SENTENZA N. 145
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 12 luglio 1971 dal pretore di Licata nel procedimento civile vertente tra Consagra Cristoforo ed altri e Urso Pasquale, iscritta al n. 326 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 17 novembre 1971;
2) ordinanza emessa il 3 febbraio 1972 dal pretore di Bovino nel procedimento civile vertente tra Angino Michele ed altri e De Paulis Clelia ed altri, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 122 del 1 maggio 1972;
3) ordinanze emesse l'11 marzo 1972 dal pretore di Ispica in due procedimenti civili promossi da Modica Giovan Pietro contro Covato Paolo e Covato Orazio, iscritte ai numeri 142 e 143 del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 31 maggio 1972;
4) ordinanza emessa il 17 ottobre 1972 dal pretore di Aragona nel procedimento civile vertente tra Albanese Carmelo ed altri e Notarbartolo Giulia, iscritta al n. 413 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48 del 21 febbraio 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di Costituzione di De Paulis Clelia ed altri;
udito nell'udienza pubblica del 30 maggio 1973 il Giudice relatore Luigi Oggioni;
uditi l'avv. Salvatore Orlando Cascio, per De Paulis ed altri, e il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 12 luglio 1971 - emessa in alcuni procedimenti civili riuniti, aventi ad oggetto controversie concernenti l'affrancazione giudiziale di canoni enfiteutici - il pretore di Licata, a seguito di un'eccezione proposta dalla parte interessata, ha sollevato questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 ("nuove norme in materia di enfiteusi").
La legge impugnata ha disposto, tra l'altro, che per le enfiteusi rustiche costituite dopo il 28 ottobre 1941- limitatamente alle quali questa Corte con la sentenza n. 37 del 1969 dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 22 luglio 1966, n. 607 - , ai fini della determinazione dei canoni "si ha riguardo alla qualifica ed alla classe catastale esistenti al momento della Costituzione del rapporto". Ad avviso del giudice a quo, nonostante questa innovazione, la norma incorre nella violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione per le stesse ragioni poste a fondamento della ricordata decisione: ed infatti, anche la nuova legge, attraverso il richiamo all'art. 1 della legge n. 607 del 1966, mantiene fermo il riferimento agli estimi previsti dalla legge 29 giugno 1939, n. 976, senza alcuna revisione successiva oltre a quella apportata dal d.l. C.P.S. 12 maggio 1947, n. 356, con aggancio, quindi, alla "media dei prezzi correnti nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1937 e la fine delle operazioni di revisione". E perciò - così prosegue l'ordinanza - se si tiene conto dei rilevanti fenomeni di svalutazione monetaria verificatasi da allora ad oggi, si deve giungere alla conclusione che il solo aggiornamento del parametro relativo alla reale situazione culturale dei fondi non evita affatto quella dissociazione "tra il momento dell'incidenza indennizzabile sul diritto colpito ed il momento cui va riferito il calcolo di quest'ultimo", che la Corte ha più volte dichiarata illegittima: il canone ed il capitale di affranco assumono il carattere di corrispettivo meramente simbolico e, poiché il diritto di affrancazione si sostanzia nell'espropriazione del fondo, risulta violato il principio costituzionale dell'equo indennizzo.
2. - La stessa questione di legittimità costituzionale é stata sollevata dal pretore di Bovino con ordinanza emessa il 3 febbraio 1972 nel corso di procedimenti riuniti aventi ad oggetto domande di affrancazione. I motivi che il giudice a quo espone sono identici, nella sostanza, a quelli enunciati nell'ordinanza del pretore di Licata, ai quali si aggiunge il rilievo che la dissociazione fra il momento dell'esproprio ed il momento al quale va riferito il calcolo dei canoni e, quindi, del capitale di affranco, é determinata anche dalla circostanza che la possibilità di rettifica della classe e della qualifica dei terreni é rapportata, secondo il disposto della legge impugnata, al tempo della Costituzione del rapporto.
