SENTENZA N. 47
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli da 82 a 87 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 10 gennaio 1969 dal tribunale di Busto Arsizio nel procedimento civile vertente tra gli eredi di Gallazzi Carletto e Cattaneo Giuseppina, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969.
Visti gli atti di costituzione di Gallazzi Giuseppe e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1971 il Giudice relatore Michele Fragali;
uditi l'avv. Carlo Fornario, per il Gallazzi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il tribunale di Busto Arsizio ha promosso questione di legittimità costituzionale della norma dell'art. 83 del codice di procedura civile che determina gli atti del processo sui quali può essere apposta la procura del difensore: secondo l'ordinanza (10 gennaio 1969) tale norma é causa di illegittima limitazione del diritto di difesa, perché dalla sua inosservanza deriva la nullità di tutta l'attività processuale della parte per un motivo di indole formale, e un impedimento alla stessa di sostenere le proprie ragioni. La questione, a giudizio del tribunale, coinvolge la legittimità costituzionale di tutte le norme relative ai difensori, contenute nell'art. 82 e negli articoli da 84 a 87 stesso codice, le quali condizionano il diritto di difesa all'obbligo della parte di provvedersi di un difensore e la costringe a sopportare le conseguenze del comportamento processuale di quest'ultimo. Si ritiene che, in tal modo, restano limitati i poteri del giudice, come risulta dal confronto fra l'art. 183, secondo comma, codice predetto e il successivo art. 316 riguardante il giudizio innanzi al pretore; resta assorbito nel potere del difensore il principio dispositivo, a differenza di ciò che accade nel processo penale, in cui la difesa affianca e non sopprime quella diretta del giudicabile; si disconosce il diritto di difendersi direttamente alla parte che ha le capacità tecniche e non é iscritta nell'albo professionale. Si tratterebbe di norme le quali intendono tutelare la categoria dei procuratori legali che abbiano provveduto a tale iscrizione o possono ottenerla, risultando giustificate nel sistema politico corporativistico nel quale esse ebbero origine, ma non in un ordinamento, come l'attuale, che riconosce inviolabile il diritto alla tutela giurisdizionale. Non conterebbe opporre che la parte ha il diritto al risarcimento del danno prodottole dal difensore, perché questo diritto non attua quello del quale aveva chiesto la tutela giurisdizionale, e può essere esercitato soltanto nel caso di colpa grave del difensore, che la parte non é in grado di desumere dalla sentenza del giudice e comunque é di difficile accertamento.
2. - É comparsa innanzi alla Corte la parte attrice del giudizio di merito ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Entrambi escludono che la questione proposta sia rilevante ai fini della decisione cui il tribunale é chiamato. L'attrice aveva eccepito la nullità della procura rilasciata dalla convenuta in calce alla citazione dopo l'espletamento di prove orali e la presentazione di scritti difensivi da parte di altro procuratore legittimato in eguale modo; ed essa oggi rileva che il decidere se la procura era valida e se la nullità era sanabile non postulava necessariamente l'indagine sulla legittimità costituzionale della norma di esclusività della difesa tecnica nel processo civile collegiale. A sua volta il Presidente del Consiglio osserva che, essendo certo che la seconda procura era stata rilasciata, come la prima, in calce alla citazione, non poteva prospettarsi il dubbio sulla sua nullità; e rileva ancora che la revoca della prima procura, conseguente al rilascio della seconda, non avrebbe potuto avere effetto fino alla comunicazione all'altra parte.
Nel merito entrambi i comparenti oppongono l'infondatezza della questione.
L'attrice rileva che l'assistenza del difensore tecnico é voluta dalla legge per rendere concreto ed effettivo il diritto di difesa, in relazione al fatto che la difesa in giudizio coinvolge interessi generali e pubblici, tanto che l'art. 359, primo comma, del codice penale la qualifica servizio di pubblica necessità; richiama la sentenza di questa Corte 8 marzo 1957 n. 46, che la intende come potestà effettiva dell'assistenza tecnica e professionale nello svolgimento del processo; pone in risalto che la critica svolta dal giudice a quo in merito all'obbligatorietà della difesa tecnica non tiene conto dei gravi pregiudizi che la parte subirebbe ove questa difesa non venisse imposta; infine considera che la responsabilità del professionista é limitata dall'art. 2236 del codice civile alla colpa grave soltanto quando la prestazione implica la soluzione di problemi di speciale difficoltà.
Il Presidente del Consiglio obietta al tribunale di Busto Arsizio che il precetto costituzionale da questo invocato non vieta che la legge ordinaria possa subordinare a determinate modalità l'esercizio del diritto da esso garantito, purché non lo si renda impossibile: la parte é libera di scegliere il proprio difensore e di revocargli il mandato.
