Sentenza n. 183 del 1973

SENTENZA N. 183

ANNO 1973

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, che ha reso esecutivo in Italia il Trattato istitutivo della Comunità economica europea, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 21 aprile 1972 dal tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Frontini Franco Renato ed altri ed il Ministero delle finanze ed altri, iscritta al n. 358 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 317 del 6 dicembre 1972;

2) ordinanze emesse il 15 maggio 1973 dal tribunale di Genova in tre procedimenti civili rispettivamente promossi dalla ditta Fratelli Pozzani, Rusconi e C., da Liguori Costantino e dalla ditta Divella Vincenzo contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, iscritte ai nn. 344, 345 e 346 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 236 del 12 settembre 1973.

Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di Costituzione della ditta Pozzani, Rusconi e C., di Liguori Costantino, della ditta Divella e dell'Amministrazione delle finanze dello Stato;

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1973 il Giudice relatore Guido Astuti;

uditi gli avvocati Massimo Severo Giannini, Nicola Catalano e Leopoldo Elia, per le ditte Pozzani, Liguori e Divella, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Zagari, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per l'Amministrazione delle finanze dello Stato.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento civile promosso da Frontini Franco e dalla s.r.l. Commercio Prodotti Alimentari contro il Ministero delle finanze nonché contro Duplicato Vincenzo, Tommasoni Guido e Manganello Angelo, avente ad oggetto la misura, fissata in alcuni regolamenti della Comunità economica europea, dei prelievi agricoli relativi a determinate operazioni di importazione, il tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, che ha reso esecutivo in Italia l'articolo 189 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea concluso a Roma il 25 marzo 1957, in riferimento agli artt. 70, 71, 72, 73, 74, 75 e 23 della Costituzione.

Si premette nell'ordinanza di rimessione che i regolamenti C.E.E. pur avendo efficacia normativa diretta interna in Italia, in forza della norma che ha reso esecutivo il Trattato di Roma, non possono essere sottoposti al controllo di legittimità della Corte costituzionale, previsto dall'art. 134 Cost. solo per le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. Tuttavia, é legge dello Stato Italiano, come tale suscettibile di giudizio di legittimità costituzionale, l'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, che nel dare esecuzione al Trattato di Roma ne ha reso operante anche l'art. 189, in forza del quale il regolamento comunitario "ha portata generale" ed "é obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri".

Osserva, quindi, il tribunale di Torino che la disciplina dei prelievi, introdotta dai regolamenti comunitari, dando luogo a "prestazioni patrimoniali imposte", potrebbe ritenersi in contrasto col principio della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali e personali, di cui all'art. 23 della Costituzione, attesa la sostanziale estraneità della legge italiana al concreto esercizio della potestà di imposizione da parte dell'organo legislativo della Comunità economica europea. Né, d'altra parte, sarebbe utile in argomento distinguere tra diritti e doveri del cittadino come soggetto dell'ordinamento comunitario, dato che i prelievi vengono riscossi dall'Amministrazione finanziaria italiana a proprio vantaggio, con la stessa identica procedura dei dazi doganali, e sono pacificamente sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice italiano.

Osserva inoltre il tribunale che la stessa previsione di un'attività normativa comunitaria, di contenuto così ampio, quale quella contemplata dall'art. 189 del Trattato di Roma, introdurrebbe una amplissima deroga alla disciplina dettata dagli artt. 70 e segg. della Costituzione in tema di formazione delle leggi, riconoscendo alla Comunità il potere di legiferare praticamente su qualsiasi materia essa ritenga utile per l'assolvimento dei suoi compiti, senza che nei confronti dei regolamenti sussistano le guarentigie che la Costituzione italiana dà nei confronti delle leggi ordinarie dello Stato: il rispetto delle forme di promulgazione e di pubblicazione, la possibilità di promuovere il referendum abrogativo la possibilità di sollecitare il controllo della Corte costituzionale. Appare pertanto non infondato il dubbio se siffatta limitazione della sovranità nazionale, che introduce uno strumento di produzione normativa sopranazionale. idoneo ad incidere direttamente in ogni campo e senza precisi limiti sui diritti dei cittadini, intaccando eventualmente anche i diritti fondamentali dei cittadini e i principi fondamentali di struttura dello Stato, possa ritenersi consentita dall'art. 11 della Costituzione.

