SENTENZA N. 147
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 559, terzo comma, 560, primo comma, e 561, secondo e terzo comma, del Codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 19 gennaio 1968 dal pretore di Orbetello nel procedimento penale a carico di Rispoli Carmeia ed altro, iscritta al n. 19 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 65 del 9 marzo 1968;
2) ordinanza emessa il 2 aprile 1968 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Bartoli Maria Carla ed altro, iscritta al n. 78 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968;
3) ordinanza emessa il 13 maggio 1968 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Corcella Anna ed altro, iscritta al n. 114 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 20 luglio 1968;
4) ordinanza emessa il 23 aprile 1968 dal pretore di Viareggio nel procedimento penale a carico di Zappelli Levia ed altro, iscritta al n. 134 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968;
5) ordinanze emesse il 9 luglio 1968 dal pretore di Bologna e il 27 giugno 1968 dal pretore di Iglesias nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Anichini Carla ed altro e di Cannas Elisa ed altro, iscritte ai nn. 162 e 181 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968;
6) ordinanza emessa il 20 settembre 1968 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Biffi Adriana ed altro, iscritta al n. 247 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 dell'8 gennaio 1969;
7) ordinanza emessa il 5 dicembre 1968 dal pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Pagura Giacomina ed altro, iscritta al n. 4 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 26 febbraio 1969;
8) ordinanza emessa il 9 gennaio 1969 dal pretore di Latina nel procedimento penale a carico di Giovannoni Aurora ed altro, iscritta al n. 36 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 66 del 12 marzo 1969;
9) ordinanze emesse il 25 gennaio 1969 dal tribunale di Lecce, il 20 gennaio 1969 dal tribunale di Monza, il 30 gennaio 1969 dal pretore di Trieste, il 24 gennaio 1969 dal tribunale di Roma, il 17 gennaio 1969 dal pretore di Asti, il 1 febbraio 1969 dal pretore di Bologna, il 23 dicembre 1968 dal pretore di Torino, il 4 febbraio 1969 dal pretore di Decimomannu, il 15 gennaio 1969 dal pretore di Napoli e il 14 gennaio 1969 dal pretore di Viareggio nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Manco Angelo, Aramini Martira, Ninchi Thea, Mingazzini Giovannella, Passamai Silvana, Chedini Ilde, Gregorio Silvana, Marongiu Purissima, De Rosa Renato, Caprari Argentina, Cecchi Cianfranco, ed altri, iscritte ai nn. 46, 53, 54, 59, 60, 62, 65, 68, 72, 73 e 78 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
10) ordinanze emesse il 16 gennaio 1969 dal pretore di Frascati, il 19 dicembre 1968 dal pretore di Maglie, il 25 febbraio 1969 dal pretore di Galatina e il 17 gennaio 1969 dal tribunale di Oristano nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Colella Maria, Tanieli Francesca, Baglivo Marisa, Zedda Ralmondo, ed altri, iscritte ai nn. 75, 82, 91 e 92 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 2 aprile 1969;
11) ordinanze emesse il 10 febbraio 1969 dal tribunale di Oristano, il 10 febbraio 1969 dal pretore di Taranto, il 26 febbraio 1969 dal tribunale di Treviso e il 31 gennaio 1969 dal pretore di Canosa di Puglia nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Pala Giovanni Pasquale, Saracino Maria Teresa, Cavarretta Vincenzo, Pedone Angela, ed altri, iscritte ai nn. 93,96 e 105 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 91 del 9 aprile 1969;
12) ordinanze emesse il 6 febbraio 1969 dal pretore di Roma e il 6 marzo 1969 dal tribunale di Lagonegro nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Mura Maria Laura, Stigliano Anna, ed altri, iscritte ai nn. 115 e 116 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 98 del 16 aprile 1969;
13) ordinanze emesse il 30 gennaio 1969 dal pretore di Roma, il 20 febbraio 1969 dal pretore di Napoli, il 28 febbraio 1969 dal tribunale di Catanzaro e il 29 gennaio 1969 dal tribunale di Palermo nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Volpi Silvano, Perrotta Antonio, Marino Rosina, Amarù Maria Catena, ed altri, iscritte ai nn. 114, 121, 122 e 126 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 23 aprile 1969;
14) ordinanze emesse il 13 febbraio 1969 dal pretore di Trieste, il 3 febbraio 1969 dal pretore di Roma, il 20 febbraio 1969 dal pretore di Manduria, il 19 febbraio 1969 dal pretore di Codigoro, il 16 gennaio 1969 dal pretore di Bari, il 22 gennaio e il 20 febbraio 1969 dal pretore di Roma nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Giardini Amelia, Lante della Rovere Angela, Mannucci Maria Renata, Perrucci Lucia, Bellani Primo, Corriere Antonia, Baldini Claudia e Toffolo Guerrino, Polzella Rauol, ed altri, iscritte ai nn. 132, 133, 134, 144, 146, 148, 153 e 154 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969;