3. - All'udienza del 13 gennaio 1971 i difensori hanno confermato le conclusioni prese.
Considerato in diritto
1. - La Corte non ritiene di accogliere l'istanza delle parti comparse di rimettere gli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza della questione proposta.
Le parti predette sostengono, come si é detto, che, essendosi discusso, dinanzi al tribunale, se era valida la seconda procura rilasciata dal convenuto in calce alla citazione, non era necessario indagare se é conforme alla Costituzione la norma che impone, nei giudizi collegiali, la difesa a mezzo di iscritti in albi professionali. Sennonché quando il tribunale ha osservato che l'eccezione concernente la procura riguardava una nullità insanabile, rilevabile di ufficio, ha affermato implicitamente, anche se in modo poco chiaro, che, a suo avviso, la nullità eccepita si era verificata. Così essendo, la questione di costituzionalità doveva servire al fine di verificare se effettivamente dalla nullità della procura derivasse la conseguenza che la parte non potesse ritenersi presente nel processo di merito, e se le si potessero imputare gli atti compiuti dal secondo difensore: codesta verifica avrebbe potuto essere utile soltanto se si fosse ritenuto che viola il diritto di difesa l'obbligo, fatto alla parte dall'art. 82 codice di procedura civile, di servirsi di un difensore qualificato per agire in giudizio. Donde era logico che il tribunale considerasse rilevante la questione in esame.
2. - Essa é però del tutto infondata.
Il tribunale ha opinato che lede il diritto di difesa la norma denunziata. Questa Corte però ha ripetutamente deciso che la legge ordinaria può subordinare a modalità particolari l'esercizio di quel diritto, con il solo limite che la sua esplicazione non ne risulti impossibile o estremamente difficile. Nella specie questo limite non é stato superato dall'art. 83 cod. proc. civ. Il quale non toglie alla parte ogni potere di scelta fra i procuratori e gli avvocati iscritti negli albi, che é il più ampio; e può liberamente revocare il mandato conferito per il giudizio; se non sia abbiente, ha la protezione che le assicura l'art. 24 terzo comma della Costituzione. Pertanto non rileva, agli effetti della questione proposta, che l'art. 86 cod. proc. civ. neghi lo ius postulandi anche alla parte che, pur avendo cognizioni tecniche, non sia iscritta nell'albo professionale.
Il tribunale del tutto erroneamente ha fatto risalire il sistema denunziato alla volontà della legge di proteggere interessi corporativi: esso non ha tenuto presente il legame che esiste fra il sistema medesimo e il potere disciplinare che spetta ai consigli professionali, come manifestazione di quell'autonomia di governo che é data agli ordini forensi, e che é notoriamente di remotissima tradizione. Questo potere si deve esplicare, secondo l'art. 88, secondo comma, cod. proc. civ., anche ai fini dell'ottemperanza del dovere di lealtà e di probità posto dal primo comma del medesimo articolo; si deve esercitare cioè nell'interesse del buon rendimento della funzione giurisdizionale e quindi nell'interesse generale. Ma il potere suddetto può svolgersi soltanto rispetto agli iscritti negli albi professionali; onde la razionalità del sistema agli effetti della sua costituzionalità.
Nella sentenza 8 marzo 1957, n. 46, la Corte ritenne che il diritto di difesa deve essere inteso come potestà effettiva dell'assistenza tecnica e professionale in qualsiasi processo; e al compito del difensore diede una importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale, tanto da opinare che esso può considerarsi esercizio di funzione pubblica. Le dette considerazioni non vengono adeguatamente contrastate dal tribunale di Busto Arsizio con l'obiettare che, con il sistema vigente, nell'ipotesi di negligenza del difensore, il diritto di difesa si risolve in un diritto al risarcimento dei danni, di difficile attuazione; e non basta nemmeno dedurre che il sistema stesso pone il principio dispositivo alla mercé del difensore.
Il diritto di difesa non può essere stato garantito dalla Costituzione fino a rendere inefficaci le preclusioni che la negligenza del difensore può provocare, data la libertà della scelta che spetta alla parte; così come non potrebbe ritenersi che la Costituzione abbia assicurata alla parte una difesa fino ad indulgere sulle preclusioni che analoghe negligenze della stessa possano causare ove le spettasse lo ius postulandi.
Quanto all'assorbimento del principio dispositivo nel potere del difensore, la Corte rileva che quest'ultimo non può astenersi dal dar notizia al cliente delle posizioni che egli va assumendo nel processo; e la parte presta il suo assenso al comportamento del proprio difensore se, avuta quella notizia, non esercita il proprio diritto di revoca.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli da 82 a 87 del codice di procedura civile, sollevata dal tribunale di Busto Arsizio con l'ordinanza 10 gennaio 1969, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 16 marzo 1971.