SENTENZA N. 10
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 19 del r.d.l. 21 febbraio 1938, n. 246 (Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni), modificato dall'art. 1 del d.l.C.P.S. 5 ottobre 1947, n. 1208 (Aumento delle sanzioni pecuniarie comminate da leggi tributarie e finanziarie), promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 1971 dal tribunale di Catania nel procedimento penale a carico di Di Grazia Salvatore, iscritta al n. 144 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119 del 12 maggio 1971.
Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1973 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
Ritenuto in fatto
Salvatore Di Grazia, imputato della contravvenzione di cui agli artt. 1 e 2 del r.d.l. 21 febbraio 1938, n. 246 (disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni) e successive modificazioni, punita dall'art. 19 dello stesso r.d., modificato dall'articolo 1 del d.l.C.P.S. 5 ottobre 1947, n. 1208, perché deteneva un apparecchio televisivo per uso privato senza avere corrisposto il canone di abbonamento per il periodo dal 1 gennaio 1969 al 30 giugno 1970, veniva citato a comparire davanti al tribunale di Catania. In sede dibattimentale l'imputato eccepiva l'incostituzionalità delle dette norme; ed il pubblico ministero che in un primo momento si era dichiarato favorevole, concludeva per l'infondatezza dell'eccezione.
Il tribunale, con ordinanza del 17 febbraio 1971, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del r.d.l. n. 246 del 1938, come modificato dall'art. 1 del d.l.C.P.S. n. 1208 del 1947, denunciandone il contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Osservava che lo Stato, riservatisi in via esclusiva i servizi di telecomunicazioni, aveva dato in concessione quelli di radiotelevisione alla RAI; e che questa si presentava come una società privata, che esercitava in concessione un pubblico servizio. E richiamava, quindi, la giurisprudenza di questa Corte con la quale l'indicato regime é stato riconosciuto legittimo sotto il profilo costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 43 della Costituzione.
Rilevava, però, l'esistenza di una disparità di trattamento a favore della RAI e nei confronti di altre società private concessionarie di pubblici servizi quali la SIP, l'ENEL e l'ENI, per ciò che alla prima e non anche alle altre, a garanzia della riscossione dei canoni di utenza, é assicurata una tutela penale per cui l'abbonato "viene perseguito non solo con le normali forme amministrative e civili ma anche mediante il promovimento di un'azione penale, costituendo reato finanziario il mancato pagamento del canone". Mentre tutte le indicate società concessionarie di pubblico servizio trovano nella legge la disciplina dell'organizzazione e struttura interne e dei rapporti con i terzi, ed in provvedimenti amministrativi la determinazione dei canoni di utenza, solo la RAI gode di quella particolare normativa di favore.
L'ordinanza emessa in udienza veniva notificata al pubblico ministero, al Di Grazia ed al Presidente del Consiglio dei ministri e regolarmente comunicata e pubblicata (nella Gazzetta Ufficiale n. 119 del 12 maggio 1971).
Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - Il tribunale di Catania ritiene che violi il principio di eguaglianza l'art. 19 del r.d.l. 21 febbraio 1938, n. 246 (disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni) modificato dall'art. 1 del d.l.C.P.S. 5 ottobre 1947, n. 1208 (aumento delle sanzioni pecuniarie comminate da leggi tributarie e finanziarie), che prevede come reato la mancata corresponsione del canone di abbonamento da parte di chi detenga uno o più apparecchi radioriceventi o impianto aereo od altro dispositivo comunque atto od adattabile alla radioricezione, e la punisce con la pena dell'ammenda da lire duecentocinquanta a lire cinquemila.
La norma denunciata assicura alla RAI una tutela penale nei confronti dell'abbonato, e di una tutela analoga invece non godono altre "società private" come la SIP, l'ENEL e l'ENI che sono anch'esse titolari di concessioni di pubblico servizio.