15) ordinanze emesse il 20 febbraio 1969 dal pretore di Manduria, il 20 febbraio 1969 dal pretore di Roma, il 28 marzo 1969 dal pretore di Altamura, il 27 febbraio 1969 dal tribunale di Torino, il 20 gennaio 1969 dal tribunale di Torino nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Albanese Benito, Marzullo Maria Letizia, Lovicario Annunziata, Fausone Ada, Vero Annunziata, Lombardi Lorenzo, ed altri, iscritte ai nn. 162, 168, 169, 175, 176 e 182 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969;
16) ordinanze emesse il 28 marzo 1969 dal giudice istruttore del tribunale di Firenze, il 6 febbraio 1969 dal pretore di Roma e il 10 aprile 1969 dal tribunale di Lagonegro nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Furino Antonio, Spadaro Corrado, Cavallo Antonio, ed altri, iscritte ai nn. 184, 193 e 196 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969.
Visti gli atti di costituzione di Baldini Claudia, Toffolo Guerrino, Furino Antonio e di Igliori Massimo (parte civile nel procedimento penale a carico di Angela Lante della Rovere);
udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1969 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;
uditi gli avvocati Fausto Gullo e Luigi Salerni, per la Baldini, l'avv. Vincenzo Summa, per il Toffolo, l'avv. Pietro Lia, per il Furino, e l'avv. Paolo Roscioni, per l'Igliori.
Ritenuto in fatto
1. - Dai dispositivi delle cinquantuno ordinanze indicate in epigrafe risultano sottoposte al controllo di questa Corte tre disposizioni del Codice penale: l'art. 559, terzo comma, che stabilisce la reclusione fino a due anni per la relazione adulterina; l'art. 560, comma primo, che punisce con la stessa pena il marito che tenga una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove; e l'art. 561, che nei commi secondo e terzo detta particolari discipline per i casi di relazione adulterina e di concubinato commessi da coniugi legalmente separati.
Comune a tutte le ordinanze é la denunzia della violazione del principio di eguaglianza fra i coniugi - e, quindi, dell'art. 29 e, secondo alcune di esse, anche dell'art. 3 della Costituzione - nella quale le citate disposizioni incorrerebbero a causa del diverso trattamento fatto alla moglie ed al marito in materia di violazione del dovere di fedeltà coniugale e dell'assoluta mancanza di una qualsivoglia ragione che tale diversità possa giustificare in funzione dell'unità della famiglia.
2. - In particolare, le ordinanze emesse dopo la pubblicazione della sentenza n. 126 del 16 dicembre 1968 con la quale venne dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 559 primo comma, del Codice penale, relativo al reato di adulterio, illustrano la non manifesta infondatezza della questione concernente la relazione adulterina od il concubinato o l'una e l'altro facendo richiamo ai principi enunciati dalla Corte in occasione di quella decisione. i quali validamente dimostrerebbero che parimenti illegittima é la disparità di trattamento derivante dalla ben diversa configurazione del reato di relazione adulterina e del reato di concubinato. A tal proposito, mentre qualche ordinanza (così l'ordinanza 9 gennaio 1969 del pretore di Latina) sostiene che già il "tenere una concubina", in quanto implica una piena stabilità del rapporto illecito, é cosa diversa dalla "relazione adulterina", tutti i provvedimenti di rimessione sottolineano che la donna sposata é punita quali che siano le modalità di svolgimento della relazione estraconiugale, laddove il marito incorre nella sanzione penale solo se la relazione abbia luogo "nella casa coniugale o notoriamente altrove": le disposizioni impugnate darebbero luogo, in tal modo, ad una diversità di disciplina, per effetto della quale identiche violazioni del dovere di fedeltà coniugale sono penalmente rilevanti per la donna, irrilevanti per l'uomo, e tale disparità non potrebbe essere giustificata in nessun modo come strumento di garanzia di quella unità familiare che secondo la Costituzione é il solo legittimo limite dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Anche un giudice (cfr. ord. 25 febbraio 1969 del pretore di Galatina) che non condivide le ragioni che indussero la Corte alla dichiarazione di illegittimità del primo comma dell'art. 559 esprime, tuttavia, l'avviso che dopo la sentenza n. 126 del 1968 i principi ivi affermati devono essere portati alle loro logiche conseguenze e che pertanto la diversa disciplina giuridica della relazione adulterina e del concubinato deve essere valutata come espressione di una non legittima discriminazione fra moglie e marito.
