SENTENZA N. 173
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 236, 246 e 269 del codice di procedura penale e del predetto art. 236 in relazione all'art. 341 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 30 ottobre 1970 dal pretore di Mogoro nel procedimento penale a carico di Marongiu Antonio, iscritta al n. 359 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22 del 27 gennaio 1971.
Udito nella camera di consiglio del 4 giugno 1971 il Giudice relatore Enzo Capalozza.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico della guardia comunale Antonio Marongiu, arrestato in flagranza per oltraggio ad un appuntato dei carabinieri e posto in libertà provvisoria dal pretore di Ales, che rimetteva, poi, gli atti, per competenza, a quello di Mogoro, questo ultimo pretore, con ordinanza del 30 ottobre 1970, sollevava questione di legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni:
a) art. 236 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 13 della Costituzione;
b) combinato disposto degli artt. 341 del codice penale e 236 del codice di procedura penale, in riferimento all'articolo 13 della Costituzione, in quanto - per l'entità della pena prevista nell'art. 341 cod. pen. - é consentito l'arresto facoltativo in flagranza anche quando l'ufficiale od agente che procede all'arresto sia la stessa persona offesa dal reato;
c) art. 246 del codice di procedura penale, nella parte in cui consente all'autorità giudiziaria di non pronunciarsi con atto motivato sulla convalida dell'arresto, in riferimento all'art. 13 della Costituzione;
d) artt. 246 e 269 del codice di procedura penale, nelle parti in cui consentono, in caso di arresto in flagranza, il protrarsi della carcerazione preventiva o la concessione di libertà provvisoria, senza previa emanazione, da parte dell'autorità giudiziaria, di un atto motivato diretto alla restrizione della libertà personale, in riferimento agli artt. 13, 24, 111 e 3 della Costituzione.
Ad avviso del pretore, le questioni sarebbero rilevanti, sia perché, fino a quando esse non saranno risolte, non rientrerebbe nei suoi poteri di modificare in senso più favorevole il provvedimento di concessione della libertà provvisoria, che dà luogo ad una situazione assai più gravosa di quella dell'imputato a piede libero; sia perché, analogamente a quanto sembra dedursi dalla sentenza n. 89 del 1970 di questa Corte, essendo state denunziate norme di procedura applicate nel corso di un giudizio non ancora definito, sarebbe evidente l'influenza di queste norme sugli atti successivi del procedimento, nonché sull'apprezzamento delle risultanze di merito.
2. - Sulla non manifesta infondatezza delle sollevate questioni, per quanto concerne la prima, il pretore afferma che l'istituto dell'arresto in flagranza, a differenza del fermo di polizia, travalicherebbe i limiti posti dall'art. 13 della Costituzione, essendo da escludere che la mera indicazione della pena edittale soddisfi l'esigenza della tassatività e che la semplice circostanza di essere stato il reato commesso in flagranza (o quasi flagranza) soddisfi l'altra congiunta esigenza dell'urgenza e della necessità. In contrasto anche letterale con quest'ultimo requisito, starebbe, poi, l'arresto facoltativo in flagranza, che, nella vigente disciplina, unitamente a quello obbligatorio, troverebbe dei limiti soltanto negativi negli articoli 240 e 241 del codice di procedura penale.
3. - Quale diretta conseguenza della mancata tassatività dei casi in cui la polizia può procedere all'arresto, ai sensi del citato art. 236, si porrebbe, inoltre, la questione di legittimità del combinato disposto di tale norma e di quella dell'art. 341 del codice penale, per la peculiare veste di persona offesa dal reato, propria dell'ufficiale od agente procedente, e per il suo conseguente notevole turbamento psichico, che lo porrebbe nella concreta impossibilità di comportarsi con la lucidità e serenità necessarie a ridurre al minimo indispensabile i casi di restrizione della libertà personale.
Al riguardo, il pretore ricorda che l'agente od ufficiale che si ritenga oltraggiato dovrebbe giudicare della sussistenza, oltre che dell'eccezionalità necessità ed urgenza di cui al precetto costituzionale, e, altresì, degli estremi della flagranza (o quasi flagranza), ai sensi dell'art. 241 del codice di procedura penale, e dovrebbe, poi, tenere conto delle qualità morali dell'autore di un reato contro di lui commesso: così come, ai termini dell'art. 240 dello stesso codice, dovrebbe valutare se, per ipotesi, il fatto non appaia compiuto, ad esempio, come reazione all'atto arbitrario dello stesso procedente. Agendo questi in una situazione di sospetto e di parzialità, analoga a quella prevista per la magistratura dagli artt. 60 del codice di procedura penale e 51 del codice di procedura civile, sarebbe vulnerato il principio di cui al precetto costituzionale sull'inviolabilità della libertà personale; e dato che la condizione di scarcerato sarebbe assai diversa da quella di chi non sia stato affatto arrestato, alla suddetta violazione non potrebbe porre riparo neppure il successivo intervento dell'autorità giudiziaria.
