SENTENZA N. 83
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2736, n. 2, del codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 5 dicembre 1969 dal tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra la società Esercizio Stabilimenti Litex di Vittorio Azario e C. e la società Lanificio fratelli Canale, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 2 settembre 1970;
2) ordinanza emessa il 4 gennaio 1971 dal pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Mammì Maurizio e la società Indart, iscritta al n. 94 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 106 del 28 aprile 1971;
3) ordinanza emessa il 30 marzo 1971 dal pretore di Milazzo nel procedimento civile vertente tra Nania Giuseppe e De Gaetano Umberto, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 30 giugno 1971.
Visti gli atti di costituzione delle società Litex e Lanificio Canale e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1972 il Giudice relatore Michele Fragali;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Tre ordinanze, rispettivamente del tribunale di Torino (5 dicembre 1969), del pretore di Roma (4 gennaio 1971) e del pretore di Milazzo (30 marzo 1971), hanno proposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 2736, n. 2, del codice civile, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
La norma denunciata attribuisce al giudice il potere di deferire d’ufficio ad una delle parti il giuramento suppletorio quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova, ovvero al fine di stabilire il valore della cosa domandata se non si può accertarlo altrimenti.
Tutte e tre le ordinanze osservano che la norma stessa pregiudicherebbe le posizioni d’eguaglianza e di difesa delle parti.
Il tribunale di Torino aggiunge che tale pregiudizio deriva dalla natura ed efficacia della particolare figura di giuramento, anzitutto perché é impedito alla parte non giurante di opporre altri mezzi probatori e quindi le preclude ogni ulteriore difesa, tanto in primo grado che in appello, in secondo luogo per il potere attribuito al giudice in materia d’ammissibilità del giuramento e di scelta della parte cui deve essere deferito.
Il pretore di Roma, a sua volta, rileva che l'impossibilità per la parte contro cui il giuramento é prestato di fornire, nell'ulteriore corso del giudizio, altri mezzi di prova a sostegno delle proprie ragioni appare consona alla natura del giuramento decisorio, che é deferito o riferito dalla parte sulla base del suo potere dispositivo della lite, ma non é coerente con i caratteri del giuramento suppletorio, che é deferito dallo stesso organo giurisdizionale.
2. - Innanzi a questa Corte si sono costituite unicamente le parti del giudizio svoltosi innanzi al tribunale di Torino: da un lato la società Litex e dall'altro il Lanificio Canale.
Soltanto in questa causa é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
La Litex si é rifatta agli argomenti esposti dal tribunale di Torino ed agli altri da essa Prospettati dinanzi al giudice di merito sulla base della violazione dell'art. 24 della Costituzione, sotto l'ulteriore profilo che il giuramento suppletorio é diretto a rimettere la decisione della controversia alla coscienza di uno dei contendenti anziché al convincimento del giudice: esso dà alla prova della parte giurante un valore privilegiato rispetto alla prova prodotta dall'altra parte, mentre la prova semipiena equivale a mancanza di prova.
Il Lanificio Canale ha obiettato che il provvedimento del giudice che ammette il giuramento suppletorio deve essere motivato in modo che ne sia possibile un adeguato controllo, che é ammissibile la revoca dell'ordinanza che dispone il giuramento e che l’efficacia data al giuramento prestato é l'effetto di una preclusione alla quale la Costituzione non é ostile come per ogni ipotesi di preclusione.
Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che il giuramento suppletorio é un mezzo di prova che si aggiunge agli altri per completarne l'efficacia, il potere del giudice di deferirlo attiene al momento della valutazione degli elementi processuali acquisiti, quando le parti hanno pienamente usufruito del diritto di difesa e svolto ogni attività ritenuta utile per l'apporto d’elementi di cognizione a proprio favore, che l'istituto si collega all'obbligo del giudice di provvedere comunque sulla domanda, che il ricorso ad esso é subordinato alla valutazione degli elementi acquisiti, conformemente a criteri che non sono lesivi del principio d’uguaglianza o del diritto di difesa, che l'ammissione del giuramento suppletorio non é legata a criteri discriminatori fondati su una determinata posizione di una delle parti.
3. - La Litex ha presentato memoria nella quale ha ribadito l'assunto della illegittimità costituzionale della norma denunziata.
All'udienza dell'8 marzo 1972 é intervenuto soltanto il rappresentante dell'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha confermato le proprie tesi e conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La Corte non ritiene che l'equiparazione degli effetti del giuramento suppletorio a quelli del giuramento decisorio produca quelle conseguenze lesive dei principi d’uguaglianza e di difesa che denunciano le ordinanze indicate in epigrafe.
Secondo la giurisprudenza prevalente, gli effetti della prestazione del giuramento suppletorio non possono essere contrastati con altri mezzi di prova; ma ciò accade perché il giudice deferisce il giuramento quando le parti hanno avuto pieno modo e tempo di esercitare il rispettivo potere dispositivo sul materiale istruttorio. Ed ha avuto modo e tempo di esplicare questo potere anche la parte contro la quale operano gli effetti predetti, perché essa sa che il giudice può deferire il giuramento ove le prove non siano mancanti, e tuttavia non offre né mezzi istruttori né argomenti che potrebbero escludere il valore semipieno a quelli dedotti o esibiti. Vero é che nemmeno in appello é ammessa prova che contraddica ai risultati del giuramento suppletorio; ma é consentito in appello il sindacato sull'apprezzamento del giudice di primo grado circa l'esistenza della prova semipiena, cosicché non é nemmeno esatto che la prestazione del giuramento suppletorio non permette ulteriori difese. Le permette anche nella sede penale, e con notevole ampiezza nel confronto con la sede civile, dato che nel processo penale la parte si avvantaggia delle iniziative del pubblico ministero e del giudice, le quali allargano enormemente a suo favore la possibilità di indagare sulla verità.
Non si obietti che un sistema del genere converte in azione di risarcimento del danno da falsità la domanda diretta al conseguimento del bene conteso o l'eccezione che contrasta il fondamento di tale domanda: la Corte, sia pure a proposito di fattispecie diverse da quella in esame (sentenza 3 luglio 1962, n. 87 e 17 dicembre 1968, n. 138), ha ritenuto che tale conversione non sia riprovata dalla Costituzione. La scelta legislativa del tipo d’azione concesso alla parte si connette infatti al modo di organizzare la tutela giurisdizionale: deve riaffermarsi che il precetto costituzionale che garantisce tale tutela non toglie alla legge ordinaria la competenza a regolarne i modi e l'efficacia, né afferma che il cittadino deve ottenere protezione sempre in una stessa maniera e con i medesimi effetti. Conta soltanto che si reintegri la sfera giuridica lesa; e la condanna a prestare l'id quod interest porta senz'altro a tale risultato.
2. - Le considerazioni sopra svolte assorbono quelle esposte dalla parte privata nella memoria; le quali, o spostano il profilo prospettato nell'ordinanza, il cui ambito non può essere superato dalla Corte, oppure ripropongono profili che il giudice di merito ha insindacabilmente ritenuto di non dovere prospettare, perché per lui non appaganti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2736, n. 2, del codice civile, sollevata, con le ordinanze riportate in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 1972.
Giuseppe CHIARELLI - Michele FRAGALI
Depositata in cancelleria il 4 maggio 1972.