Sentenza n. 179 del 1971
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SENTENZA N. 179

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Michele FRAGALI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla "disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande", promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 1969 dal pretore di Bitonto nel procedimento penale a carico di Lovero Antonia e La Fortuna Luigi, iscritta al n. 444 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 7 gennaio 1970.

Visti gli atti di costituzione di Luigi La Fortuna e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1971 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Antonia Lovero e di Luigi La Fortuna - imputati della contravvenzione prevista dagli artt. 5, lett. d, ultimo comma, e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla "disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande" - il pretore di Bitonto ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla difesa del La Fortuna, concernente l'art. 1, terzo comma, della predetta legge.

Nell'ordinanza di rimessione, emessa il 7 novembre 1969, si osserva che la disposizione, in quanto non impone che, qualora l'analisi del prodotto accerti la sua non corrispondenza ai requisiti fissati dalla legge, il risultato venga comunicato, oltre che all'esercente presso il quale é stato effettuato il prelievo, anche ad altri esercenti che possano essere ritenuti responsabili della irregolarità, pone questi ultimi in condizione di non poter esercitare quel mezzo di difesa - l'istanza di revisione dell'analisi - che il quarto comma prevede per tutti gli interessati, con la conseguente violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto inviolabile di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.).

2. - Nel presente giudizio si é costituito, con atto del 22 novembre 1969, il signor Luigi La Fortuna ed é intervenuto, con atto del 20 gennaio 1970, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

3. - La difesa del La Fortuna, premessa un'esposizione dei fatti di causa, mette in evidenza che il suo assistito, sottoposto a procedimento penale con l'imputazione di aver venduto all'esercente Lovero la partita di formaggio dalla quale erano stati prelevati i campioni, non ricevette alcuna comunicazione del risultato dell'analisi e, quindi, non fu posto in grado di impugnarla attraverso la richiesta di revisione, con la conseguenza di trovarsi poi di fronte ad un già compiuto atto processuale del quale é consentita la lettura in dibattimento e che costituisce legittima fonte di convincimento del giudice. Tutto ciò - così prosegue la difesa - determina una disparità di trattamento fra l'esercente presso il quale é stato fatto il prelievo e gli altri soggetti che pur sarebbero interessati ad impugnare la prima analisi, in contrasto sia con l'art. 3 che con l'art. 24 della Costituzione: la violazione di quest'ultimo é di tutta evidenza in base ai principi affermati da questa Corte e secondo i quali all'indiziato di reato deve essere assicurato un minimo di difesa personale e tecnica.

L'atto di costituzione si conclude con la richiesta che la questione proposta dall'ordinanza di rimessione sia riconosciuta fondata.

4. - L'Avvocatura dello Stato, dopo aver espresso, sulla base dei dati desumibili dalla rubrica di imputazione premessa all'ordinanza di rinvio, qualche dubbio sulla rilevanza della questione, sostiene che questa é infondata. A conforto di tale tesi si richiama il principio - enunciato in via generale nella sentenza n. 86 del 1968 e ribadito, proprio a proposito dalla legge n. 283 del 1962, nella sentenza n. 149 del 1969 - secondo il quale la linea di demarcazione fra indagini generiche ed atti istruttori coincide col momento in cui un soggetto risulti indiziato di reato: a tale principio é conforme la disposizione ora impugnata, perché l'esito sfavorevole della prima analisi fa sorgere un indizio solo nei confronti dell'esercente presso il quale é stato effettuato il prelievo e, se si tratti di confezione originale, nei confronti del produttore. Indizi a carico di altri soggetti possono sorgere attraverso ulteriori indagini, non disciplinate dalla legge speciale e dal relativo procedimento di prelievo, analisi e revisione: né riguarda la denunziata disposizione il più ampio problema del valore e dell'efficacia degli accertamenti generici di polizia giudiziaria nei confronti di coloro che solo successivamente risultino indiziati. Per queste ragioni, ad avviso dell'Avvocatura, la questione risulta infondata sia in riferimento all'art. 24 che all'art. 3 della Costituzione, essendo evidente, per quanto riguarda quest'ultimo, che la posizione dell'esercente presso il quale é stato effettuato il prelievo é diversa da quella di chi gli ha fornito la merce, perché solo nei confronti del primo il risultato dell'analisi fa sorgere un indizio di reità.

5. - Nell'udienza pubblica l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle sue deduzioni e conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - L'art. 1, terzo comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283, sulla "disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande" prescrive che, ove attraverso l'analisi compiuta dai competenti laboratori si accerti che i campioni prelevati non corrispondono ai requisiti fissati dalla legge, il risultato venga comunicato "all'esercente presso cui é stato fatto il prelievo" e, se si tratti di merce "in confezioni originali", al produttore.

