SENTENZA N. 108
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZI'
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 93, secondo comma, 94, primo e secondo comma, e 468 del codice di procedura penale, nonché dell'art. 559, terzo comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 30 gennaio 1969 dal pretore di San Giovanni Valdarno nel procedimento penale a carico di Traquandi Alfredo, iscritta al n. 56 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
2) ordinanza emessa il 7 febbraio 1969 dal tribunale di Arezzo nel procedimento penale a carico di Fantozzi Ubaldo, iscritta al n. 66 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
3) ordinanza emessa il 9 luglio 1969 dal pretore di Postiglione nel procedimento penale a carico di Spiniello Esterina e Valitutto Gerardo, iscritta al n. 373 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969.
Visti gli atti d'intervento del presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1970 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 30 gennaio 1969, nel corso del procedimento penale a carico di Traquandi Alfredo, il pretore di San Giovanni Valdarno ha proposto, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 93, comma secondo, e 94, commi primo e secondo, del codice di procedura penale in relazione agli artt. 24, comma secondo, e 3, comma primo, della Costituzione.
Le norme impugnate dispongono che la dichiarazione costitutiva di parte civile nel processo penale può essere proposta nel procedimento di primo grado fino a che non siano state compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento (art. 93, comma secondo, c.p.p.); in tal caso, essa é ricevuta dal cancelliere che assiste all'udienza con atto separato da unirsi al processo verbale, e deve contenere, fra l'altro, a pena di inammissibilità, l'esposizione sommaria dei motivi che la giustificano (art. 94 commi primo e secondo).
Secondo il giudice a quo, le norme impugnate, in quanto consentono alla persona offesa dal reato di introdurre la azione civile direttamente in udienza e di rinviare al momento della discussione la determinazione del quantum del risarcimento, limiterebbero gravemente i diritti di difesa dell'imputato, il quale, non essendo informato con un congruo anticipo delle domande proposte nei suoi confronti, non avrebbe la possibilità di esercitare un reale contraddittorio e una efficace difesa.
L'ordinanza prospetta poi un ulteriore motivo di illegittimità delle norme citate, che contrasterebbero anche con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3, comma primo, della Costituzione, creando una disparità di trattamento, nonostante l'identità della domanda proposta nell'una e nell'altra sede processuale, tra l'imputato, nei cui confronti l'azione civile viene proposta in dibattimento, e il convenuto nel processo civile, la cui difesa é garantita dall'istituto del termine per comparire.
2. - Per motivi sostanzialmente identici a quelli prospettati dal pretore di San Giovanni Valdarno, le stesse questioni di legittimità costituzionale sono state promosse, con ordinanza emessa il 7 febbraio 1969, dal tribunale di Arezzo nel procedimento penale a carico di Fantozzi Ubaldo. L'ordinanza deduce, altresì, con riferimento agli artt. 24, comma secondo, e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art 468 del codice di procedura penale, in quanto la facoltà della parte civile di determinare l'ammontare dei danni in sede di conclusione priverebbe l'imputato della possibilità di difendersi adeguatamente in ordine alla richiesta del quantum, in contrasto con i principi del contraddittorio e della precisazione della domanda, vigenti nel giudizio civile.
3. - Anche il pretore di Postiglione, con ordinanza emessa il 9 luglio 1969 nel corso dei procedimenti penali riuniti a carico di Spiniello Esterina e Valitutto Gerardo, ha proposto le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 93, comma secondo, 94, commi primo e secondo, e 468, comma primo, del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con argomentazioni analoghe a quelle esposte dal pretore di San Giovanni Valdarno e dal tribunale di Arezzo.
Nella suddetta ordinanza viene pure sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 559, comma terzo, del codice penale (relazione adulterina), in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.
4. - Nei giudizi promossi dai pretori di San Giovanni Valdarno e di Postiglione si é costituita, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato la quale chiede che le dedotte questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate non fondate.
Al riguardo l'Avvocatura osserva che la costituzione della parte civile in udienza e la mancanza di un termine a difesa non sembrano menomare le possibilità difensive dell'imputato perché egli non può ritenersi impreparato di fronte ad una simile eventualità a lui di certo non ignota.