Il tribunale di Genova, in tre procedimenti civili rispettivamente promossi dalla ditta Fratelli Pozzani, Rusconi e C., da Liguori Costantino e dalla ditta Divella Vincenzo contro l'Amministrazione delle finanze dello Stato, ha sollevato d'ufficio, con tre ordinanze di identico contenuto, la questione di legittimità costituzionale della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, nella parte in cui ha reso esecutivo in Italia l'art. 189 del Trattato di Roma, in riferimento agli artt. 70, 76 e 77 della Costituzione.

Nelle ordinanze, premesso che i regolamenti comunitari hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri, si osserva che l'introduzione nel nostro ordinamento di una nuova fonte di normazione primaria, estranea al meccanismo di produzione legislativa previsto dagli artt. 70, 76, 77 della Costituzione, attuata con legge ordinaria anziché con legge costituzionale, potrebbe implicare una non consentita sottrazione di competenza legislativa ai normali organi costituzionali dello Stato.

Né il dubbio di legittimità costituzionale sarebbe escluso dalla disposizione dell'art. 11 Cost., sia perché detta norma, a parte il suo valore programmatico, non escluderebbe la necessità di una legge costituzionale per le limitazioni alla sovranità nazionale, sia perché sembrerebbe rivolta a finalità diverse da quelle, tipicamente economiche, perseguite con l'istituzione della Comunità economica europea.

2. - Nei giudizi promossi dalle tre ordinanze del tribunale di Genova si sono costituite le parti private, tutte deducendo la infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Nei rispettivi atti di Costituzione e nelle successive memorie dopo aver aderito alla impostazione del tribunale di Genova sulla diretta e immediata applicabilità ed efficacia dei regolamenti comunitari, emanati dagli organi della C.E.E. in base al potere normativo autonomo loro conferito dall'art. 189 del Trattato istitutivo della Comunità, giusta la costante interpretazione datane dalla Corte di giustizia della Comunità, ed avere illustrato le ragioni che hanno portato all'attribuzione di un potere normativo agli organi comunitari, si afferma che l'art. 11 Cost., nella sua indubbia portata permissiva, prevedendo espressamente "limitazioni di sovranità", consentirebbe il trasferimento di poteri anche normativi, nei limiti delle competenze oggetto dell'integrazione realizzata, con la conseguente sottrazione degli stessi poteri agli organi normativi nazionali. Dette limitazioni di sovranità potrebbero essere disposte con legge ordinaria, appunto in virtù della portata permissiva dello stesso art. 11, che sarebbe privo di contenuto giuridico se postulasse l'adozione di leggi costituzionali, dato che con legge costituzionale può essere disposta qualsiasi revisione, anche non prevista, della Costituzione, ad eccezione solo della forma repubblicana dello Stato.

Nelle memorie é infine sottolineato il contrasto tra la interpretazione restrittiva dell'art. 189 del Trattato C.E.E., sostenuta dall'Avvocatura dello Stato, anche in riferimento all'articolo 81 della Costituzione, e la giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità, rilevandosi come il contenuto intersoggettivo dei regolamenti comunitari sia immediatamente applicabile anche in presenza di un parallelo contenuto organizzativo la cui realizzazione renda necessaria l'emanazione di norme interne di esecuzione.

3. - In tutti e quattro i giudizi di legittimità costituzionale é intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo, nell'atto di intervento e nelle successive memorie, l'infondatezza delle prospettate questioni di legittimità costituzionale.

In particolare, dopo aver ricordato le conseguenze sul piano interno e su quello internazionale di un eventuale accoglimento delle dedotte questioni, l'Avvocatura dello Stato afferma che non contrasta con i principi della Carta costituzionale la istituzione, o il riconoscimento, con legge ordinaria di una nuova fonte di produzione giuridica, potendo il fenomeno rientrare tra le limitazioni della sovranità nazionale previste e consentite, a determinate condizioni, dall'art. 11 della Costituzione, significativamente collocato nella sezione della Carta costituzionale nella quale sono enunciati i principi fondamentali, a conferma della importanza capitale della disposizione, posta su un piano diverso rispetto alle disposizioni che concretamente disciplinano i poteri degli organi dello Stato.