Ad avviso del giudice a quo, tale disposizione, nella parte in cui esclude che la predetta comunicazione venga fatta anche ad altri esercenti che possano essere ritenuti responsabili dell'irregolarità del prodotto, ingiustificatamente non pone costoro in condizione di esercitare quel mezzo di difesa (istanza di revisione dell'analisi) che il quarto comma dello stesso articolo mette a disposizione di tutti "gli interessati": con ciò violando sia il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) sia il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.).

2. - Questa Corte in numerose pronunzie ha ritenuto che, nell'osservanza del precetto enunciato dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, la legge deve garantire il diritto di difesa a partire dal momento in cui l'indizio di reato "si soggettivizza nei confronti di una determinata persona". Di tale principio fu fatta specifica applicazione proprio a proposito della legge n. 283 del 1962 (sent. n. 149 del 1969) e ad esso si ispirano le modifiche apportate dalla legge 5 dicembre 1969, n. 932, all'art. 78 del codice di procedura penale.

Posta questa premessa e rilevato che quando l'analisi del prodotto alimentare ne accerta l'irregolarità sorge un indizio di reato (cfr. sent. n. 149 del 1969), occorre verificare se la disposizione ora impugnata metta tutti gli indiziati in condizione di esercitare la propria difesa attraverso l'istanza di revisione. É ovvio che la questione non investe il problema, al quale accenna la difesa dello Stato, dell'efficacia degli atti di polizia giudiziaria nei confronti dei soggetti che solo successivamente al loro compimento acquistino la posizione di indiziati di reato: più limitatamente, invece, essa riguarda la ipotesi nella quale, nel momento in cui si conclude l'analisi, venga a risultare indiziato di reato, secondo i criteri fissati dall'art. 78 cod. proc. pen., anche un soggetto diverso dall'esercente presso il quale era stato effettuato il prelievo del prodotto alimentare.

Così delimitata, la questione appare fondata. Si può prescindere dal risolvere il dubbio se la legge, conferendo agli "interessati" (art. 1, quarto comma) il diritto di chiedere la revisione dell'analisi, si riferisca solo ai soggetti indicati nel comma precedente come destinatari della comunicazione del risultato dell'analisi ovvero, più in generale, a chiunque possa aver interesse alla revisione. Anche se si potesse accogliere questa più larga interpretazione, resterebbe pur sempre certo che solo l'esercente presso il quale é stato fatto il prelievo ed il produttore in caso di alimenti "in confezioni originali" vengono informati della riscontrata irregolarità e sono posti in grado di richiedere, in un termine perentorio, che si proceda alla revisione, con quelle garanzie processuali che la citata sent. n. 149 del 1969 ha assicurato. Di modo che qualsiasi altro, diverso soggetto, anche se in base ai già compiuti atti di polizia giudiziaria sia coinvolto nell'indizio di reità, vien messo in condizione di ignorare l'esito sfavorevole dell'analisi e di non poter esercitare quella difesa che si realizza attraverso la richiesta di revisione. Per questa parte, dunque, non é dubbio che la disposizione denunziata opera una ingiustificata discriminazione fra i soggetti indiziati di reato, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost., e non assicura a tutti quel diritto che l'art. 24, secondo comma, Cost. definisce come "inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".

3. - I limiti entro i quali la disposizione impugnata, per quanto innanzi si é detto, risulta costituzionalmente illegittima, impediscono di dichiarare, come richiede il giudice a quo, l'illegittimità delle parole "presso cui é stato fatto il prelievo", giacché con tale dichiarazione, imponendosi l'obbligo della comunicazione all'"esercente" senza adeguata specificazione, si andrebbe al di là di quanto é necessario per garantire il diritto di difesa, in condizione di parità, a tutti coloro - e solo ad essi - che nel momento in cui l'analisi accerta l'irregolarità del prodotto vengono a risultare, allo stato degli atti, indiziati di reato. E pertanto l'art. 1, comma terzo, della legge 30 aprile 1962, n. 283, deve essere dichiarato illegittimo solo nella parte in cui esclude l'obbligo della comunicazione a tutti coloro che in base agli atti risultino indiziati di reato.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 30 aprile 1962, n. 283 (contenente disposizioni sulla "disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande"), limitatamente alla parte in cui esclude l'obbligo della comunicazione dell'esito dell'analisi anche a quei soggetti che in base agli atti di polizia giudiziaria già compiuti risultino indiziati di reato.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1971.

Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 17 novembre 1971.