Sentenza n. 19 del 1974
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SENTENZA N. 19

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 102, 103, 105, 109, 204, primo e secondo comma, 208, 216, nn. 1 e 2,217 del codice penale e degli artt. 642,646 e 647 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 22 aprile e il 6 maggio 1971 dal pretore di Livorno nei procedimenti penali a carico di Ceccardi Fernando e di Basso Armando, iscritte ai nn. 384 e 385 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 304 del 1 dicembre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 novembre 1973 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - In un procedimento penale a carico di Ceccardi Fernando, il pretore di Livorno, con ordinanza 22 aprile 1971 - premesso che ricorrevano, nella specie, le condizioni per dichiarare l'imputato delinquente professionale o, comunque, per ravvisare una nuova manifestazione di abitualità nel reato - ha sollevato di ufficio, ritenendone la rilevanza nel giudizio in corso e la non manifesta infondatezza, questione di legittimità costituzionale degli artt. 102, 103, 105, 109, 204, primo e secondo comma, 216, nn. 1 e 2, e 217 del codice penale.

Il sistema di automatica irrogazione della misura di sicurezza (dell'assegnazione a colonia agricola o casa di lavoro), per effetto della dichiarazione di professionalità od abitualità nel reato - quale, appunto, estraibile dal combinato contesto delle disposizioni indicate - colliderebbe, invero, secondo il giudice a quo, con l'art. 25 della Costituzione (in quanto tale norma - sistematicamente interpretata - consentirebbe l'applicazione della misura di sicurezza solo in via alternativa alla pena; onde, appunto, l'illegittimità di misure, come quelle di specie, correlate a fatti costituenti reato, per i quali già vi é previsione della sanzione penale); con l'art. 27 della Costituzione (risultandone contraddette le "finalità rieducative", nelle ipotesi, appunto, di misure di sicurezza conseguenti a fattireati); con l'art. 3 della Costituzione (dubitandosi, infine che l'automatismo della misura di sicurezza rispetto alla condanna - sulla base della sola valutazione dei precedenti penali e dell'indole del nuovo reato e non anche dell'oggettiva gravità di questo - equipari irragionevolmente situazioni tra loro diverse).

2. - Con la stessa ordinanza, il pretore - in accoglimento di eccezione della difesa dell'imputato - ha prospettato l'ulteriore questione di legittimità costituzionale degli artt. 208 del codice penale, e 642, 646, 647 del codice di procedura penale - nella parte in cui prevedono nel procedimento di revocazione della misura di sicurezza, che il decreto di revoca resti sospeso per effetto del ricorso proposto dal p.m. o, comunque, fino all'integrale decorso del termine stabilito per la proposizione di detto ricorso - per ipotizzato contrasto con gli articoli 3,13,102 e 112 della Costituzione.

3. - Con successiva ordinanza 6 maggio 1971, nel corso di un procedimento penale a carico di Basso Armando, il pretore di Livorno ha, infine, nuovamente sollevato la medesima questione di costituzionalità degli artt. 102, 103, 105, 109, 204,216 e 217 del codice penale, in riferimento agli artt. 25, 27 e 3 della Costituzione.

4. - Si é costituita in tale ultimo procedimento la Presidenza del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato. La quale ha analiticamente confutato le argomentazioni del giudice a quo, concludendo nel senso di una declaratoria di infondatezza della proposta questione.

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi come sopra promossi - congiuntamente discussi alla pubblica udienza - possono ora essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La prima questione - prospettata con identità di argomentazioni in entrambe le ordinanze di rinvio - investe la legittimità costituzionale degli artt. 102, 103, 105, 109, 204, 216, nn. 1 e 2, e 217 del codice penale; e, cioé, dell'intero sistema di irrogazione automatica della misura di sicurezza (dell'assegnazione a colonia agricola od a casa di lavoro), per effetto della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato.

La questione é triplicemente articolata: in correlazione ai tre distinti parametri di costituzionalità - artt. 25, 27, 3 della Costituzione - di cui, come in narrativa detto, é assunta violazione.

3. - Sotto il primo profilo - che riflette il contrasto con l'art. 25 della Costituzione - deduce, in particolare, il giudice a quo, che l'interpretazione coordinata dei commi secondo e terzo della norma indicata porterebbe ad "escludere, ove si voglia conservare concreta efficacia al divieto di emanare leggi retroattive, che un fatto costituente reato possa mai dar luogo a misure di sicurezza oltre che a pena".

Non essendo, invero, tali misure, assistite dalla garanzia della irretroattività (ex art. 25, comma terzo) si rischierebbe, - in ipotesi di ritenuta loro applicazione a fatti costituenti reato - di vanificare l'esigenza di anteriorità delle pene al fatto-reato (di cui al precedente comma della stessa norma); in quanto resterebbe in concreto possibile al legislatore, attraverso un mero "cambio di etichetta", introdurre, con effetto retroattivo, vere e proprie pene con il nomen iuris di misure di sicurezza.

Ad evitare, appunto, tale inconveniente - sempre secondo il giudice a quo - dovrebbe considerarsi voluta dal costituente la limitazione (implicita nel sistema dell'art. 25 della Costituzione) della applicazione delle misure di sicurezza "alle sole situazioni (ad esempio, di non imputabilità), nelle quali non può procedersi ad irrogazione di pena".

Da ciò, quindi, l'illegittimità delle misure - come quelle denunziate nella specie - la cui applicazione é, invece, prevista in relazione a fatti - reato, cumulativamente alle pene per i fatti stessi stabilite.