La reale portata di tale disposizione, dovrebbe inoltre essere individuata in relazione all'art. 138 Costituzione. Considerato che il potere di revisione costituzionale é un potere di carattere generale riconosciuto al Parlamento dall'art. 138 Cost., l'art. 11, nel consentire limitazioni alla sovranità nazionale (che necessariamente comportano una modificazione dell'assetto costituzionale del Paese) per l'attuazione del principio di cooperazione tra i popoli, non potrebbe esaurire la sua portata nell'autorizzare tali modificazioni, già permesse dall'art. 138, ma comporta necessariamente anche la esenzione dell'obbligo di seguire il procedimento di revisione costituzionale.

Una volta ammessa la legittimità, alla stregua dell'art. 11 Cost., della normativa impugnata, ne conseguirebbe anche la mancanza di contrasto con la Costituzione e con i suoi principi fondamentali, per il fatto che il sistema di garanzie giuridiche possa risultare formalmente diverso da quello previsto nel nostro ordinamento per la funzione legislativa degli organi nazionali. A questo riguardo, sarebbe rilevante la conformità del sistema comunitario ad alcune esigenze fondamentali, corrispondenti ai principi supremi dell'ordinamento costituzionale italiano, quali la democraticità dello Stato e il rispetto dei principi dello Stato di diritto.

Relativamente al denunziato contrasto tra la normativa impugnata e l'art. 23 della Costituzione, osserva l'Avvocatura generale dello Stato che esso resta assorbito dal profilo di illegittimità considerato in precedenza, nel senso che, ove si ritenga che l'art. 11 della Costituzione consenta alle limitazioni della sovranità determinate dalla ratifica del Trattato di Roma, alla stregua della stessa disposizione si deve ritenere legittimo il consenso dell'Italia a porre deroghe anche al principio della riserva di legge.

Nei tre giudizi instaurati a seguito delle ordinanze del tribunale di Genova l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito la non rilevanza della questione di legittimità costituzionale, sotto un duplice profilo: anzitutto per la non diretta applicabilità nell'ordinamento italiano dei regolamenti C.E.E., della cui portata si discuteva nella causa di merito (Reg. 4 aprile 1962, n. 19; Reg. 13 giugno 1967, n. 120), trattandosi di norme non complete, inidonee come tali ad una immediata applicazione negli ordinamenti interni degli Stati membri, e ciò sul presupposto che i regolamenti comunitari i quali comportino l'istituzione di uffici pubblici, l'attribuzione di nuove competenze ad organi interni, o l'assunzione di oneri a carico del bilancio dello Stato, senza indicare la fonte finanziaria interna, richiedano per la concretezza della fattispecie precettiva l'emanazione di norme interne di esecuzione; in secondo luogo per essere intervenute nella materia le leggi dello Stato (d.l. 30 luglio 1962, n. 955 e d.l. 20 febbraio 1968, n. 59, rispettivamente convertiti nelle leggi n. 1453 del 1962 e n. 244 del 1968), che dovrebbero ritenersi prevalenti sui regolamenti comunitari, per il principio della successione delle norme nel tempo.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza di rimessione del tribunale di Torino viene sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, che ha reso esecutivo in Italia l'art. 189 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea, stipulato a Roma il 25 marzo 1957, in riferimento agli artt. 70, 71, 72, 73, 74, 75 e 23 della Costituzione; con le tre ordinanze, di identico contenuto, del tribunale di Genova, viene sollevata la stessa questione, in riferimento agli artt. 70, 76 e 77 della Costituzione.

Le ordinanze contengono esauriente motivazione circa la rilevanza della questione di costituzionalità ai fini della decisione delle cause di merito.

I giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - L'ammissibilità della denuncia di illegittimità costituzionale della legge ordinaria di ratifica ed esecuzione di un trattato internazionale, con riguardo a specifiche disposizioni del trattato stesso, é già stata riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 98 del 1965.