3. - Nel giudizio promosso dal pretore di Bovino si sono costituiti i signori De Paulis Rocco ed altri a la signora D'Emilio Mariantonia, i quali hanno chiesto l'accoglimento della questione.
4. - La discussione delle dette questioni é stata fissata per l'udienza del 4 luglio 1972 e, con ordinanza n. 153 del 14 luglio 1972, la Corte ha ritenuto opportuno acquisire attraverso il Ministero dell'agricoltura e foreste dati ed elementi concernenti: a) il grado di diffusione, dopo il 28 ottobre 1941, della Costituzione di nuovi rapporti enfiteutici o a questi assimilati in base alla legge n. 607 del 1966; b) le cause economiche del fenomeno, con particolare riferimento all'incidenza del ricorso ai benefici previsti dall'art. 11 del d.P.R. 24 febbraio 1948, n. 114, in relazione alle leggi di riforma fondiaria; c) la determinazione dei canoni in comparazione con quelli riguardanti l'affitto di fondi. La Corte ha ritenuto opportuno altresì acquisire, attraverso il Ministero delle finanze, dati concernenti l'esercizio da parte dei concedenti della facoltà, prevista dal secondo comma del denunziato articolo 2 della legge n. 1138 del 1970, di richiedere l'accertamento della qualifica e della classifica catastale corrispondenti alla reale situazione dei fondi alla data di Costituzione dei rapporti.
Entro il termine all'uopo prefissato con la detta ordinanza sono pervenute le notizie come sopra richieste, che risultano allegate agli atti.
5. - É stata quindi nuovamente fissata l'odierna udienza di discussione in cui la Corte é chiamata a pronunciarsi anche in ordine alle stesse questioni sollevate in relazione alla detta legge 18 dicembre 1970, n. 1138, con altre ordinanze dei pretori di Ispica ed Aragona.
6. - Il pretore di Ispica, con due ordinanze di identico tenore emesse l'11 marzo 1972, ha prospettato, nel corso di due procedimenti per affrancazione di fondi enfiteutici, questione analoga alle precedenti per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 42 Cost. aggiungendo peraltro un ulteriore profilo di illegittimità in quanto l'imposizione di un canone unico diverso da quello pattizio concreterebbe una violazione retroattiva dell'autonomia contrattuale privata in difetto di quel "preciso indirizzo e coordinamento per finalità sociali" che soltanto, a norma dell'art. 41 Cost., legittimerebbe l'adozione di limitazioni in materia. Onde risulterebbe violato anche tale precetto costituzionale. É da rilevare poi che nel dispositivo delle dette ordinanze la norma denunziata é stata indicata come l'art. 12 della legge n. 1138 del 1970, concernente disposizioni sulla competenza del pretore in materia.
7. - Il pretore di Aragona in analogo procedimento ha sollevato, con ordinanza del 17 ottobre 1972, questione identica a quella di cui alla citata ordinanza del pretore di Licata.
8. - Nella causa proveniente dal pretore di Ispica si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni, con cui contesta le censure di illegittimità svolte nell'ordinanza di rinvio.
Quanto alla pretesa violazione dell'art. 41 Cost. l'Avvocatura osserva che, diversamente da quanto affermato nell'ordinanza di rinvio, tratterebbesi di limitazioni all'attività economica ampiamente giustificate dalla realizzazione della finalità di correggere il vetusto istituto dell'enfiteusi ad evidenti scopi di equità sociale e di utilità economica generale, onde la questione sarebbe infondata.