3. - Alcune delle ordinanze di rimessione si pongono il problema del rapporto fra il reato di adulterio, già dichiarato illegittimo, ed il reato di relazione adulterina. A tal proposito, mentre il pretore di Canosa (ord. 31 gennaio 1969), nel sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 560, ritiene che oramai la relazione adulterina "quale reiterazione di atti penalmente irrilevanti" abbia perduto a sua volta ogni rilevanza penale, qualche altro giudice (pretore di Latina, ord. 9 gennaio 1969; pretore di Decimomannu, ord. 4 febbraio 1969) prospetta la tesi che il terzo comma dell'art. 559 disciplini un'aggravante del reato di adulterio ed in ciò ravvisa un ulteriore motivo di illegittimità, non potendo sussistere la punibilità di un'aggravante di un fatto che la legge ormai non prevede più come reato. Il pretore di Roma, infine, facendo salvo il problema concernente l'attuale vigenza del terzo comma dell'art. 559, dichiara di proporre la relativa questione di legittimità costituzionale perché sia soddisfatta l'esigenza di una pronunzia vincolante per tutti i giudici (ord. 30 gennaio e 6 febbraio 1969).
4. - Due ordinanze del pretore di Roma (6 febbraio e 20 febbraio 1969), dopo aver motivato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 560 sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, osservano che a norma dell'art. 29 della Costituzione é compito del legislatore rimuovere ogni ostacolo alla composizione di situazioni di conflitto insorte nell'ambito familiare, di tal che la stessa rilevanza penale della violazione dell'obbligo di fedeltà si rivelerebbe del tutto ingiustificata: la proposizione dell'istanza punitiva e l'eventuale condanna di uno dei coniugi potrebbero, infatti, compromettere irrimediabilmente l'esistenza della comunità familiare.
5. - Per quanto riguarda i reati di relazione adulterina e di concubinato commessi da un coniuge legalmente separato, un'ordinanza del pretore di Viareggio (23 aprile 1968) denuncia "il sistema delle norme di cui agli artt. 559 e 561, ultima parte, del codice penale" ed osserva in proposito che, intervenuta la separazione, l'unità della famiglia é già infranta e perciò non può essere invocata come valida giustificazione della disparità di trattamento fra moglie e marito. Analoghe considerazioni sono svolte dal pretore di Genova (ord. 5 dicembre 1968), il quale, dopo aver sostenuto che in via generale la diversità fra relazione adulterina e concubinato é illegittima, afferma che in caso di separazione a maggior ragione non può essere invocato il limite consentito dalla salvaguardia dell'unità familiare previsto dall'art. 29 della Costituzione e conclude rimettendo a questa Corte la questione di legittimità costituzionale sia dell'art. 559 che dell'art. 561 del codice penale.
6. - Tutte le ordinanze sono state ritualmente comunicate, notificate e pubblicate.
Innanzi a questa Corte si sono costituiti: a) il dott. Antonio Furino nel giudizio promosso con ordinanza 28 marzo 1969 del Giudice istruttore del tribunale di Firenze; b) la signora Claudia Baldini ed il signor Guerrino Toffolo nel giudizio promosso con ordinanza 22 gennaio 1969 del pretore di Roma; c) il dott. Massimo Igliori nel giudizio promosso con ordinanza 3 febbraio 1969 del pretore di Roma.