3. - Il Trattato istitutivo della C.E.E. dispone all'art. 189, primo comma, che "per l'assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal Trattato, il Consiglio e la Commissione della Comunità stabiliscono regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni e pareri". Viene conseguentemente disciplinata l'efficacia di questi diversi atti, e il secondo comma dell'art. 189 stabilisce testualmente: "Il regolamento ha portata generale. Esso é obbligatorio in tutti i suoi elementi, e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri".

Di questa disposizione del Trattato, mediante denuncia della legge di esecuzione che ad essa ha adattato il nostro ordinamento interno, viene posta in dubbio la legittimità costituzionale sotto diversi profili. Si osserva nelle ordinanze di rinvio che a norma dell'art. 189 é stata riconosciuta la efficacia obbligatoria ed immediata applicabilità nei confronti dello Stato e dei cittadini italiani di atti aventi forza e valore di legge ordinaria, emanati da organi diversi da quelli a cui la Costituzione attribuisce l'esercizio della funzione legislativa; che con ciò é stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova fonte di normazione primaria, con la conseguente sottrazione di competenza legislativa ai normali organi costituzionali dello Stato, in materie di contenuto ampio e genericamente individuato; che nei confronti dei regolamenti comunitari mancano le guarentigie stabilite dalla Costituzione per le leggi ordinarie dello Stato (forme di promulgazione e pubblicazione; possibilità di promuovere il referendum abrogativo; ammissibilità del controllo di questa Corte, a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini); che, infine, mediante questi regolamenti possono essere imposte ai cittadini italiani prestazioni patrimoniali, in contrasto con la riserva di legge stabilita dall'art. 23 della Costituzione. L'art. 189 del Trattato di Roma comporterebbe non tanto limitazioni di sovranità quanto "una inammissibile rinuncia alla sovranità, ovvero una modifica della stessa struttura costituzionale fondamentale del nostro Stato"; e l'art. 11 della Costituzione non eliminerebbe il prospettato dubbio di incostituzionalità, "sia perché, a parte la sua natura programmatica, non esclude che le limitazioni alla sovranità nazionale debbano essere disposte con legge costituzionale, sia perché sembra implicare finalità diverse da quelle, tipicamente economiche, perseguite con l'istituzione della C.E.E.".

4. - La questione non é fondata. La legge 14 ottobre 1957, n. 1203, con cui il Parlamento italiano ha dato piena ed intera esecuzione al Trattato istitutivo della C.E.E., trova sicuro fondamento di legittimità nella disposizione dell'art. 11 della Costituzione, in base alla quale "l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni", e quindi "promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Questa disposizione, che non a caso venne collocata tra i "principi fondamentali" della Costituzione, segna un chiaro e preciso indirizzo politico: il costituente si riferiva, nel porla, all'adesione dell'Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite, ma si ispirava a principi programmatici di valore generale, di cui la Comunità economica e le altre Organizzazioni regionali europee costituiscono concreta attuazione. É sufficiente considerare le solenni enunciative contenute nel preambolo del Trattato, e le norme concernenti i principi (artt. 1 e seguenti), i fondamenti (artt. 9 e seguenti), e la politica della Comunità (artt. 85 e seguenti), per constatare come la istituzione della C.E.E. sia stata determinata dalla comune volontà degli Stati membri di "porre le fondamenta di una unione sempre più stretta tra i popoli europei", diretta "ad assicurare mediante un'azione comune il progresso economico e sociale dei loro paesi, eliminando le barriere che dividono l'Europa", e ciò nel preciso intento di "rafforzare le difese della pace e della libertà, facendo appello agli altri popoli d'Europa, animati dallo stesso ideale, perché si associno al loro sforzo", nonché di "confermare la solidarietà che lega l'Europa ai paesi d'oltremare, desiderando assicurare lo sviluppo della loro prosperità conformemente ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite". Non é dunque possibile dubbio sulla piena rispondenza del Trattato di Roma alle finalità indicate dall'art. 11 della Costituzione.

