SENTENZA N. 81
ANNO 1963
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 19 del R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1962 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale a carico di Talamonti Luigi, iscritta al n. 192 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 dicembre 1962.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 24 aprile 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Talamonti Luigi, imputato del reato di cui agli artt. 1, 2 e 19 del R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, per avere detenuto nel proprio esercizio pubblico un apparecchio radio ricevente omettendo di pagare l'abbonamento speciale alle radiodiffusioni per gli anni 1961 e 1962, il Tribunale di Ascoli Piceno, decidendo sulla istanza del P. M. che, associatasi anche la difesa dell'imputato, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale delle citate norme in riferimento agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, con ordinanza del 10 ottobre 1962 riteneva non manifestamente infondata e rilevante la questione stessa sotto il solo profilo della violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per la decisione di competenza.
Nell'ordinanza il Tribunale osserva che, essendo la R.A.I.- T.V. una società per azioni, ed essendo di conseguenza il rapporto intercorrente fra l'Ente e gli utenti un "contratto di diritto privato fra soggetti di diritto privato", la sanzione penale relativa alla inadempienza dell'utente pone questo in una posizione di inferiorità e soggezione nei confronti dell'Ente stesso, protetto da norme cogenti per il conseguimento di meri fini contrattuali. Con ciò, e non potendosi ravvisare in tale disciplina ragioni di interesse generale, estranee alla natura del rapporto, né interessi fiscali dello Stato, verso il quale, a norma dell'art. 21 del D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180, sarebbe fiscalmente tenuta solo la R.A.I.- T.V., si verrebbe a concretare una diversità di trattamento, in violazione del principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, di cui all'art. 3 della Costituzione.
l'ordinanza, debitamente notificata il 14 novembre 1962 al Presidente del Consiglio dei Ministri, é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 327 del 22 dicembre 1962.
2. - Dinanzi alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le deduzioni nella cancelleria della Corte il 10 dicembre 1962.
L'Avvocatura osserva, innanzi tutto, che nella specie non si potrebbe configurare una questione di legittimità costituzionale, giacché, pur se si potesse consentire con quanto é affermato nell'ordinanza del Tribunale, non potrebbe comprendersi come, sulla semplice previsione di sanzioni penali a presidio dell'adempimento di una prestazione contrattuale, possa ravvisarsi una violazione del principio di eguaglianza, che rimarrebbe invece assolutamente esclusa dall'applicabilità della sanzione stessa a tutti gli inadempienti. I1 resto, prosegue l'Avvocatura, concernerebbe solo l'uso del potere discrezionale politico del legislatore, ed esulerebbe quindi dal campo della legittimità costituzionale.
Ciò posto, l'Avvocatura peraltro afferma che, comunque, in forza del R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, la radiodiffusione, e oggi la televisione, sarebbero configurate come servizio pubblico, cui i privati accederebbero mediante un atto amministrativo del tipo della ammissione, attraverso un ufficio dello Stato, ai sensi dell'art. 6 del citato R.D.L. n. 246.
Il privato utente del servizio pubblico sarebbe tenuto al versamento di una prestazione in danaro avente i caratteri della tassa e non del corrispettivo contrattuale. Ed anche se il relativo importo, per la maggior parte, é destinato al funzionamento del servizio pubblico in questione, gestito dalla R.A.I.-T.V. in concessione, in forza della convenzione approvata con il D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180, così come risulta dall'art. 21 della convenzione stessa, non per questo potrebbe ritenersi accettabile la tesi della natura privatistica del rapporto, prospettata nell'ordinanza di rinvio.
l'Avvocatura quindi, richiamando a conforto della propria opinione anche la sentenza n. 59 del 1960 della Corte costituzionale, che avrebbe confermato la natura di pubblico servizio della radiotelediffusione, conclude chiedendo dichiararsi infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.
3. - l'Avvocatura dello Stato ha poi depositato, nei termini, una memoria illustrativa, con cui ribadisce e sviluppa le tesi già svolte nelle deduzioni difensive.
In particolare, l'Avvocatura rileva preliminarmente che, nella specie, nessun contratto di abbonamento sarebbe stato stipulato fra la R.A.I. e il Talamonti, concretandosi l'illecito penale, di cui questi é imputato, appunto in tale omissione.
