Sentenza n. 82 del 1971
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SENTENZA N. 82

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 285, primo comma, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1969 dal tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Buttazzo Crescenzio, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del 9 luglio 1969.

Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1971 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio.  

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 30 aprile 1969 - emessa nel procedimento penale a carico di Crescenzio Buttazzo - il tribunale militare territoriale di Padova ha sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente il primo comma dell'art. 285 del codice penale militare di pace.

Dopo aver esposto i motivi che inducono ad affermare la sussistenza della rilevanza della questione, il tribunale osserva che la citata disposizione, nella parte in cui consente che il tribunale supremo militare, su istanza del procuratore generale, possa rimettere il procedimento da uno ad altro tribunale per "motivi di servizio" contrasta col principio costituzionale secondo il quale "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" (art. 25, primo comma, Cost.). Ad avviso del giudice a quo, infatti, quale che sia la possibile interpretazione dei motivi di servizio idonei a giustificare lo spostamento di competenza, la disposizione impugnata é fonte di una illimitata discrezionalità che si risolve in una violazione dei diritti dell'imputato: lo dimostrerebbero la circostanza che la prestazione del servizio militare in un determinato reparto può essere variata in ogni tempo da organi diversi da quelli della giustizia militare, il fatto che la rimessione può essere disposta solo su iniziativa discrezionale del procuratore generale e, infine, la considerazione che, comunque, al principio del giudice precostituito per legge non si può portare eccezione che non sia strettamente collegata ad interessi di giustizia.

2. - Innanzi a questa Corte non si é costituita la parte privata né é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. E pertanto, ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la causa viene decisa con la procedura della camera di consiglio.  

Considerato in diritto 

1. - L'art. 285, primo comma, del codice penale militare di pace consente che, in ogni stato del procedimento di merito, il tribunale supremo militare possa disporne la rimessione da uno ad altro tribunale militare, su richiesta del procuratore generale, ove sussistano "motivi di ordine pubblico, di servizio o di disciplina". Questa disposizione, limitatamente alla parte concernente i "motivi di servizio", viene denunciata dal tribunale militare di Padova in riferimento all'art. 25, primo comma, della Costituzione.

2. - La questione é fondata.

Già con sentenza n. 119 del 1957 questa Corte, occupandosi di un particolare aspetto dell'istituto della rimessione dei procedimenti penali militari, riscontro un vizio di legittimità costituzionale in quella parte del secondo comma dell'art. 285 c.p.m.p. che escludeva la motivazione della decisione demandata al tribunale supremo militare. É evidente, tuttavia, che la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale di quella disposizione, pronunziata con la ricordata sentenza, non é di per sé sufficiente, come esattamente osserva il giudice a quo, a far ritenere risolto anche il problema, ora proposto, concernente il rispetto del principio costituzionale secondo il quale "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" (art. 25, primo comma, Cost.). Ed invero, se l'obbligo della motivazione - che l'art. 111 della Costituzione impone per ogni provvedimento giurisdizionale - tende a garantire la corrispondenza della decisione del caso concreto alla fattispecie normativa, l'art. 25, primo comma, della Costituzione esige, secondo i principi numerose volte affermati da questa Corte, che la legge predetermini i criteri di individuazione del giudice competente e circoscriva con limiti adeguati le ipotesi nelle quali, a regiudicanda già insorta, si possa spostare la competenza da uno ad altro giudice. Ed é proprio sulla base della copiosa giurisprudenza costituzionale in materia che la disposizione in esame risulta illegittima.

Nessun dubbio può sussistere sulla portata assolutamente generale del principio enunciato nella norma costituzionale di raffronto e, quindi, sulla sua applicabilità anche ai procedimenti penali militari (cfr. sent. n. 29 del 1958); e nessun dubbio può perciò nutrirsi sulla conseguente esigenza che anche in ordine a siffatti procedimenti il potere di spostare la competenza da un tribunale ad un altro sia condizionato a fattispecie preventivamente descritte dalla legge con delimitazioni sufficienti ad escludere un'illimitata discrezionalità. A tali requisiti non risponde, nella parte impugnata, il primo comma dell'art. 285 c.p.m.p., perché l'espressione "motivi di servizio" consente, con la sua estrema genericità, che la rimessione dei procedimenti possa essere richiesta dal procuratore generale e possa essere disposta dal tribunale supremo in una gamma di ipotesi praticamente senza confini e perciò indefinibile: il che é quanto dire che la legge viene meno all'obbligo costituzionale derivante dall'art. 25, primo comma, della Costituzione e vanifica la garanzia che l'imputato venga giudicato dal giudice naturale precostituito. Con ciò non si vuol dire che la disposizione in esame possa perfino consentire che determinate ragioni di servizio siano predisposte proprio allo scopo di provocare uno spostamento della competenza del giudice: ove tali arbitri avessero a verificarsi, ad essi porrebbe sicuro riparo la circostanza che la valutazione della situazione é affidata al procuratore generale in sede di richiesta ed al tribunale supremo in sede di decisione, vale a dire ad organi che nell'esercizio delle loro funzioni operano in una posizione di indipendenza e di imparzialità. Ma quel che conta ai fini della presente decisione é che questi organi non trovano nella disposizione impugnata una descrizione della fattispecie delimitata in modo da consentire che possa valutarsi a quale situazione obiettiva debba seguire l'attribuzione del procedimento ad un giudice diverso da quello che dovrebbe conoscerne in base alle norme che in via generale disciplinano le competenze.

3. - In base alle considerazioni esposte la questione deve essere accolta e l'art. 285, primo comma, c.p.m.p. deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte relativa ai "motivi di servizio".  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 285, primo comma, del codice penale militare di pace nella parte relativa alle parole "di servizio".  

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 26 aprile 1971.