SENTENZA N. 42
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 236, quarto comma, del codice di procedura penale, nonché degli artt. 272, terzo comma, e 275, primo comma, dello stesso codice, nel testo risultante dagli artt. 1 e 2 del decreto - legge 1 maggio 1970, n. 192, convertito, con modificazioni, nella legge 1 luglio 1970, n. 406, promossi con le seguenti ordinanze.
1) ordinanza emessa il 7 febbraio 1972 dal tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Di Napoli Ciro, iscritta al n. 150 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 31 maggio 1972;
2) ordinanza emessa il 29 gennaio 1972 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Locatelli Armando, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972;
3) ordinanza emessa il 18 dicembre 1972 dal pretore di Catania nel procedimento penale a carico di Vasta Francesco, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 7 marzo 1973;
4) ordinanza emessa il 4 dicembre 1972 dal pretore di Napoli nel procedimento penale a carico di Castellano Raffaele, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 81 del 28 marzo 1973;
5) ordinanza emessa il 15 dicembre 1972 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Tedeschi Giuseppe ed altri, iscritta al n. 91 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 16 maggio 1973.
Udito nella camera di consiglio del 6 dicembre 1973 il Giudice relatore Enzo Capalozza.
Ritenuto in fatto
1. - Ciro Di Napoli, arrestato il 5 ottobre 1971 e condannato, a seguito di giudizio direttissimo, con sentenza del pretore di Genova, confermata dal tribunale di quella città, alla pena di cinque mesi di arresto, per la contravvenzione di cui all'art. 707 del codice penale, e di tre mesi di reclusione, per uso di patente falsa, dopo aver proposto ricorso per cassazione, chiedeva, in data 24 gennaio 1972, al predetto tribunale, di essere scarcerato per decorrenza dei termini di durata massima della custodia preventiva.
II tribunale ravvisava nella contravvenzione l'unica ragione del legittimo perdurare della carcerazione e, con ordinanza del 7 febbraio 1972, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 272 e 275 del codice di procedura penale, nel testo risultante dal d.l. 1 maggio 1970, n. 192, e dalla legge di conversione 1 luglio 1970, n. 406, "nelle parti in cui escludono, a favore del con dannato non definitivo per contravvenzione, un trattamento migliore di quello previsto, per il condannato per delitto, in materia di durata della carcerazione preventiva", in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 13, ultimo comma, della Costituzione.
Secondo il tribunale, essendo stato iniziato il giudizio per direttissima, non sarebbe applicabile il terzo comma del citato art. 272 cod. proc. pen. perché questo si limita a disporre, per procedimenti pretorili, la durata massima della custodia preventiva in istruttoria; si dovrebbe, invece, tener conto delle norme che regolano la custodia nelle fasi del giudizio, per cui non vi sono distinzioni secondo la competenza. Senonché, sia il quinto comma dell'art. 272, sia l'art. 275, richiamandosi per relationem al mandato di cattura, riguardano soltanto ipotesi delittuose.
Né la lacuna potrebbe essere colmata facendo astrazione dal richiamo al mandato di cattura e ritenendo analogicamente applicabili all'arresto le norme relative alla reclusione, e ciò sia per il divieto di analogia, sia per l'iniquità della equiparazione della contravvenzione al delitto, in violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione.
2. - Nel corso di altro procedimento penale, in grado di appello, contro Armando Locatelli, avverso una sentenza di condanna ad un anno di arresto, per la contravvenzione di cui all'art. 707 cod. pen., sentenza emessa dopo l'avvenuto arresto in flagranza ed il giudizio col rito direttissimo, il tribunale di Roma, con ordinanza del 29 gennaio 1972, ha sollevato questione di legittimità, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costituzione, dell'art. 236, quarto comma, oltre che degli artt. 272, terzo comma, e 275, prima parte, cod. proc. pen., nel testo risultante dal mentovato d.l. n. 192 del 1970 e dalla successiva legge di conversione.
Ad avviso del tribunale, il terzo comma dell'art. 272, riproducendo l'inciso "e non é stato emesso il decreto di citazione a giudizio", già dichiarato illegittimo, nella sua originaria formulazione, con sentenza n. 64 del 1970 di questa Corte, esclude la possibilità della sua applicazione al giudizio direttissimo. La stessa norma, poi, in relazione anche alle altre due disposizioni denunziate, non consentirebbe ad un imputato, tratto in arresto dalla polizia per un reato contravvenzionale e condannato, a seguito di giudizio direttissimo, a pena detentiva, di veder maturare a suo favore alcuno dei termini massimi di durata della custodia preventiva, fissati con esclusivo riferimento ad ipotesi in cui sia obbligatorio o facoltativo il mandato di cattura.