Né sussisterebbe la pretesa irrisorietà del prezzo di affrancazione, perché, col sistema di determinazione in esame, il legislatore avrebbe equamente stabilito i limiti della rivalutazione collegandoli al criterio obiettivo costituito dalla qualifica e dalla classe catastale dei terreni al momento della Costituzione del rapporto, completato dalla facoltà del concedente di richiedere la riqualificazione dei terreni stessi. Ciò, secondo l'Avvocatura, sarebbe sufficiente ad escludere fondamento alla censura, tenuto conto che non sarebbe necessario, per l'osservanza del precetto costituzionale, una puntuale corrispondenza tra indennizzo e valore venale.
La difesa delle parti private De Paulis, costituite nella causa proveniente dal pretore di Bovino, ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui esamina anzitutto le risultanze degli accertamenti disposti dalla Corte con l'ordinanza n. 153 del 1972 ed afferma che, in base ai dati tecnici forniti dal Ministero dell'agricoltura e foreste, i canoni enfiteutici calcolati ai sensi delle norme impugnate risulterebbero fortemente ridotti rispetto a quelli che sarebbero applicabili in caso di affitto dei fondi oggetto dell'indagine. Inoltre la Costituzione dei rapporti enfiteutici in Sicilia in epoca successiva alla data del 28 ottobre 1941 e segnatamente intorno al 1950, sarebbe stata motivata non, come parrebbe affermarsi nella relazione ministeriale, dalla intenzione di eludere le leggi in materia di riforma agraria, che esentavano dalle disposizioni limitatrici i fondi concessi in enfiteusi, bensì dall'adeguamento della proprietà fondiaria alle leggi stesse, che avrebbero disposto la esenzione appunto nell'intento di favorire l'istituto enfiteutico.
Nella memoria si torna, poi, a svolgere la censura di illegittimità fondata sulla presunta violazione dell'art. 42 Cost. con ampi riferimenti al sistema di accertamento catastale del reddito dominicale, per ribadire la grave discrasia temporale già posta a base della censura stessa, e la conseguente violazione del principio costituzionale secondo cui ad ogni provvedimento ablativo di carattere reale deve fare riscontro un indennizzo che non sia puramente simbolico.
Ed al riguardo la difesa si richiama alla motivazione della sentenza n. 155 del 1972 della Corte costituzionale, concernente i canoni di affitto dei fondi rustici, per desumerne la iniquità del sistema di valutazione sancito dalle norme impugnate.
La memoria svolge altresì un aspetto di illegittimità (pretesa violazione dell'art. 3 Cost. per effetto della diversa disciplina preferenziale stabilita per le enfiteusi urbane) che peraltro non risulta indicato nelle ordinanze di rimessione attualmente all'esame della Corte.
Considerato in diritto
1. - Le cinque ordinanze di cui in epigrafe sollevano la stessa questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, contenente nuove norme in materia di enfiteusi (soltanto l'ordinanza del pretore di Ispica indica in dispositivo l'art. 12 della predetta legge in luogo dell'art. 2 ma ciò per evidente errore materiale di trascrizione, come risulta chiaro dal contesto dell'ordinanza).
Data l'unicità dell'oggetto, i giudizi possono essere riuniti, per essere decisi con unica sentenza.
2. - La questione é sollevata da tutte le ordinanze in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, con estensione, soltanto da parte delle ordinanze del pretore di Ispica. all'art. 41, primo e terzo comma.
In sintesi, si assume nelle ordinanze che la norma denunciata, attraverso l'espresso richiamo all'art. 1 della precedente legge n. 607 del 1966, mantiene fermo, per i rapporti enfiteutici o assimilati costituiti dopo il 28 ottobre 1941, l'obbligo del riferimento agli estimi previsti dalla legge n. 976 del 1939, senza che il pur disposto aggiornamento del parametro relativo alla qualifica ed alla classe catastale esistenti al momento della Costituzione del rapporto, sia accompagnato dal calcolo dei relativi fenomeni di deprezzamento della moneta, nel frattempo notoriamente verificatisi. Sicché la nuova norma, producendo i suoi effetti sulla misura, esigua, insufficiente e inattuale del capitale di affranco, darebbe luogo allo stesso difetto di legittimità dell'art. 1 legge del 1966, difetto già riconosciuto da questa Corte, in relazione all'art. 42 Cost. con la sentenza n. 37 del 1969.