Non si vedrebbe quindi dove il giudice a quo avrebbe ravvisato la esistenza del rapporto privatistico nell'ambito del quale le disposizioni impugnate sanzionerebbero, secondo l'ordinanza di rinvio, una disparità di trattamento configurabile come violazione dell'art. 3 della Costituzione.
l'Avvocatura insiste comunque nel negare la natura contrattuale privatistica del rapporto R.A.I. - radioutenti, che si costituirebbe invece ex lege, a norma dell'art. 1 del R.D. 21 febbraio 1938, n. 246, in base alla semplice detenzione di un apparecchio ricevente da parte del privato. La natura di prestazione amministrativa del detto rapporto sarebbe caratterizzata sia dall'assenza di qualsiasi aspetto negoziale, tanto che il cosiddetto "abbonamento" sarebbe invece semplicemente l'atto con cui si ottempera da parte dell'utente all'obbligo imposto dalla legge, sia dalla irrilevanza degli stati soggettivi di capacità dell'utente ai fini della legittimità dell'utilizzazione del servizio, sia, infine, dalla natura fiscale del canone che si desumerebbe dal termine "tassa" usato nelle convenzioni approvate col R.D. 29 dicembre 1927, n. 2526, e col D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180, per indicare i proventi degli abbonamenti alle radio-audizioni, nonché dall'istituzione di una "sopratassa" a carico degli utenti morosi.
La natura fiscale del canone renderebbe ragione, oltre che dei privilegi, che ne assistono la riscossione, anche della sanzione penale, di cui alle norme impugnate; particolarmente opportuna in vista della peculiarità del modo di prestazione del servizio, che postulerebbe un regime sanzionatorio penale per ovviare alla facilità delle evasioni.
l'Avvocatura insiste quindi nelle già rese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - l'Avvocatura dello Stato, pur senza formulare in proposito specifiche conclusioni, fa due osservazioni di carattere pregiudiziale, la prima nelle deduzioni, la seconda nella memoria difensiva.
Con la prima afferma che non vi sarebbe, nel caso in esame, questione alcuna di legittimità costituzionale, giacché, anche ammesso che fossero esatte le premesse poste nell'ordinanza di rinvio, con l'adozione da parte del legislatore di una sanzione penale a tutela dell'adempimento di una obbligazione contrattuale privata, non potrebbe mai parlarsi di violazione dell'invocato principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, che risulterebbe invece osservato, essendo la sanzione applicabile a tutti gli inadempienti del tipo previsto dalla norma sanzionatrice, la quale pertanto non porrebbe alcuna delle discriminazioni contro le quali si leva il precetto dell'art. 3.
Senonché non sembra che sia precisamente questo il punto di vista del Tribunale, il quale nella sua ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale a questa Corte, non si sofferma tanto su di una presunta posizione di diseguaglianza dei radioutenti fra di loro, ma, partendo dalla premessa, che opina essere esatta, di un rapporto meramente privatistico che si costituirebbe contrattualmente fra quelli e la R.A.I.-T.V., vede nella diversità di posizione degli uni e di quest' ultima per l'esistenza di sanzioni penali per le inadempienze solo a carico dei primi, una diversità di trattamento, che violerebbe appunto il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3. In tal senso é da ritenersi sia stata proposta la questione di legittimità costituzionale, e bisognerà accertare se é o meno fondata.
2. - Con la seconda osservazione preliminare, l'Avvocatura fa presente che, nel caso in esame, il così detto "abbonamento" non era stato "stipulato". Non sarebbe, quindi, possibile vedere dove il Tribunale abbia ravvisato il predetto contratto. Conseguirebbe quindi che, collocandosi sul terreno privatistico ritenuto proprio dal Tribunale, l'assenza del contratto non avrebbe fatto nascere nessun rapporto che possa dar luogo ad una questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della disparità di trattamento, in violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Non sembra però che la motivazione dell'ordinanza, pur partendo dalla ammissione della natura privatistica del rapporto fra la R.A.I. e i radioutenti, si fondi sull'avvenuta stipula del contratto o sulla mancanza di esso, dovendosi rilevare, invece, che l'opinione nell'ordinanza sostenuta scaturisce da una determinata interpretazione delle norme di legge concernenti la materia, ed attiene direttamente alla legittimità costituzionale di quelle impugnate, che puniscono, come reato, appunto l'omissione imputata al Talamonti, l'efficacia delle quali é stata, pertanto, ritenuta dal Tribunale rilevante ai fini del giudizio principale.
3. - Quanto si é premesso conduce ad esaminare il merito della questione: se, cioé, sia costituzionalmente illegittimo avere accordato alla R.A.I.-T.V., per assicurare l'adempimento della obbligazione del pagamento dell'abbonamento alle radioaudizioni, non una penale di natura civile - peraltro consentita anche in rapporti meramente privatistici - ma determinati privilegi ed una vera e propria tutela di carattere penale.