4. - Il pretore, inoltre, afferma che - mentre per l'articolo 13 della Costituzione non é ammessa alcuna forma di detenzione, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria, salvi, nei limiti costituzionalmente consentiti, i provvedimenti provvisori dell'autorità di pubblica sicurezza, i quali devono essere convalidati dal magistrato con atti che, vertendo in tema di libertà personale, debbono parimenti essere motivati - nell'ipotesi di arresto in flagranza - e ciò in contrasto con il suindicato precetto costituzionale - l'art. 246 del codice di procedura penale consente al magistrato di non motivare circa la convalida dell'arresto; ed il combinato disposto degli artt. 246 e 269 del codice di procedura penale, in violazione del medesimo precetto, oltre che di quelli contenuti negli artt. 24, 111 e 3 della Costituzione, permette all'autorità giudiziaria il protrarsi della custodia preventiva, ovvero la concessione della libertà provvisoria, senza l'effettiva pronunzia di un provvedimento motivato ed impugnabile sulla libertà personale.
Sotto quest'ultimo profilo, il pretore rileva che, anche secondo la giurisprudenza, il citato art. 246 non imporrebbe al magistrato di decidere motivatamente sulla convalida dell'arresto, neppure allorquando egli debba porre il detenuto a disposizione di altra autorità, non essendo il relativo provvedimento sulla libertà personale richiesto a pena di nullità; e precisa che l'art. 269, nell'imporre l'immediata scarcerazione del detenuto nelle ipotesi ivi precisate, omette di statuire rispetto al caso in cui l'arresto, benché autorizzato o imposto dalla legge, non sia sostituito da altro atto equipollente, debitamente motivato, dell'autorità giudiziaria, la quale siasi limitata a protrarre tacitamente l'arresto operato dalla polizia. Il provvedimento di questa sarebbe, perciò, titolo perfetto e definitivo di detenzione nei confronti dell'arrestato, che, oltre ad essere privato del diritto di impugnare un provvedimento sulla libertà personale, sarebbe sottoposto ad una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di qualsiasi altro soggetto che sia stato fermato ovvero arrestato su ordine o mandato, o infine, che, a discrezione del magistrato, abbia ricevuto la notifica di un qualche provvedimento, sulla cui base possa approntare la propria difesa.
Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte.
Considerato in diritto
1. - Le questioni sollevate dall'ordinanza in epigrafe del pretore di Mogoro hanno per oggetto la legittimità costituzionale:
a) dell'art. 236 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 13 della Costituzione;
b) del detto art. 236 del codice di procedura penale in relazione all'art. 341 del codice penale, in riferimento allo stesso art. 13 della Costituzione;
c) dell'art. 246 del codice di procedura penale, sia isolatamente, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, sia congiuntamente all'art. 269 dello stesso codice, in riferimento agli artt. 13, 24, 111 e 3 della Costituzione.
2. - La questione relativa all'art. 236 del codice di procedura penale é infondata.
L'art. 13, terzo comma, della Costituzione autorizza la pubblica sicurezza ad adottare provvedimenti provvisori restrittivi della libertà personale senza l'atto motivato dell'autorità giudiziaria, richiesto dal secondo comma, e si limita a porre condizioni e garanzie sostanziali e processuali: eccezionalità, necessità, urgenza e tassatività; comunicazione entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria; inefficacia per mancata convalida dell'autorità giudiziaria nelle quarantotto ore successive.
Gli estremi della necessità e dell'urgenza, affidati al prudente apprezzamento degli organi di polizia, nell'esercizio della loro funzione di pubblica sicurezza - vale a dire della loro essenziale funzione di istituto - vanno visti sia in relazione alle esigenze dell'acquisizione e della conservazione delle prove, sia, soprattutto, alle qualità morali del soggetto attivo, cioè, più in generale, agli elementi subiettivi ed obiettivi indicati dall'art. 133 cod. pen. (vedi art. 241 cod. proc. pen., modificato con la legge 18 giugno 1955, n. 517, che ha eliminato il richiamo alle condizioni sociali del soggetto stesso). Si tratta, é vero, di eccezione alla regola che attribuisce all'autorità giudiziaria la competenza ad emettere provvedimenti coercitivi della libertà personale, ma l'eccezione é in re ipsa, vale a dire nel fatto in sé - previsto dal testo costituzionale - che gli organi di polizia debbono provvedere in sostituzione dell'autorità giudiziaria.