5. - Il costituente, dopo aver stabilito all'art. 10 che l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generale, ha inteso con l'art. 11 definire l'apertura dell'Italia alle più impegnative forme di collaborazione e organizzazione internazionale: ed a tale scopo ha formalmente autorizzato l'accettazione, in via convenzionale, a condizioni di parità con gli altri Stati e per le finalità ivi precisate, delle necessarie "limitazioni di sovranità". Questa formula legittima le limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all'esercizio delle funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale, quali si rendevano necessarie per la istituzione di una Comunità tra gli Stati europei, ossia di una nuova organizzazione interstatuale, di tipo sovranazionale, a carattere permanente, con personalità giuridica e capacità di rappresentanza internazionale. Alla Comunità economica, aperta a tutti gli altri Stati europei (art. 237 del Trattato), e concepita come strumento di integrazione tra gli Stati partecipanti, per fini comuni di sviluppo economico e sociale, e quindi anche per fini di difesa della pace e della libertà, l'Italia e gli altri Stati promotori hanno conferito e riconosciuto determinati poteri sovrani, costituendola come istituzione caratterizzata da ordinamento giuridico autonomo e indipendente. In particolare, con l'art. 189 del Trattato istitutivo, é stato attribuito al Consiglio e alla Commissione della Comunità il potere di emanare regolamenti con portata generale, ossia, - secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza comunitaria e da quella ormai concorde dei diversi Stati membri, nonché dalla dominante dottrina -, atti aventi contenuto normativo generale al pari delle leggi statuali, forniti di efficacia obbligatoria in tutti i loro elementi, e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri, cioè immediatamente vincolanti per gli Stati e per i loro cittadini, senza la necessità di norme interne di adattamento o recezione.

Questo potere normativo compete agli organi della Comunità "per l'assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal Trattato"; é stato così attuato da ciascuno degli Stati membri un parziale trasferimento agli organi comunitari dell'esercizio della funzione legislativa, in base ad un preciso criterio di ripartizione di competenze per le materie analiticamente indicate nelle parti seconda e terza del Trattato, in correlazione necessaria con le finalità di interesse generale stabilite dal Trattato stesso per la politica economica e sociale della Comunità.

Questa attribuzione di potestà normativa agli organi della C.E.E., con la corrispondente limitazione di quella propria degli organi costituzionali dei singoli Stati membri, non é stata consentita unilateralmente né senza che l'Italia abbia acquistato poteri nell'ambito della nuova istituzione. Stipulando il Trattato di Roma l'Italia ha liberamente compiuto una scelta politica di importanza storica, ed ha acquistato, con la partecipazione alla Comunità economica europea, il diritto di nominare propri rappresentanti nelle istituzioni della Comunità, Assemblea e Consiglio, e di concorrere alla formazione della Commissione e della Corte di giustizia. Le consentite limitazioni di sovranità trovano quindi il loro corrispettivo nei poteri acquisiti in seno alla più vasta Comunità di cui l'Italia é parte, e con la quale é stato concretamente iniziato il processo di integrazione degli Stati d'Europa.

6. - Il dubbio che le limitazioni di sovranità conseguenti alla stipulazione del Trattato di Roma e all'ingresso dell'Italia nella C.E.E. potessero richiedere il ricorso al procedimento di revisione costituzionale per l'approvazione della legge di ratifica e di esecuzione, trova puntuale riscontro nell'analogo dubbio già prospettato nel 1951, in occasione dell'approvazione del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio: dubbio correttamente risolto dal Parlamento italiano, decidendo che la ratifica ed esecuzione di quel Trattato potesse essere effettuata mediante legge ordinaria. Per vero, come questa Corte ha già dichiarato nella sentenza n. 14 del 1964 , la disposizione dell'art. 11 della Costituzione significa che, quando ne ricorrano i presupposti, é possibile stipulare trattati i quali comportino limitazione della sovranità, ed é consentito darvi esecuzione con legge ordinaria. La disposizione risulterebbe svuotata del suo specifico contenuto normativo, se si ritenesse che per ogni limitazione di sovranità prevista dall'art. 11 dovesse farsi luogo ad una legge costituzionale. É invece evidente che essa ha un valore non soltanto sostanziale ma anche procedimentale, nel senso che permette quelle limitazioni di sovranità, alle condizioni e per le finalità ivi stabilite, esonerando il Parlamento dalla necessità di ricorrere all'esercizio del potere di revisione costituzionale.