Secondo la difesa del Furino (deduzioni del 30 aprile 1969), rispetto alla relazione adulterina ed al concubinato si verifica la stessa disparità di trattamento che prima della sentenza 126 della Corte costituzionale esisteva fra adulterio della moglie e adulterio del marito: permane, cioè, una inammissibile diseguaglianza che non trova riscontro nell'attuale realtà sociale e che finisce per incidere negativamente sulla unità familiare.
La difesa della Baldini (deduzioni del 9 giugno 1969) mette in evidenza che, prima della dichiarazione di illegittimità del primo comma, l'art. 559 del Codice penale, valutato congiuntamente con l'art. 81, puniva l'adulterio semplice, la relazione adulterina e l'adulterio continuato con pene di crescente gravità: rispettivamente, nel massimo della pena, con uno, due e tre anni di reclusione. Ciò dimostrerebbe che il legislatore ha considerato il reato di adulterio in modo unitario, ritenendo che la relazione adulterina costituisca un fatto meno grave della condotta della donna coniugata che, sino al limite della prostituzione, si conceda ripetutamente ad uomini diversi: di conseguenza l'art. 559 del Codice penale non poteva venir meno in una delle sue parti senza dar luogo a disparità di trattamento ancora più gravi ed ingiuste di quelle derivanti dall'applicazione della norma nella sua integrità. Secondo la stessa difesa, inoltre, la diseguaglianza fra marito e moglie determinata dal terzo comma dell'art. 559 e dall'art. 560 sarebbe stata accentuata notevolmente dalla interpretazione giurisprudenziale concernente gli elementi necessari per la sussistenza dell'uno o dell'altro reato.
Considerazioni analoghe sono svolte nelle deduzioni difensive (9 giugno 1969) del signor Toffolo.
Nell'atto di costituzione del 10 giugno 1969, il dott. Igliori, parte civile nel procedimento per relazione adulterina a carico di Angela Lante della Rovere, sostiene che la lettera dell'articolo 559 non implicherebbe una diversità di trattamento fra i due coniugi, giacché se é vero che il reato di concubinato postula la notorietà del mantenimento della concubina "altrove", é altrettanto vero che il concetto di relazione adulterina non esclude, di per sé, la notorietà della relazione stessa. Si osserva ad ogni modo che la pretesa diversità di trattamento sarebbe determinata solo dalla presenza dell'avverbio "notoriamente" nel testo dell'art. 560: eliminato tale avverbio, non vi sarebbe più differenza fra relazione adulterina e concubinato.
Nell'udienza pubblica le parti hanno illustrato le rispettive tesi e conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze di rimessione - denunziando gli articoli 559, terzo comma (relazione adulterina), e 560, primo comma (concubinato) del Codice penale in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione - propongono identiche o connesse questioni di legittimità costituzionale, e pertanto i relativi giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza pubblica, vengono riuniti e decisi con unica sentenza.
2. - Alcuni dei giudici a quo e, nella discussione orale, una delle parti in causa hanno sostenuto che alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 559 del Codice penale, pronunciata con la sentenza n. 126 del 16 dicembre 1968 di questa Corte, andrebbe riconosciuto l'effetto di una immediata caducazione o, quanto meno, di una conseguenziale ed automatica illegittimità costituzionale del terzo comma dello stesso articolo. Tale tesi, basata sulla premessa che nel sistema dell'art. 559 la relazione adulterina sarebbe punita come circostanza aggravante speciale o come particolare ipotesi di continuazione del semplice adulterio, deve essere disattesa perché, come la Corte avvertì nella ricordata decisione, si tratta, invece, di un delitto con propria, autonoma configurazione: ciò risulta dalla diversità della fattispecie prevista dalla norma indicata, che non si esaurisce in una semplice ripetizione di singoli atti di adulterio, ed é confermato dalla circostanza che la pena stabilita dalla legge non é differenziata, nel minimo, da quella che colpiva il reato di adulterio.
3. - Due ordinanze del pretore di Roma (n. 114 e n. 193 del 1969) denunciano l'art. 560 del Codice penale, oltre che in riferimento al principio di eguaglianza fra i coniugi, anche sotto il profilo della violazione della tutela che l'art. 29 della Costituzione accorda all'integrità del nucleo familiare. Ad avviso di quel giudice, infatti, la rilevanza penale dell'inosservanza del dovere di fedeltà coniugale comprometterebbe la esistenza stessa della comunità familiare, messa in pericolo dalla proposizione dell'istanza punitiva e dall'eventuale condanna di uno dei coniugi.