Il requisito alla tassatività, esso pure richiesto dall'art. 13, comma terzo, Cost., é da ritenersi soddisfatto dalla legge; la quale, ai fini dell'arresto, determina l'entità della pena del delitto o la natura della contravvenzione e prende in considerazione i precedenti del soggetto attivo (delinquente abituale, professionale o per tendenza; recidivo qualificato; sottoposto a misura di sicurezza detentiva) o la sua residenza all'estero (art. 236 cod. proc. pen., modificato dalla citata legge 1955, n. 517): né il rilievo del pretore circa la pretesa insufficienza dei criteri sembra aver fondamento, dal momento che l'identificazione dei reati (e delle situazioni) per cui si può procedere all'arresto in flagranza é certamente, anche se indirettamente operata dalla legge, così come la norma costituzionale di raffronto esige.
3. - É, altresì, infondata la questione attinente all'articolo 236 del codice di procedura penale, in relazione all'articolo 341 del codice penale, nella misura in cui affida alla discrezionalità dell'oltraggiato il consentito arresto (in flagranza) dell'oltraggiante.
A prescindere che vi sono numerosi altri reati, accanto all'oltraggio, in cui parte offesa é, o può essere, colui al quale é conferito il potere di arresto, le garanzie per il prevenuto, sotto la prospettazione dell'art. 13 della Costituzione, sono le stesse, sia che l'arresto venga effettuato direttamente dall'oltraggiato, sia che venga effettuato da altri, perché non mutano le condizioni poste dalla legge, né i controlli ad opera dell'autorità giudiziaria.
Non giova l'argomento - addotto dall'ordinanza - tratto dall'art. 60 cod. proc. pen., circa la rimessione degli atti a un diverso ufficio giudiziario, in caso di offesa a un giudice o a un magistrato del pubblico ministero, sia perché la competenza a disporre l'arresto, ai sensi degli artt. 435, primo comma, e 436, secondo comma, cod. proc. pen., per il reato commesso in udienza, non é sottratta al magistrato offeso; sia perché l'invocato art. 60 cod. proc. pen. concerne il giudizio, non la misura coercitiva cautelare.
Del resto, non va trascurato che l'arresto può dar luogo a sanzione disciplinare o, persino, penale contro l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria o della forza pubblica che l'abbia eseguito arbitrariamente o abbia altrimenti violato i propri doveri (vedi artt. 239 e 240 cod. proc. pen.).
Sarebbe, oltre tutto, irrazionale e addirittura paradossale che l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria o della forza pubblica, parte lesa di un fatto di reato contro la pubblica amministrazione, dovesse subire, inerte e impotente, un'offesa anche se grave, anche se reiterata, anche se commessa in presenza di più persone: dovesse, cioè, rinunciare ad esercitare quel potere che la legge gli attribuisce a protezione non di se stesso, ma del pubblico interesse, che é oggetto della tutela giuridico - penale nel reato di oltraggio.
É vero che l'offeso non si trova nelle migliori condizioni per una serena valutazione e che, in elevata percentuale, gli incolpati di oltraggio vengono tratti in arresto dallo stesso offeso nell'onore o nel prestigio; ma l'inconveniente si neutralizza o, quanto meno, si attenua col rispetto rigoroso delle altre regole contenute nell'art. 13, terzo comma, Cost., che afferma e conferma che il principio della inviolabilità della libertà personale, contenuto nel primo comma, non esprime un'astratta postulazione ideologica, bensì impone ai pubblici poteri precisi imperativi giuridici.
4. - A diversa conclusione deve giungersi quanto al controllo - di diritto e di fatto - da parte dell'autorità giudiziaria sull'eseguito arresto facoltativo in flagranza.
L'art. 246 viene interpretato dalla giurisprudenza nel senso che il decreto motivato di convalida, da emanarsi entro 48 ore dalla presentazione dell'arrestato, e non oltre 96 ore dall'arresto, sia dovuto solo per la liberazione dell'arrestato nei casi previsti dal primo e dal secondo comma dell'art. 246 - che non attengono al sindacato sulla facoltatività dell'arresto -; e, quanto al terzo comma dello stesso art. 246, soltanto allorché l'autorità giudiziaria competente per il procedimento non sia quella cui l'arrestato venga presentato (e neppure a pena di nullità).
La norma così interpretata é manifestamente illegittima. Infatti, l'obbligo del decreto motivato di convalida, in mancanza del quale l'arresto é revocato ipso iure, é disposto nell'art. 13, comma terzo, della Costituzione per ogni provvedimento provvisorio preso dall'autorità di pubblica sicurezza in sostituzione del giudice e quindi per ogni provvedimento d'arresto (obbligatorio o facoltativo) o di fermo. Ne deriva che l'art. 246 cod. proc. pen., poiché non prevede in ogni caso quell'obbligo con le sue conseguenze, é per tale motivo costituzionalmente illegittimo: e lo é pure nella parte che concerne il giudizio direttissimo, come si dirà anche in appresso.