Ritiene poi l'Avvocatura che la indeterminatezza iniziale del petitum - consentita dall'art. 95 comma secondo - e il differimento alle conclusioni finali della precisazione dell'ammontare dei danni - consentito dallo stesso articolo e dal 468, comma primo, del codice di procedura penale - nel mentre rispondono a peculiari e razionali esigenze del procedimento civile abbinato e inserito in quello penale, non diminuiscono, o almeno non rendono estremamente difficile, l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato.
Perciò quelle norme non contrasterebbero né con l'art. 3, comma primo, né con l'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
Considerato in diritto
1. - I giudizi come sopra proposti, avendo per oggetto questioni connesse, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
Il pretore di Postiglione solleva nella sua ordinanza, unitamente ad altre relative alla legittimità costituzionale delle norme che concernono la parte civile, anche una questione attinente la legittimità dell'art. 559, comma terzo, del codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.
Poiché però la Corte, con sentenza n. 147 del 1969, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 559, comma terzo, del codice penale, la questione sollevata sulla stessa norma dal pretore di Postiglione va dichiarata manifestamente infondata, mentre le altre sulla parte civile, per essere ad essa connesse, divengono manifestamente irrilevanti.
2. - Il dubbio sulla legittimità costituzionale degli articoli 93, comma secondo, 94, commi primo e secondo, e 468, comma primo, del codice di procedura penate, prospettato alla Corte dal pretore di San Giovanni Valdarno e dal tribunale di Arezzo, investe la intera struttura dell'istituto della parte civile per quanto attiene alla possibilità riconosciutale di costituirsi anche all'udienza, fino al compimento in primo grado delle formalità di apertura del dibattimento, e di esporre, all'atto della costituzione, solo sommariamente i motivi che la giustificano, rinviando alle conclusioni finali la precisazione dell'ammontare dei danni.
Secondo le ordinanze di rimessione, le disposizioni contenute negli articoli citati, innanzi tutto violerebbero, nei confronti dell'imputato, il diritto di difesa (art. 24, comma secondo, Cost.) perché egli, in mancanza di un termine a difesa e di una sufficiente e tempestiva conoscenza dei motivi della richiesta di restituzione e di risarcimento e dell'ammontare dei danni, non potrebbe far valere le sue ragioni e contrastare quelle avversarie.
3. - Le proposte questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.
La costituzione di parte civile della parte offesa dal reato non rappresenta certo per l'imputato una eventualità che egli non possa rappresentarsi sin dal momento in cui é sorta per lui la imputazione e gli é stato reso noto, nei dati sommari del fatto da contenersi in ogni mandato (art. 264 c.p.p.), il nome della parte offesa dal reato. Dalla prevedibilità dell'evento deriva che l'imputato può ben preparare tempestivamente le ragioni della sua opposizione alla costituzione di parte civile, se egli ha da farne valere. E per quanto riguarda le ragioni, di ordine soprattutto formale, che eventualmente sussistano in rapporto all'atto di costituzione, esse possono essere prontamente rilevate e contestate dall'imputato che é assistito, obbligatoriamente, da un difensore.
Nelle ordinanze si insiste molto sull'ampiezza dei poteri spettanti alla parte civile, per sottolineare l'importanza che nel processo rappresenta l'atto della sua costituzione e la conseguente rilevanza di una attività dell'imputato diretta a contrastarne l'ammissione. Ma non si riflette che quei poteri, volti all'accertamento della responsabilità dell'imputato ai fini delle restituzioni e del risarcimento, sono poteri che, per loro natura, in un processo a struttura, almeno parzialmente, accusatoria, trovano la loro estrinsecazione nel dibattimento, che é la sede in cui si accertano in via definitiva i fatti e le loro conseguenze giuridiche; ond'é che non ha rilievo se la parte civile si costituisca prima o all'atto dell'apertura di esso. Uno solo di quei poteri, quello che attiene alla deduzione delle prove, deve essere esercitato, ai fini della lealtà del contradittorio, in fase predibattimentale ed entro termini fissati dalla legge (art. 415 c.p.p.).