La questione non é fondata.

Dipartendosi da premesse palesemente erronee - quali la ritenuta retroattività delle misure di sicurezza (che deve, invece, negarsi attesa la correlazione di tali misure alla pericolosità, che é situazione, per sua natura, attuale) ed, inoltre, l'affermata intercambiabilità tra misura di sicurezza e pena (che non trova, invece, riscontro nella realtà del sistema costituzionale, che assegna a detti istituti diversa struttura e funzione) - perviene, infatti, il giudice a quo a sospettare di incostituzionalità l'intero sistema delle misure di sicurezza quale risulta dal codice penale; ove presupposto e condizione della loro applicazione é (salvo l'eccezione dei c.d. quasi - reati) proprio la commissione di un fatto - reato (sia pure integrata dall'ulteriore requisito della pericolosità).

Ora, tale conclusione - a prescindere dalla evidenziata erroneità delle premesse che la sorreggono - é senz'altro contraddetta dal dato storico ( non revocabile in dubbio) del riferimento della Costituzione proprio al sistema esistente al momento della sua entrata in vigore. L'art. 25 citato sostanzialmente, infatti, ricalca le disposizioni del codice penale sui principi di legalità e irretroattività: rispettivamente, gli artt. 1 e 2, per la pena e 199 cod. pen., per la misura di sicurezza.

Vi ha, poi, d'altra parte, l'ulteriore considerazione a contrario che, se, per ipotesi, esatte fossero le illazioni del giudice a quo circa l'asserita possibilità per il legislatore di introdurre pene sotto le mentite spoglie di misure di sicurezza - il rimedio, avverso tale situazione, dovrebbe essere, allora, quello di precludere l'applicazione delle misure di sicurezza non soltanto rispetto a fatti - reato ma anche - ed, anzi, a fortiori - rispetto a fatti non costituenti reato. In relazione ai quali ultimi - in caso di applicazione di misura di sicurezza, racchiudente, nella sostanza, una pena - risulterebbe, addirittura, violato il principio di legalità (nullum crimen sine lege).

4. - Anche l'ulteriore profilo di violazione dell'art. 27 della Costituzione, non ha fondamento.

Al riguardo, é appena il caso di ricordare che l'art. 27 citato "si riferisce soltanto alla pena e non considera le misure di sicurezza, proprio perché (queste) ex se tendono ad un risultato che eguaglia quella rieducazione, cui deve mirare la pena" (sentenze n. 168 del 1972 e n. 68 del 1967).

5. - Infine - sempre in ordine alla prima questione - deve pure escludersi, sotto il terzo ed ultimo dei considerati profili, che sussista il prospettato contrasto degli articoli del codice penale sopra indicati con l'art. 3 della Costituzione.

Il fatto che la qualificazione soggettiva (di delinquente abituale o professionale) e la correlata applicazione della misura di sicurezza (dell'assegnazione a colonia agricola o casa di lavoro) conseguano automaticamente alla condanna "sulla base della sola valutazione dei precedenti penali e dell'indole del nuovo reato e non anche dell'oggettiva gravità di questo", non determina, invero, alcuna disparità di trattamento tra soggetti.

Nell'ambito della discrezionalità consentitagli, ha ritenuto, infatti, il legislatore di attribuire generalizzata significazione - al fine della prevenzione criminale - agli elementi, appunto, dei precedenti penali e dell'indole del nuovo reato.

Sono questi, pertanto, i dati da apprezzare: i quali, ove tra loro si combinino in modo uniforme, sono suscettibili ex se (indipendentemente dalla valutazione di ogni altro dato od elemento, che resta, perciò, assorbita) di individuare (sotto il profilo della pericolosità, che qui ne interessa) una obiettiva uniformità di situazioni.

Tale uniforme significazione di pericolosità, appunto, poi giustifica - in relazione alle situazioni medesime - la previsione di una identica regola di giudizio per l'irrogazione della misura di sicurezza: non certo in contrasto con il principio di uguaglianza, bensì al fine proprio di farne applicazione.

6. - Nella prima delle due ordinanze di rinvio é, poi, anche prospettato il dubbio circa la compatibilità - con i principi di cui agli articoli 3, 13, 102 e 112 della Costituzione -, degli articoli 208 cod. pen. e 647 cod. proc. pen. (disciplinanti il riesame della pericolosità) e, correlativamente degli artt. 642 e 646 cod. proc. pen., nelle parti in cui prevedono che resti sospesa la efficacia del decreto di revoca di una misura di sicurezza, per effetto del ricorso proposto dal p.m. o, comunque, fino all'integrale decorso del termine stabilito per la proposizione del ricorso stesso.

Nei termini delineati, le questioni così sollevate, nel corso di un processo in cui il giudice deve ancora decidere della applicazione della misura di sicurezza, risultano, evidentemente, inammissibili, per palese difetto di rilevanza.

In quanto appunto trattasi di questioni aventi attinenza a fasi ulteriori del procedimento e condizionate a specifiche situazioni allo stato meramente ipotizzabili e non, quindi, attuali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 102, 103, 105, 109, 204, commi primo e secondo, 216, nn. 1 e 2, e 217 del codice penale, proposta dal pretore di Livorno, con ordinanze 22 aprile e 6 maggio 1971, in riferimento agli artt. 3,25 e 27 della Costituzione;

dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimità costituzionale degli artt. 208 del codice penale, 642,646 e 647 del codice di procedura penale, sollevata dal pretore di Livorno con ordinanza 22 aprile 1971, in riferimento agli artt. 3,13,102 e 112 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1974.