L'ulteriore richiamo all'art. 41 Cost. é basato dal pretore di Ispica sul motivo che l'imposizione di un canone unico, diverso da quello pattizio, violerebbe retroattivamente l'autonomia contrattuale privata, all'infuori della esistenza di fini sociali da perseguire.
3. - Ciò premesso, la Corte rileva che l'art. 2, in questione, della legge del 1970, costituisce una rinnovata applicazione del richiamato art. 1 della legge n. 607 del 1966: cioè, riafferma il principio della limitazione obbligatoria della misura dei canoni enfiteutici e delle altre prestazioni fondiarie, in corrispondenza al reddito imponibile dominicale del fondo, da determinarsi a norma del d.l. 4 aprile 1939, n. 589 (convertito in legge n. 976 del 1939) rivalutato con i coefficienti di cui al d.l. C.P.S. n. 356 del 1947: ossia, conferma il riferimento al reddito imponibile del fondo, espresso in catasto, ed alle tariffe d'estimo, formate in base ai prezzi del 1939. Risulta, tuttavia, modificato l'ultimo comma dell'art. 1 nel senso di rapportare la qualifica catastale alla data della Costituzione del rapporto anziché al 30 giugno 1939. Tutto ciò con la conseguente correlazione fra ammontare dei canoni, come sopra fissati, e ammontare del capitale di affranco (articolo 9 stessa legge del 1970).
Poiché con la sentenza di questa Corte n. 37 del 1969 il citato art. 1 é stato dichiarato illegittimo "nella parte riguardante i rapporti in esame conclusi dopo il 28 ottobre 1941", occorre ora accertare la legittimità del nuovo regolamento di questi ultimi rapporti, avvenuto con la legge del 1970. In proposito, é dato evincere dagli Atti parlamentari (particolarmente dalle Relazioni illustrative del Disegno di legge) i motivi che hanno indotto all'aggancio dei canoni al reddito imponibile dominicale.
Si é ritenuto di giustificare detto aggancio per considerazioni attinenti: all'antisocialità del monopolio fondiario: alla possibilità di conseguire una parziale esenzione dall'esproprio secondo le leggi di riforma agraria, offerta ai proprietari mediante la concessione in enfiteusi, circostanza, questa, verificatasi prevalentemente nella Regione siciliana: alla connessa onerosità, oltre il carico fiscale, dei canoni enfiteutici, pari e più spesso superiori alle misure dei canoni di affitto, senza più possibilità di revisione, dopo l'abrogazione dell'art. 962 c.c. avvenuta con l'art. 18 legge del 1966.
4. - La Corte osserva che il riferimento al reddito imponibile risultante dai dati catastali, non é, di per sé, da considerare illegittimo. Ciò non é stato smentito, in via di principio, dalla citata sentenza n. 37 del 1969 in tema di canoni enfiteutici: ed é stato, poi, ammesso altresì con la successiva sentenza n. 155 del 1972, che pur concerne una ben distinta fattispecie, quale l'affitto dei fondi rustici, oggetto di diversa disciplina giuridica.
La "utilizzabilità in astratto dei dati catastali" é stata riconosciuta come mezzo possibile per conseguire il riferimento ad un reddito a base orientativa, secondo una media di valutazioni e calcolazioni, atte a condurre, nell'ambito di suddivisioni zonali, regionali e comunali, a risultati di sufficiente approssimazione.
Occorre, tuttavia, tenere distinta la funzione generica del ricorso ai dati catastali dalla misura della loro operatività in concreto, affinché ne sia mantenuta adeguata nei limiti di una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica, a seconda delle modificazioni ricorrenti circa gli elementi di fatto ai quali fare riferimento.