2. - Con la sentenza n. 81 del 1963, questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale, in riferimento (tra l'altro) all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 1, 2 e 13 del citato r.d.l. n. 246 del 1938 che, secondo il giudice a quo, stante l'esistenza di sanzioni penali per le inadempienze solo a carico dei radioutenti, avrebbero dato vita ad una ingiustificata disparità di trattamento di costoro e della RAI, ha ritenuto non fondata la questione, sembrando ad essa Corte evidente che "le posizioni della RAI e degli utenti si presentano in modo diverso" e che nel rapporto "domina l'elemento giuspubblicistico, che attribuisce alla RAI una situazione giuridica, quale concessionaria di un servizio di interesse pubblico, diversa da quella degli altri soggetti del rapporto, privati utenti del servizio stesso".
Ora la questione é sollevata attraverso la messa a raffronto da un canto del trattamento giuridico della RAI e dall'altro di quello di date altre società private titolari di concessioni di pubblico servizio (quali, per il giudice a quo, la SIP, l'ENEL e l'ENI) e sempre in relazione alla tutela penale accordata nei confronti degli utenti inadempienti.
La questione così proposta non é fondata.
3. - Anche se, come ricorda il tribunale di Catania, é da ravvisare nei confronti di società private titolari di concessioni di pubblico servizio, quali la RAI e la SIP, l'esistenza di sfere di situazioni giuridiche analoghe per la fonte, e cioè anche se é da rilevare che codeste due società trovano in leggi la disciplina delle loro organizzazioni e strutture interne, e dei loro rapporti con gli utenti, e
che i canoni di utenza radiotelevisivi e quelli di utenza del servizio telefonico urbano ed interurbano sono stabiliti con provvedimenti ministeriali, non si può non constatare come la specifica disciplina dei rapporti delle due società con i rispettivi utenti, sul punto in esame, sia giustificatamente diversa.
Va subito precisato che non é in discussione la conformità o meno al principio di eguaglianza della tutela penale accordata alla RAI nei confronti degli utenti, in sé e per sé considerata, questione la cui fondatezza, per altro, sarebbe implicitamente esclusa nella citata sentenza n. 81 del 1963 di questa Corte.
Nelle due ipotesi messe a raffronto, procedendosi all'individuazione degli interessi presi in considerazione dal legislatore, é facile accorgersi che le situazioni di fatto e giuridiche a cui sul piano della logica si riportano rispettivamente la presenza e l'assenza della tutela penale de qua, non sono eguali.
Ed infatti:
a) nel caso della RAI, all'utente basta la detenzione (acquisibile liberamente dal mercato) di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle emissioni perché il godimento del servizio pubblico possa aver ed abbia luogo, e di contro per l'esercente sussistono difficoltà di controllo; e nel caso della SIP, invece, allo stesso fine occorrono l'installazione presso il singolo utente di apposito impianto ad opera della società stessa ed il collegamento di esso con la rete urbana, ed ogni prestazione dell'esercente é controllabile e quantitativamente determinabile;
b) nel primo caso, il diritto al canone di abbonamento non é assistito da efficaci forme di autotutela né di fronte all'inadempimento dell'utente, la società può in fatto sospendere singolarmente il servizio, e nel secondo caso, invece, la società da sé di fronte al mancato adempimento da parte dell'utente, ha il diritto di sospendere il servizio telefonico, di provvedere al ritiro del materiale installato presso l'utente stesso e di risolvere il contratto di abbonamento, oltre che quello di rivalersi del suo credito sulle somme anticipate dall'abbonato per comunicazioni interurbane o per qualsiasi titolo;
c) non sono infine di scarso rilievo la differenza che sussiste nella strutturazione del procedimento di riscossione del canone di abbonamento, stante che quello per le radiodiffusioni deve essere versato direttamente ad uffici statali, ed in generale il fatto che il rapporto tra la RAI ed i radioutenti é regolato da principi pubblicistici.
La tutela penale in favore della RAI appare, pertanto, sufficientemente giustificata, e data la rilevata differenza delle situazioni prese in considerazione dal legislatore, non é irrazionale la mancata estensione di quella tutela all'altra società privata concessionaria di pubblico servizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 del r.d.l. 21 febbraio 1938, n. 246 (disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni) modificato dall'art. 1 del d.l.C.P.S. 5
ottobre 1947, n. 1208 (aumento delle sanzioni pecuniarie comminate da leggi tributarie e finanziarie), questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal tribunale di Catania con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1974.
Franceco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 23 gennaio 1974.