é evidenziato dal secondo e terzo comma dello stesso art. 1 del d.P.R. n. 1627 del 1965.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che spetta allo Stato il potere di autorizzare l'immissione nelle acque marittime (al di là del mare territoriale) di rifiuti di lavorazione industriale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 4 luglio 1974.