Come si é detto, la sentenza n. 37 del 1969 ha dichiarato l'illegittimità del accennato art. 1 della legge n. 607 del 1966 per i rapporti conclusi dopo la data del 28 ottobre 1941: ciò nel senso, spiegato in motivazione, che i dati catastali del 1939, pur con l'applicazione dei coefficienti stabiliti nel 1947, non rispecchiassero, di per sé, la realtà della situazione successiva sino all'attuale, in relazione ai verificatisi mutamenti dei valori monetari e, quindi, non garantissero la congruità del capitale d'affranco, in riferimento all'art. 42 della Costituzione. Il tutto accompagnato dalla considerazione che i rapporti conclusi dopo il 28 ottobre 1941 erano sorti sotto l'egida dell'art. 962 c.c. che aveva riconosciuto il diritto alla revisione del canone.
Viceversa, l'impugnato art. 2 della legge del 1970 si é limitato ad operare una mera trasposizione dell'art. 1 della legge del 1966, al dichiarato fine di farne "applicazione" senza che vi si rinvenga un collegamento di conseguenzialità con le considerazioni poste a base della precedente sentenza di questa Corte.
L'art. 9 della legge in esame, disponendo come debba operarsi "in ogni caso" l'affrancazione del fondo, si riporta, calcolandolo a una misura pari a quindici volte, ad un canone determinato con riferimento a un lontano tempo anteatto, cioè a quel canone espresso, secondo la citata sentenza n. 155 del 1972 "in moneta del 1939" e, quindi, inaccettabile per la sua distanza dai valori reali.
5. - La nuova legge ha, bensì mutato la precedente nel punto riguardante la qualifica e la classe catastale, ragguagliate ora alla data della Costituzione del rapporto, ed ha altresì riconosciuto al concedente la facoltà di chiedere nuovo accertamento di diversa qualifica a quella data. Tali innovazioni rispondono soltanto ad uno dei criteri accennati nella precedente sentenza, ma non esauriscono la più vasta tematica suscitata dal problema, quale ivi posta in primaria evidenza. Ciò perché é stato pur sempre mantenuto il calcolo dei valori in termini di reddito imponibile dominicale, secondo le tariffe d'estimo stabilite a norma del r.d.l. n. 589 del 1939 ed anche la possibilità di revisione del classamento comporta pur sempre l'applicazione di dette tariffe.
La regolamentazione dell'istituto, adottata, sul punto, dalla nuova legge, continua a rimanere carente di quegli elementi che, al fine di un'equa determinazione dei canoni e dei capitali di affranco, consenta di soddisfare le esigenze espresse dall'art. 42 della Costituzione.
6. - Va ricordato che nell'anno 1948, quando già erano in corso di preparazione le leggi di riforma fondiaria, fu emanato il d.legisl. 24 febbraio n. 114 (ratificato con legge 22 marzo 1950, n. 144) contenente provvedimenti a favore della piccola proprietà contadina, con il quale venivano accordate agevolazioni fiscali per le concessioni in enfiteusi di fondi rustici a favore di lavoratori manuali della terra non proprietari (art. 1) e veniva altresì dichiarato (art. 11) che nella eventualità di disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria privata, non si sarebbe tenuto conto, nell'applicazione del limite, di una superficie pari a quella dei terreni venduti o ceduti in enfiteusi. Tale disposizione fu, poi, espressamente confermata con l'art. 20, ultimo comma, della legge 21 ottobre 1950, n. 841, per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini (cosiddetta legge stralcio) e, infine, abrogata solo a distanza di tempo con legge 1 febbraio 1956, n. 53. Questo particolare trattamento, riservato ai rapporti di enfiteusi, risulta, quindi, inserito nel quadro generale dei provvedimenti diretti ad attuare, mediante la riforma fondiaria, lo sviluppo della proprietà contadina. Ciò appare tanto più plausibile, ove si tenga presente la natura tradizionale dell'enfiteusi avente già come dato caratteristico, espresso dalla distinzione tra dominio utile e dominio diretto, la compressione del diritto di proprietà sino al minimo, e la concessione all'enfiteuta del diritto di affrancazione.