7. - Con riferimento al Trattato istitutivo della C.E.C.A., questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare l'autonomia dell'ordinamento comunitario rispetto a quello interno (sentenza n. 98 del 1965). I regolamenti emanati dagli organi della C.E.E. à sensi dell'art. 189 del Trattato di Roma appartengono all'ordinamento proprio della Comunità: il diritto di questa e il diritto interno dei singoli Stati membri possono configurarsi come sistemi giuridici autonomi e distinti, ancorché coordinati secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal Trattato. Esigenze fondamentali di eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie, - non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di diritto straniero, né di diritto interno dei singoli Stati -, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di recezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari. Risponde altresì alla logica del sistema comunitario che i regolamenti della C.E.E., - semprechè abbiano completezza di contenuto dispositivo, quale caratterizza di regola le norme intersoggettive -, come fonte immediata di diritti ed obblighi sia per gli Stati sia per i loro cittadini in quanto soggetti della Comunità, non debbano essere oggetto di provvedimenti statali a carattere riproduttivo, integrativo o esecutivo, che possano comunque differirne o condizionarne l'entrata in vigore, e tanto meno sostituirsi ad essi, derogarvi o abrogarli, anche parzialmente. E qualora uno di questi regolamenti comportasse per lo Stato la necessità di emanare norme esecutive di organizzazione dirette alla ristrutturazione o nuova Costituzione di uffici o servizi amministrativi, ovvero di provvedere a nuove o maggiori spese, prive della copertura finanziaria richiesta dall'art. 81 della Costituzione, mediante le opportune variazioni di bilancio, é ovvio che l'adempimento di questi obblighi da parte dello Stato non potrebbe costituire condizione o motivo di sospensione dell'applicabilità della normativa comunitaria, la quale, quanto meno nel suo contenuto intersoggettivo, entra immediatamente in vigore.

8. - Il regime dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno, quale é stato dianzi delineato, fornisce la sicura soluzione dei dubbi prospettati nelle ordinanze di rimessione, circa la mancanza, nei confronti dei regolamenti della C.E.E., delle guarentigie offerte dalla nostra Costituzione rispetto alla legislazione dello Stato, concernenti la formazione e pubblicazione delle leggi, l'ammissibilità del referendum abrogativo e del controllo di legittimità costituzionale. Le disposizioni costituzionali disciplinano unicamente l'attività normativa degli organi dello Stato italiano, e per la loro natura non sono riferibili o applicabili all'attività degli organi comunitari, regolata dal Trattato di Roma, che della Comunità costituisce lo statuto fondamentale.

A questo riguardo si impongono alcune ulteriori considerazioni. Occorre anzitutto tener presente che il Trattato istitutivo contiene nella Parte quinta - Istituzioni della Comunità - (artt. 137-209), una organica normativa sulla composizione, sui poteri, sull'esercizio delle funzioni dei diversi organi, per cui l'ordinamento comunitario risulta caratterizzato da un complesso di garanzie statutarie, e da un proprio sistema di tutela giuridica. Per quanto concerne in specie i regolamenti previsti dall'art. 189, oltre ai già precisati limiti di competenza settoriale ratione materiae posti alla potestà normativa del Consiglio e della Commissione dalle disposizioni del Trattato, deve ricordarsi che l'operato di questi organi é soggetto al controllo dell'Assemblea, composta di rappresentanti delegati dagli Stati membri, e destinata, nell'auspicabile ulteriore sviluppo del processo di integrazione, ad assumere una più diretta rappresentatività politica e più ampi poteri; e che, d'altra parte, la loro azione si svolge con la costante e diretta partecipazione del nostro Governo, e quindi anche sotto il controllo, indiretto ma non perciò meno vigile ed attento, del Parlamento italiano.

Secondo il Trattato, i regolamenti, così come le direttive e le decisioni del Consiglio e della Commissione, debbono essere motivati, e fare riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente richiesti in esecuzione del Trattato (art. 190); e sono oggetto di regolare pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Comunità, dopo la quale soltanto entrano in vigore, alla data da essi stabilita, o in mancanza, nel ventesimo giorno successivo (art. 191).