La Corte ritiene che la questione proposta in tali termini non possa essere accolta. Ed infatti, se é vero che l'art. 29 della Costituzione protegge la unità familiare (fino al punto da sacrificare a questa, quando ciò sia assolutamente necessario, anche l'eguaglianza fra i coniugi) e se é indubbio che il legislatore ordinario non può dettare una disciplina non coerente con la protezione di quel bene, é altrettanto vero e certo che proprio a garanzia della suddetta unità gli obblighi fondamentali che accompagnano il vincolo matrimoniale devono essere presidiati da sanzioni che risultino idonee a svolgere anche una funzione preventiva. Ed appartiene alla politica legislativa il potere di stabilire, in relazione ad un determinato contesto storico, se siano sufficienti le sanzioni di natura civile o se sia necessario disporre anche misure penali.
4. - La discrezionalità politica del legislatore, tuttavia, non può essere esercitata che nel rispetto del principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, imposto dall'articolo 29, secondo comma, della Costituzione. Ed é alla stregua di tale principio che l'indagine demandata alla Corte da tutte le ordinanze di rimessione deve essere ora rivolta a verificare se, dichiarati illegittimi il primo ed il secondo comma dell'art. 559 del Codice penale, la residua disciplina contenuta nel terzo comma (relazione adulterina) e quella dettata dal primo comma dell'art. 560 (concubinato) - disposizioni entrambe impugnate - pongano in essere una non consentita disparità di trattamento fra marito e moglie.
5. - A tal proposito é di fondamentale importanza la constatazione che relazione adulterina e concubinato sono reati fra loro strutturalmente diversi. Si può qui prescindere dalla questione se l'espressione "tenere una concubina" usata nel primo comma dell'art. 560 stia già ad indicare che la legge richieda, ai fini della punizione del marito, qualcosa di più della semplice relazione con una donna diversa dalla moglie. A mettere in evidenza la netta differenza fra i due delitti é sufficiente la circostanza che per il reato di concubinato é necessario che la consumazione abbia luogo "nella casa coniugale o notoriamente altrove", mentre per la relazione adulterina appaiono del tutto indifferenti le modalità di svolgimento: il che é quanto dire che quelle violazioni della fedeltà coniugale che sono necessarie e sufficienti ad integrare il reato di relazione adulterina imputabile alla moglie non bastano, se commesse dal marito, a renderlo colpevole di concubinato. E se identici comportamenti sono penalmente rilevanti per l'un coniuge e irrilevanti per l'altro, bisogna concludere che le disposizioni impugnate dettano una disciplina differenziata per il marito e per la moglie, nonostante che la legge (art. 143 Cod. civ.) ponga a carico di entrambi il dovere di fedeltà coniugale.
6. - Per giustificare validamente sul piano costituzionale la riscontrata diversità di trattamento non possono essere prese in considerazione ragioni che non siano strettamente connesse con l'esigenza di salvaguardare l'unità familiare.
La Corte ha già affermato (sent. n. 126 del 1968) che ai fini del controllo di legittimità costituzionale dei diritti o degli obblighi conferiti o imposti dalla legge al marito ed alla moglie occorre far riferimento non già all'art. 3, ma all'art. 29 della Costituzione, ed ha interpretato quest'ultima disposizione (sentenza n. 127 dello stesso anno) nel senso che la Costituzione direttamente impone che la disciplina giuridica del matrimonio - col solo limite della unità della famiglia - contempli obblighi e diritti eguali per l'uomo e per la donna. Ribadendo questi principi, si deve ritenere che in generale nella regolamentazione dei rapporti tra i coniugi nascenti dal matrimonio é vietato al legislatore di dar rilievo a ragioni di differenziazione diverse da quelle concernenti la predetta unità. Per la materia qui in esame non possono, perciò, spiegare influenza tutte quelle valutazioni che si connettano alla supposta maggior gravità della condotta infedele della moglie od al diverso atteggiamento della società di fronte all'infedeltà dell'uomo e della donna. Tutto il sistema desumibile dagli artt. 559 e 560 del Codice penale - come in occasione del controllo di legittimità costituzionale del reato di adulterio la Corte ebbe già ad osservare - reca l'impronta di un'epoca nella quale la donna non godeva della stessa posizione sociale dell'uomo e vedeva riflessa la sua situazione di netta inferiorità nella disciplina dei diritti e dei doveri coniugali. Non sta alla Corte verificare se e quali modificazioni in questo campo il nostro tempo abbia portato nella coscienza sociale. Ma é compito indiscutibile della Corte accertare l'insanabile contrasto fra quella disciplina, quale che ne sia stata la giustificazione originaria, ed il sopravvenuto principio costituzionale e dichiarare l'illegittimità di tutte quelle disparità di trattamento fra coniugi che non siano giustificate dall'unità familiare: vale a dire dall'unico limite che la Costituzione prevede.