3. - Altra questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 13, ultimo comma, della Costituzione - dello stesso art. 272 cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede il limite massimo di carcerazione preventiva per le fasi successive all'istruzione, relativamente ai procedimenti celebrati col rito direttissimo nei confronti di persone arrestate nella flagranza di contravvenzioni punibili con pena detentiva o di delitti per i quali la legge non autorizza il mandato di cattura", é stata sollevata dal pretore di Catania, con ordinanza del 18 dicembre 1972, nel corso di un procedimento per incidente di esecuzione, promosso da Francesco Vasta, arrestato in flagranza e condannato, a seguito di giudizio direttissimo, alla pena di sei mesi di arresto per detenzione e porto abusivo di pistola.
Nell'istanza di scarcerazione, la difesa dell'imputato, richiamandosi ad una sentenza della Cassazione, aveva affermato che la parziale illegittimità costituzionale, dichiarata da questa Corte, del terzo comma dell'art. 272, nella sua originaria formulazione, dovesse valere anche per il testo risultante dalla recente modifica legislativa e che, essendo decorsi i trenta giorni dall'arresto, si dovesse provvedere alla scarcerazione, nonostante che il procedimento fosse nella fase del giudizio.
Il pretore disattende tale interpretazione giurisprudenziale, dalla quale deriverebbe che il condannato col rito direttissimo, tenuto conto dei termini previsti dalla legge per il relativo procedimento, otterrebbe - nonostante il maggior allarme sociale e l'esigenza di una pronta reazione, presupposti da tale specie di giudizio - di essere scarcerato dopo il trentesimo giorno dal suo arresto mediante semplice interposizione dell'appello, con palese ed irragionevole disparità di trattamento rispetto agli altri imputati, per i quali la legge prevede, per l'eventuale fase del giudizio, un termine massimo di custodia doppio di quello della fase istruttoria.
Sostiene, infine, che, dovendosi escludere, rispetto al vigente testo della norma denunziata, l'operatività della richiamata sentenza di questa Corte, mancherebbe nel caso sottoposto al suo esame, in violazione degli artt. 3 e 13 della Costituzione, allo stato della legislazione, un limite massimo di durata della custodia preventiva.
4. - Analoga questione di legittimità costituzionale del terzo comma dello stesso art. 272 cod. proc. pen., relativamente all'inciso "e non é stato emesso il decreto di citazione a giudizio", in riferimento agli artt. 13, ultimo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione - allorché si tratti di contravvenzione o di delitto per il quale non sia consentito il mandato di cattura, sicché la detenzione abbia titolo nell'arresto in flagranza, e siasi proceduto a giudizio direttissimo - é stata sollevata, per la fase dibattimentale, con ordinanza del 4 dicembre 1972, dal pretore di Napoli, nel corso di un procedimento penale a carico di Raffaele Castellano, condannato per direttissima alla pena di anni uno e mesi otto di arresto e lire 500.000 di ammenda, per le contravvenzioni di cui agli artt. 697, 699 e 712 del codice penale.
5. - Altra questione, per l'art. 272, terzo comma, cod. proc. pen., relativamente all'identico inciso, per violazione degli stessi precetti costituzionali (artt.13, ultimo comma, e 27, secondo comma) sopra indicati - per quanto attiene, in genere, ai procedimenti di competenza del pretore nella fase del giudizio - é stata sollevata, dal pretore di Roma, con ordinanza del 15 dicembre 1972, nel corso dell'udienza dibattimentale per il procedimento a carico di Giuseppe Tedeschi ed altri, imputati per il reato di cui agli artt. 110 e 640 cod. pen., e nei cui confronti era stato eseguito, nella fase istruttoria, mandato di cattura.
6. - In tutti i giudizi dinanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parti private né intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Tre delle ordinanze in epigrafe (tribunale di Genova, pretore di Catania, pretore di Napoli) riguardano, sia pure per aspetti non sempre univoci e con motivazioni non sempre uniformi, gli artt. 272 e 275, primo comma, del codice di procedura penale; la quarta (tribunale di Roma) anche l'articolo 236, quarto comma, dello stesso codice; tutte per giudizi celebrati col rito direttissimo, in riferimento, talune, agli articoli 3, primo comma, e 13, ultimo comma, talaltre agli artt. 13, ultimo comma, e 27, secondo comma, o al solo art. 13, ultimo comma, della Costituzione, perché il contesto legislativo e in ispecie l'inciso del terzo comma dell'art. 272 "e non é stato emesso il decreto di citazione a giudizio" porterebbe ad escludere, in ogni fase e grado, la scarcerazione automatica. La quinta ordinanza (pretore di Roma) solleva, in riferimento agli artt. 13, ultimo comma, e 27, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 272, terzo comma, cod. proc. pen., per l'assunta mancanza di un limite alla durata massima della carcerazione preventiva nella fase successiva a quella istruttoria, per delitti che consentono il mandato di cattura e per i quali si procede col rito ordinario.
I giudizi, vertenti su materia identica o analoga, possono essere decisi con unica sentenza.