A prescindere dalla inammissibilità del riferimento all'articolo 75 della Costituzione, risponde alle già illustrate caratteristiche del sistema che i regolamenti comunitari, i quali debbono conseguire applicazione diretta, simultanea ed uniforme in tutti gli Stati membri e per tutti i soggetti appartenenti alla Comunità, non possano essere oggetto di referendum popolare abrogativo nei diversi Stati.

Nella medesima prospettiva si deve valutare anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 189 del Trattato C.E.E., in quanto permette l'emanazione di regolamenti contenenti imposizione di prestazioni patrimoniali. Ciò non importa deroga alla riserva di legge sancita dall'art. 23 della Costituzione, poiché questa disposizione non é formalmente applicabile alle norme comunitarie, emanazione di una fonte di produzione autonoma, propria di un ordinamento distinto da quello interno. D'altra parte, anche sotto un profilo sostanziale, sembra ovvio osservare che quella storica garanzia non potrebbe dirsi violata, dal momento che i regolamenti comunitari debbono statutariamente corrispondere ai principi e criteri direttivi stabiliti dal Trattato istitutivo della Comunità.

9. - Appaiono egualmente infondati i dubbi relativi alla carenza di controllo giurisdizionale da parte di questa Corte, a salvaguardia dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione ai cittadini.

Si deve anzitutto considerare che l'ordinamento della Comunità economica europea contiene uno speciale sistema di tutela giurisdizionale, caratterizzato dalla pienezza delle funzioni attribuite alla Corte di giustizia dagli artt. 164 e seguenti del Trattato. La Corte di giustizia della Comunità, oltre ad assicurare "il rispetto del diritto nella interpretazione e nella applicazione del trattato" (art. 164), esercita il controllo di legittimità sugli atti normativi del Consiglio e della Commissione, con competenza a conoscere dei ricorsi "per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione del trattato o di qualsiasi norma giuridica relativa alla sua applicazione, ovvero per sviamento di potere", proposti da uno Stato membro o da qualsiasi persona fisica o giuridica (art. 173, primo e secondo comma); ed ha potere di annullamento degli atti impugnati riconosciuti illegittimi, salva la facoltà di stabilire gli effetti dei regolamenti annullati che debbano essere considerati come definitivi (art. 174). La Corte di giustizia é altresì competente a pronunciarsi in via pregiudiziale, alle condizioni stabilite dall'art. 177, sull'interpretazione del Trattato, sulla validità ed interpretazione degli atti emanati dalle istituzioni della Comunità, e sull'interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando questioni del genere siano sollevate "davanti a una giurisdizione di uno degli Stati membri".

L'ampiezza della tutela giurisdizionale che l'ordinamento comunitario assicura contro gli atti dei suoi organi eventualmente lesivi di diritti o interessi dei singoli soggetti é già stata riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 98 del 1965, (che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata in riferimento agli artt. 102 e 113 della Costituzione, con riguardo alla pretesa specialità della Corte di giustizia come organo di giurisdizione e al contenuto della tutela giurisdizionale dalla medesima garantita).

Occorre, d'altro canto, ricordare che la competenza normativa degli organi della C.E.E. é prevista dall'art. 189 del Trattato di Roma limitatamente a materie concernenti i rapporti economici, ossia a materie in ordine alle quali la nostra Costituzione stabilisce bensì la riserva di legge o il rinvio alla legge, ma le precise e puntuali disposizioni del Trattato forniscono sicura garanzia, talché appare difficile configurare anche in astratto l'ipotesi che un regolamento comunitario possa incidere in materia di rapporti civili, etico-sociali, politici, con disposizioni contrastanti con la Costituzione italiana. É appena il caso di aggiungere che in base all'art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma - sottoscritto da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque comportare per gli organi della C.E.E. un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed é ovvio che qualora dovesse mai darsi all'art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi fondamentali. Deve invece escludersi che questa Corte possa sindacare singoli regolamenti, atteso che l'art. 134 della Costituzione riguarda soltanto il controllo di costituzionalità nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, e tali, per quanto si é detto, non sono i regolamenti comunitari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, nella parte in cui ha dato esecuzione all'art. 189 del Trattato 25 marzo 1957, istitutivo della Comunità economica europea, sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77 e 23 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1973.