A quest'ultimo proposito la Corte non può non confermare, per quanto concerne le attuali questioni, quanto fu detto in entrambe le ricordate decisioni dello scorso anno e, cioè, che il trattamento più severo per l'infedeltà della moglie, più indulgente per l'infedeltà del marito (e, cioè, proprio la disparità di trattamento) può addirittura esser causa di disgregazione della famiglia: in ogni caso é certo che non é possibile considerarlo come finalizzato alla tutela della sua unità. Per giungere ad opposta conclusione non é certo pertinente affermare che la punizione della moglie fedifraga risponde all'esigenza di salvaguardare la famiglia. Poiché la tutela di tale esigenza deve necessariamente coordinarsi col principio di eguaglianza, occorrerebbe dimostrare che, una volta stabilito che la relazione adulterina della donna debba costituire reato, punire il marito per una fattispecie identica significherebbe mettere in pericolo l'unità del nucleo familiare. Ma é sufficiente enunciare questa ipotesi di giustificazione per coglierne l'assoluta irrazionalità.
7. - A conclusione di quanto fin qui si é detto, si deve riconoscere che il terzo comma dell'art. 559 del Codice penale, poiché punisce la moglie anche per fatt; che se commessi dal marito sono penalmente irrilevanti, é costituzionalmente illegittimo. Ma la dichiarazione di illegittimità deve colpire altresì il primo comma dell'art. 560, sia perché é il concorso di entrambe le norme penali che dà vita, a causa dell'eterogeneità delle fattispecie delittuose in esse contemplate, ad una non consentita disparità di trattamento fra moglie e marito, sia perché, ove fosse annullata la sola previsione della relazione adulterina della moglie, l'ordinamento verrebbe a dar rilevanza unicamente, nei limiti dell'art. 560, alla infedeltà coniugale del marito, con conseguente identica violazione del principio di eguaglianza.
In relazione a quanto si é detto nel n. 3, é opportuno rilevare che, derivando l'illegittimità delle due disposizioni dalla disparità di trattamento dei coniugi, il legislatore conserva, nell'ambito della sua discrezionalità politica, il potere di stabilire se ed in quali ipotesi la violazione del dovere di fedeltà coniugale debba costituire reato, ma nel rispetto dell'art. 29 della Costituzione sarà tenuto a dettare un'eguale disciplina per il marito e per la moglie.
8. - All'illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 559 e del primo comma dell'art. 560 del Codice penale é conseguenziale - e va dichiarata ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l'illegittimità delle seguenti disposizioni dello stesso Codice: 1) art. 559, comma quarto; 2) art. 560, commi secondo e terzo; 3) art. 561; 4) art. 562, primo comma, nella parte relativa al delitto previsto dall'art. 560; 5) art. 562, secondo e terzo comma; 6) art. 563.
9. - In conseguenza delle pronunce di cui innanzi é assorbita la questione, sollevata da qualcuna delle ordinanze di rimessione, concernente la disciplina dettata dal combinato disposto dell'art. 559, comma terzo, e 561 del Codice penale per i coniugi legalmente separati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 559, comma terzo, e 560, comma primo, del Codice penale;
ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara la illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni dello stesso Codice: 1) art. 559, comma quarto; 2) articolo 560, commi secondo e terzo; 3) art. 561; 4) art. 562, primo comma, nella parte relativa alla perdita dell'autorità maritale per effetto della condanna per il delitto di concubinato; 5) art. 562, commi secondo e terzo; 6) art. 563.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1969.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 3 dicembre 1969.