Ma ciò vale per tutte le parti, sì che la parte civile, che non si costituisca in istruttoria, non può pretendere l'ammissione di testi a difesa, richiedere letture, richiamare documenti. Ond'é che, sotto tale profilo, il ritardo della costituzione della parte civile sino alla chiusura delle formalità di apertura del dibattimento di primo grado, rappresenta un vantaggio e non uno svantaggio per l'imputato, ed egli perciò non può lamentare al riguardo alcuna menomazione del suo diritto di difesa.
4. - Nelle ordinanze si sostiene altresì che una causa di diminuzione delle possibilità di tutela di quel diritto, sarebbe da rinvenirsi nella facoltà concessa alla parte civile di precisare l'ammontare dei danni solo all'atto delle conclusioni.
Ma nemmeno a questo rilievo può attribuirsi consistenza.
La parte civile fa le sue precisazioni in merito ai danni alla fine dell'istruttoria dibattimentale perché solo allora, dalle risultanze emerse, può stabilirsi quanta parte della responsabilità dell'imputato, nella dinamica del fatto reato produttivo del danno, sia rimasta provata. Ma essa lo precisa comunque interloquendo per prima, com'é naturale, nel dibattito processuale, e così dandosi alla difesa dell'imputato, la possibilità di contrastare la richiesta con quegli elementi che sono già nel processo. Che se poi nel processo essi già non fossero, la richiesta, non provata, della parte civile, si risolverebbe in una enunciazione che non avrebbe più valore del diniego che ad essa contrapporrebbe l'imputato; onde il giudice non potrebbe che rinviare la liquidazione in sede civile secondo il disposto dell'art. 489, comma secondo, del codice di procedura penale.
5. - Nelle ordinanze si lamenta anche la violazione del principio di eguaglianza, perché la parte lesa, costituendosi parte civile in giudizio penale, é tenuta inizialmente alla sola "esposizione sommaria dei motivi" e poi alla precisazione del petitum, mentre, agendo come attore in giudizio civile, é tenuto fin dall'atto di citazione a precisare la causa petendi, il petitum e gli altri elementi previsti dall'art. 163 del codice di procedura civile. Inoltre, nelle stesse ordinanze, si osserva che l'imputato, se citato come convenuto in giudizio civile, ha a suo vantaggio i termini a comparire dell'art. 163 bis, mentre può non avere termini di sorta di fronte all'esercizio dell'azione spettante alla parte civile in sede penale.
Al riguardo va opposto che, a situazioni giuridiche diverse possono corrispondere discipline giuridiche differenziate.
E non é dubbio che l'inserimento dell'azione civile nel giudizio penale, una volta disposta, a fini di utilità generale, dal legislatore, entro i limiti della sua discrezionalità, pone in essere una situazione processuale profondamente, o almeno notevolmente, differente da quella riservata all'esercizio dell'azione civile nel processo civile, anche se si tratti di azione di restituzione o di risarcimento di danni derivanti da reato.
Tale rilievo priva di ogni consistenza le denunziate antinomie fra il trattamento che la legge riserva a quella azione se portata nell'una o nell'altra sede processuale.
Ma il vero é che quelle antinomie sono in realtà soltanto apparenti, perché in sede penale, in cui vi é costituzione di parte civile, il fatto reato e le sue conseguenze sono esaminati in un unico processo, in cui l'accertamento dei fatti ha efficacia polivalente: serve cioè all'accertamento della responsabilità dell'imputato, sia ai fini penali che a quelli civili.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
a) manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 559, comma terzo, del codice penale, già dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 147 del 1969;
b) inammissibili le questioni proposte dal pretore di Postiglione con ordinanza 9 luglio 1969 e relative agli artt. 93, comma secondo, 94, commi primo e secondo, e 468, comma primo, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
c) non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 93, comma secondo, 94, commi primo e secondo, e 468 del codice di procedura penale, proposte dal pretore di San Giovanni Valdarno con ordinanza in data 30 gennaio 1969 e dal tribunale di Arezzo con ordinanza 7 febbraio 1969, in riferimento agli artt. 24, comma secondo, e 3, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1970.