2. - Per effetto dell'inciso "e non é stato emesso il decreto di citazione a giudizio", contenuto nel terzo comma dell'articolo 272 cod. proc. pen., avviene che nei procedimenti di competenza del pretore, quando il decreto sia stato emesso o, trattandosi di procedimento col rito direttissimo, non debba essere emesso, la detenzione preventiva non ha più limite, posto che i termini "globali" massimi, pari al doppio di quelli stabiliti per la fase istruttoria (art. 272, quinto comma), riguardano i processi con istruzione formale di cui al primo comma dello stesso articolo.
3. - Non é possibile trasferire il meccanismo dell'art. 272, quinto comma, cod. proc. pen., in relazione al primo comma, ai giudizi pretorili, che - celebrati col rito ordinario o col rito direttissimo - concernono delitti di modesta entità quoad poenam e reati contravvenzionali. Il contesto legislativo non lo consente né dal punto di vista letterale, né dal punto di vista logico.
Non dal punto di vista letterale, perché l'art. 272 non prevede il raddoppio del termine di carcerazione preventiva per i giudizi pretorili. E, d'altra parte, il terzo comma é eterogeneo rispetto al combinato disposto del quinto e del primo comma, attinenti a delitti che impongono o consentono il mandato di cattura e per cui - ripetesi - si procede con istruttoria formale.
Non dal punto di vista logico, perché lo slittamento dei termini della carcerazione preventiva dalla fase istruttoria (quando vi sia) alle fasi e ai gradi successivi, porterebbe i trenta giorni al doppio dei termini, assai più lunghi, del primo comma.
4. - L'assunta soluzione risulta tanto più razionale se si tengano presenti i reati rispetto ai quali la legge non autorizza l'emissione del mandato di cattura e per i quali, tuttavia, vi sia stato arresto in flagranza, in quanto la protrazione della carcerazione preventiva é consentita soltanto ove si proceda per direttissima (art.269, in relazione all'art. 246, terzo comma, cod. proc. pen.; vedasi anche la sentenza n. 173 del 1971 di questa Corte), nella ragionevole presunzione che il giudizio sia senza indugio definito, come vuole, appunto, la specialità del rito.
5. - Non si può ritenere che il predetto inciso sia divenuto inapplicabile per effetto della sentenza n. 64 del 1970 della Corte, giacché essa ebbe ad oggetto l'art. 272 cod. proc. pen. nel testo previgente alle modifiche introdotte dal d.l. 1 maggio 1970, n. 192, convertito, con modificazioni, nella legge 1 luglio 1970, n. 406.
6. - Restando, per altro, valide ed attuali le ragioni che ebbero ad indurre la Corte a dichiarare costituzionalmente illegittimo l'inciso allora censurato, alla medesima statuizione dovrà pervenirsi rispetto a quello (identico) contenuto nella norma vigente, che, siccome é detto al n. 2, risulta in puntuale contrasto con l'art. 13 della Costituzione.
7. - É assorbito il richiamo all'art. 3, primo comma, Cost., mentre non soccorre l'art. 27, secondo comma, perché la carcerazione preventiva é compatibile col principio di non colpevolezza (vedasi la citata sentenza n. 64 del 1970 di questa Corte).
8. - A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'inciso, il termine massimo di carcerazione preventiva, in tutti i procedimenti di competenza del pretore, é di trenta giorni, quale che sia il reato per il quale si procede e quale che sia il rito processuale.
9. - Perdono così consistenza le censure all'art. 236, quarto comma, cod. proc. pen. e all'art. 275, primo comma, dello stesso codice nel testo modificato dal d.l. n. 192 del 1970 e dalla legge n. 406 del 1970, dappoiché la più estesa sfera di applicabilità del terzo comma dell'art. 272, a seguito della presente pronunzia, copre le ipotesi da cui avevano preso le mosse le ordinanze di rimessione del tribunale di Genova e del tribunale di Roma.
10. - Resta, ovviamente, nel potere discrezionale del legislatore disciplinare in modo diverso la materia, purché sia sempre previsto e assicurato un termine massimo di carcerazione preventiva.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 272, terzo comma, del codice di procedura penale, nel testo risultante dall'art. 1 del decreto - legge 1 maggio 1970, n. 192, convertito, con modificazioni, nella legge 1 luglio 1970, n. 406, limitatamente alle parole "e non é stato emesso il decreto di citazione a giudizio";
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 236, quarto comma, del codice di procedura penale, sollevata dal tribunale di Roma con l'ordinanza 29 gennaio 1972, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, primo comma, del codice di procedura penale, nel testo risultante dall'art. 2 del decreto - legge e della legge di conversione del 1970, sollevata dal tribunale di Genova con l'ordinanza 7 febbraio 1972, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 13, ultimo comma, della Costituzione, e dal tribunale di Roma con l'ordinanza 29 gennaio 1972, in riferimento all'art. 13, ultimo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 febbraio 1974.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 27 febbraio 1974.