Non si nega quanto afferma il Tribunale, che la R.A.I. sia una società privata; ma non basta questa affermazione per desumerne che non le possa spettare, in relazione al servizio che esercita, una posizione di preminenza nei confronti dei radioutenti. É bensì una società privata, ma esercita un pubblico servizio in concessione, e questo servizio é di interesse generale, per l'incidenza che attraverso di esso si opera nei più vari settori dell'informazione e della cultura nazionale e per gli evidenti riflessi di carattere generale che ne derivano. Questa opinione é stata chiaramente affermata, sia pure con riferimento alla televisione - e quindi ad un campo più ristretto delle radioaudizioni in genere - da questa Corte, con la sentenza n. 59 del 13 luglio 1960, con la quale la Corte ha rilevato l'altissima importanza che, nell'attuale fase della nostra civiltà, gli interessi che la televisione - e a maggior ragione la radio - tende a soddisfare nel campo della cultura, della informazione, dello svago, assumono, e su vastissima scala, non solo per i singoli componenti del corpo sociale, ma anche per questo nella sua unità.
Per quanto attiene poi alla natura di "concessione" del titolo in forza del quale la R.A.I. esercita il servizio, é dato desumere tale natura direttamente dalle norme regolanti l'attribuzione del servizio stesso prima all'E.I.A.R. e poi alla R.A.I. (convenzioni approvate, rispettivamente, col R.D. 17 novembre 1927, n. 2207, e col D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180), e, in particolare, dalla espressa menzione di "concessione" ivi contenuta e dalla natura della serie dei controlli previsti tanto nella prima, quanto nella seconda convenzione, che vanno dall'obbligo della regolare attuazione del servizio al regolamento dei rapporti economici fra concedente e concessionario, dalle modalità dei controlli tecnici ed economici sulle attività del concessionario alle sanzioni per le eventuali inadempienze, e rispondono quindi ai criteri ordinariamente adottati per la disciplina del rapporto di concessione di pubblico servizio.
4. - Sulla base di questi rilievi si spiega come il rapporto fra la R.A.I.-T.V., concessionaria di un pubblico servizio, e i radioutenti sia stato regolato da principi pubblicistici.
Se é vero che la natura della obbligazione posta a carico dell'utente nacque con caratteri assai diversi e di natura convenzionale privatistica, quando l'art. 3 del R.D. lo maggio 1924, n. 655, pose a carico dell'utente, oltre la tassa di licenza, un "diritto" a favore del concessionario, é anche vero che successivamente si delineò una modificazione dell'orientamento legislativo con l'art. 7 del R.D.L. 23 ottobre 1925, n. 1917, il quale prevedeva una "licenza abbonamento" da rilasciarsi a cura dell'ufficio postale competente, legittimato a ricevere tanto l'importo della "tassa di licenza" quanto quello del "diritto" del concessionario, che seguitava però ad essere definito "importo dell'abbonamento", riscosso dall'ufficio, ma accreditato al concessionario in conto corrente.
Ulteriore evoluzione della disciplina in materia é poi data dall'art. 2 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1203, con cui, attribuendosi per la prima volta alla riscossione del "canone di abbonamento" la procedura e i privilegi previsti per la riscossione dei tributi statali, vengono incaricati della riscossione medesima gli Uffici del registro e del bollo, stabilendosi altresì che le quote spettanti rispettivamente allo Stato ed alla Società andavano determinate con decreto dei Ministri delle comunicazioni e delle finanze. In tal modo scompare la distinzione tra tassa di licenza e canone di abbonamento, che vengono riscossi ed incamerati entrambi dagli uffici statali, e sono successivamente ripartiti fra Stato e concessionario per il finanziamento dell'attività di quest'ultimo.
L'accennata natura tributaria delle somme dovute dai radio-utenti assume poi rilievo e incidenza indiscutibili dallo stesso momento in cui il rapporto si pone, attraverso il collegamento dell'obbligazione del pagamento del così detto canone di abbonamento alla semplice detenzione dell'apparecchio, collegamento previsto dall'art. 1 del D. L. 21 febbraio 1938, n. 246. Onde sfugge definitivamente alla natura negoziale, propria di ogni rapporto contrattuale, il rapporto fra l'utente del servizio radiotelevisivo e il produttore del servizio stesso, giacché l'obbligazione dell'utente non nasce da una volontà negoziale specifica, ma solo in virtù della norma che l'obbligazione stessa impone in vista di una mera possibilità di uso del servizio.
La peculiarità del rapporto si precisa poi ulteriormente attraverso l'art. 7 della convenzione del 1952 che parla di "tassa" di abbonamento, riconoscendosi così positivamente la natura fiscale della relativa obbligazione.
Su tale natura del "canone" non sembra possano esservi seri dubbi, ove si consideri che il R.D. 21 febbraio 1938, n. 246, ribadisce la concessione, per la riscossione dei canoni stessi, del privilegio fiscale di cui agli artt. 1957 e 1958, n. 1, dell'abrogato Codice civile (trasfusi, rispettivamente, negli artt. 2752 e 2758 del Codice vigente); richiama per l'accertamento delle violazioni e per l'applicazione delle relative penalità, la legge 7 gennaio 1929, n. 4, concernente norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie (art. 24).