La divisata riforma fondiaria, ha, poi, conseguito attuazione con l'emanazione della accennata legge 12 maggio 1950, n. 230, contenente provvedimenti per la colonizzazione dell'Altipiano della Sila e dei territori jonici contermini e con la legge 21 ottobre 1950, n. 841, contenente norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini. (Aggiungasi, con pari indirizzo, la legge regionale siciliana 27 dicembre 1950, n. 104).
É da rilevare che nell'una e nell'altra legge nazionale del 1950 (nonché nella legge regionale siciliana) é stato disposto il modo di determinazione della indennità di espropriazione, mediante "commisurazione ai valori definitivamente stabiliti per l'applicazione della imposta straordinaria progressiva sul patrimonio istituita con d.legisl. 29 marzo 1947, n. 143" (art. 7 legge n. 230 e art. 18 legge n. 841). Il che ha consentito e consente di pervenire, in quel caso, alla determinazione di una indennità di espropriazione pari ai valori medi dei terreni per il periodo 1 luglio 1946 - 31 marzo 1947 calcolati mediante applicazione al reddito imponibile dominicale, risultante dalla revisione degli estimi disposta con la ricordata legge del 1939, di coefficienti-base di maggiorazione, stabiliti e pubblicati man mano dalla Commissione censuaria centrale, per zone economico-agrarie e per tutti i Comuni censuari. Sulla legittimità costituzionale di questo metodo, concernente la misura della indennità espropriativa, riferita ai valori accertati per l'imposta straordinaria sul patrimonio, questa Corte si é pronunciata con sentenza n. 61 del 1957, riconoscendo che "ciò ben rientra nell'ambito della valutazione, di competenza del legislatore, di quel minimo di contributo e di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione può garantire all'interesse privato".
7. - Ciò posto, la Corte ritiene che i capitali di affranco previsti dalla norma impugnata (pur tenendo conto che si tratta della sola acquisizione del dominio diretto e che - medio tempore - i concedenti hanno goduto dei canoni) non possono essere inferiori ai valori che agli stessi terreni sarebbero stati attribuiti nel caso di espropriazione attuata in applicazione delle leggi di riforma agraria. E perciò - soddisfacendo tali valori gli interessi protetti dalla norma costituzionale di raffronto - l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 1138 del 1970 va dichiarata limitatamente alla parte in cui tale norma prevede il calcolo del capitale di affranco e la determinazione autoritativa dei canoni, nel modo innanzi descritto, anziché col ricorso ai criteri stabiliti all'articolo 7 della legge n. 230 del 1950 e all'art. 18 della legge n. 841 dello stesso anno.
Resta naturalmente il potere del legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, di dettare una diversa disciplina, purché al concedente sia garantito un capitale di affranco (e corrispondentemente un canone) non inferiore a quello che risulta dalle menzionate disposizioni in tema di esproprio.
8. - Dati i suesposti motivi rimane assorbita la particolare questione sollevata dal pretore di Ispica in relazione all'art. 41 Cost. (pretesa violazione dell'autonomia contrattuale): questione, d'altra parte, già riconosciuta non fondata con la precedente sentenza n. 37 del 1969.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 - nuove norme in materia di enfiteusi -, nella parte in cui non determina il valore dei capitali di affranco secondo i criteri stabiliti dall'art. 7 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (provvedimenti per la colonizzazione dell'Altopiano della Sila e territori contermini), e dall'art. 18 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione e assegnazione dei terreni ai contadini), nonché il correlativo valore dei canoni enfiteutici nella quindicesima parte di quegli stessi capitali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Giovanni BATTISTA BENEDETTI – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 18 luglio 1973.