5. - Dichiarata in questi termini l'incostituzionalità dell'art. 246 cod. proc. pen., non é necessaria un'analoga pronuncia rispetto al combinato disposto della stessa norma e dell'art. 269 (custodia preventiva e scarcerazione).
Invero, l'art. 269 deve essere interpretato alla luce dell'art. 246 così come risulta dalla predetta dichiarazione di illegittimità: ne deriva che anche qui la protrazione della custodia preventiva o la concessione della libertà provvisoria deve essere preceduta da un motivato provvedimento del giudice.
Non può dirsi, infatti, che la concessione della libertà provvisoria conduca alla sanatoria della irregolare situazione, dappoiché la posizione di chi venga scarcerato perché ingiustamente detenuto é ben diversa da quella di chi abbia ottenuto il "beneficio" della libertà provvisoria (vedi artt. 282 e 292 cod. proc. pen.); la quale presuppone, ovviamente, l'osservanza e la retta applicazione delle norme che regolano l'arresto, demandato all'autorità di pubblica sicurezza, e il sindacato del giudice sull'operato di questa.
6. - Altrettanto va detto in relazione agli artt. 502 e 505, che non sono stati denunciati ma che - la Corte non può fare a meno d'osservare - devono essere ovviamente interpretati alla luce dell'art. 246 quale risulta dopo la predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale. Non c'é dubbio che la garanzia del decreto motivato sul mantenimento dell'arresto vada obbligatoriamente osservata anche quando il procuratore della Repubblica o il pretore ritenga di procedere a giudizio direttissimo (art. 246, terzo comma, in relazione agli artt. 502 e 505 cod. proc. pen.): ché la forma del rito - la quale anziché dalla non esigenza di speciali indagini può dipendere dalla condizione dell'incolpato: art. 502, ult. cpv.; o dalla natura del reato: art. 21, terzo comma, legge 8 febbraio 1948, n. 47; art. 112 d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 - non é tale da determinare la messa in mora delle garanzie costituzionali sancite dall'art. 13. Insomma, anche quando si proceda al giudizio direttissimo, occorre che sia rispettato il doppio termine di 48 ore (previsto dall'art. 13, terzo comma, Cost. per tutti i casi di arresto in flagranza) e perciò il provvedimento che dispone il mantenimento dell'arresto ex art. 502 deve essere inteso come decreto motivato.
Fra l'altro si ponga mente, in particolare, che, chiuso il dibattimento del giudizio direttissimo, il giudice può disporre che si proceda all'istruzione formale (art. 504 cod. proc. pen.): sicché non é da escludere che il mancato controllo sul retto esercizio della discrezionalità dell'arresto in flagranza, per un reato per il quale sia instaurato il rito abbreviato, si risolva in un'ingiusta detenzione sino al termine della fase dibattimentale dello stesso giudizio direttissimo, allorché la scarcerazione deve, poi, essere ordinata in quanto la legge non consenta il mandato di cattura (art. 504, terzo comma, cod. proc. pen.).
7. - In conclusione, l'unica convalida indiretta non contrastante con l'art. 13 é quella della emissione di un ordine di cattura, contenente la contestazione dell'accusa e gli altri elementi indispensabili (artt. 243 e 251 in relazione all'articolo 264 cod. proc. pen.): in tale caso, il più contiene il meno e sono salvaguardati i diritti dell'incolpato.
8. - Per effetto della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 246 cod. proc. pen. l'autorità giudiziaria, come innanzi si é detto, ha l'obbligo di adottare un motivato provvedimento sulla convalida dell'arresto. Ma poiché tale provvedimento, reso necessario dall'attuale pronunzia, resterebbe sottratto ad ogni controllo di legittimità, la Corte, in forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in riferimento all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, deve dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 263 bis cod. proc. pen., nella parte in cui esclude il ricorso per cassazione contro il predetto provvedimento.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 246 del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude l'obbligo dell'autorità giudiziaria di decidere con espresso e motivato provvedimento sulla convalida dell'arresto in flagranza;
2) in forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 263 bis del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude il ricorso per cassazione contro il provvedimento di convalida dell'arresto emesso ai sensi dell'art. 246 del codice di procedura penale nel testo risultante dalla dichiarazione di parziale illegittimità di cui al n. 1;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 236 del codice di procedura penale, sollevata, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, nella parte in cui consente l'arresto facoltativo in flagranza;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 236 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 341 del codice penale, nella parte in cui consente l'arresto facoltativo in flagranza anche allorché chi procede all'arresto sia la persona offesa dal reato, questione sollevata con la stessa ordinanza, in riferimento all'art. 13 della Costituzione;
5) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 269 del codice di procedura penale, sollevata, con la medesima ordinanza, in riferimento all'art. 13 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 14 luglio 1971.