Deve aggiungersi che, in caso di mancato pagamento del canone, conseguono a carico degli inadempienti penalità definite come "soprattasse", già innanzi ricordate, di natura tipicamente fiscale (D.L. 31 dicembre 1947, n. 1542, art. 3).
5. - Ciò posto, ed escluso, come innanzi si é dimostrato, che nel rapporto R.A.I. - utenti possa riconoscersi un puro e semplice rapporto contrattuale di diritto privato, deve rilevarsi che la questione di legittimità costituzionale proposta a questa Corte é imperniata sulla pretesa violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che risulterebbe infranta per la diversa situazione giuridica in cui sarebbero posti la R.A.I., da un lato, e gli utenti, dall'altro.
Ma la Corte costituzionale con numerose sentenze (v., da ultimo, le sentenze nn. 87 e 106 del 1962) ha stabilito che il principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, va interpretato nel senso che dev'essere garantita parità di trattamento a parità di situazioni, e che il giudizio sulla parità o meno delle situazioni spetta insidacabilmente al legislatore, nei limiti del rispetto della ragionevolezza e degli altri principi costituzionali.
Ora, in conseguenza di tutto quanto si é precisato sulla base di norme del diritto obbiettivo, é evidente che le posizioni della R.A.I. e degli utenti si presentano in modo diverso, giacché si é visto che si tratta di un rapporto in cui domina l'elemento giuspubblicistico, che attribuisce alla R.A.I. una situazione giuridica, quale concessionaria di un servizio di interesse pubblico, diversa da quella degli altri soggetti del rapporto, privati utenti del servizio stesso. Non sussiste pertanto alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione.
6. - Né la rilevata situazione cambia nel caso dei così detti abbonamenti "speciali"; nel caso cioé, come nella specie, in cui gli utenti delle radioaudizioni siano titolari di locali pubblici ed intendano avvalersi del diritto di diffondere al pubblico le trasmissioni nei detti locali.
Si é sostenuto che, in questo caso, l'obbligo del pagamento a carico dell'utente non deriverebbe più direttamente dalla legge, come nell'ipotesi di cui all'art. 1 del decreto del 1938, bensì dalla speciale convenzione di abbonamento, che, appunto per tali casi particolari, é prevista dalla disposizione dell'art. 27 del citato decreto, alla quale convenzione dovrebbe riconoscersi funzione costitutiva del rapporto. Questo manterrebbe, quindi, la natura contrattuale originaria, così come risulterebbe pure dall'art. 10 del D.L. 23 ottobre 1935, n. 1917, che riservava alla conclusione di "speciali contratti di abbonamento" con il concessionario la determinazione dei prezzi di abbonamento per gli esercizi pubblici.
Ma, a parte il rilievo che l'art. 10 venne dettato per consentire gli abbonamenti speciali e giustificare, per questi, la fissazione di un ammontare del canone maggiore di quello degli abbonamenti ordinari, contro la fondatezza di quella opinione é da osservare, anzitutto, che con essa si assume come elemento costitutivo del rapporto concessionario - utente esercente un pubblico locale la convenzione speciale prevista dalla legge (art. 27 del R.D. del 1938), mentre é di tutta evidenza che l'art. 1 del decreto stesso, collocato sotto il titolo delle "disposizioni generali", quando pone il principio secondo cui "chiunque detenga uno o più apparecchi ecc.... é obbligato al pagamento del canone di abbonamento", contempla e ricomprende tutte le possibili ipotesi concrete di detenzione di apparecchi, e quindi anche quella concernente i pubblici esercenti, ond'é che l'obbligazione di costoro non si fonda su una stipulazione privata, bensì sulla legge.
Ma, sostanzialmente, si impone in modo imprescindibile l'esigenza di rispettare la natura unica del rapporto fra concessionario e utenti. Questa natura risulterebbe irrimediabilmente vulnerata dalla differente, duplice qualifica, giuspubblicistica o privatistica, attribuitagli in funzione della qualità, rispettivamente, di privato o esercente un pubblico locale, di uno dei contraenti.
Senza dire che urta anche con i principi della logica più evidente, giacché, se si riconosce che il legislatore ha concepito i rapporti fra concessionario ed utente privato in termini giuspubblicistici per gli evidenti motivi di utilità generale del servizio sopra accennati, maggior rilievo tali motivi dovrebbero assumere proprio in relazione ai casi in cui l'utente, esercente un pubblico locale, viene a trovarsi in una situazione in cui il godimento del servizio da parte sua assume più profondi ed immediati riflessi di carattere pubblico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza del 10 ottobre 1962 dal Tribunale di Ascoli Piceno, sulla legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 19 del R.D. L 21 febbraio 1938, n. 246, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 1963.
GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 8 giugno 1963.