Sentenza n. 99 del 1969
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SENTENZA N. 99

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, promosso con ordinanza emessa il 10 gennaio 1967 dalla Corte di appello di Catanzaro nel procedimento civile vertente tra i Comuni di Pedivigliano e di Soveria Mannelli e l'Opera per la valorizzazione della Sila ed altri, iscritta al n. 271 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24 del 27 gennaio 1968.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Pedivigliano e dell'Opera valorizzazione Sila;

udita nell'udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del Giudice Giovanni Battista Benedetti;

uditi l'avv. Cesare Gabriele, per il Comune di Pedivigliano, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Opera Sila.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza 10 gennaio 1967, emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro nel procedimento civile vertente tra i Comuni di Pedivigliano e di Soveria Mannelli contro l'Opera per la valorizzazione della Sila e Berlingieri Clementina, é stata proposta la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, con il quale l'Ente di riforma otteneva l'espropriazione - ai fini della riforma fondiaria prevista dalla legge 12 maggio 1950, n. 230 - del terreno denominato "Chiazza" sito in agro di Parenti, in danno di Berlingieri Clementina.

Risulta dagli atti che in esecuzione della sentenza 16 maggio 1889 del Collegio arbitrale per gli affari della Sila, il fondo "Chiazza" era stato diviso in due quote, rispettivamente assegnate ai Comuni di Pedivigliano e di Soveria Mannelli - ai sensi della legge 25 maggio 1876, n. 3124 - "in compenso degli usi civici che essi vantavano nella Sila".

Con verbale di aggiudicazione 21 ottobre 1891, approvato dalla competente Giunta provinciale amministrativa, il Comune di Pedivigliano cedeva la sua quota in enfiteusi perpetua a Berlingieri Francesco di Anselmo. Identica cessione della sua quota faceva il Comune di Soveria Mannelli in favore di Berlingieri Anselmo fu Francesco, con verbale di aggiudicazione 10 agosto 1899, vistato dalla sottoprefettura di Nicastro. Quest'ultima quota veniva poi ereditata nel 1912 dal Berlingieri Francesco, il quale riunito così tutto il fondo "Chiazza", lo donava alla figlia Berlingieri Clementina in Lucifero. Il fondo in questione veniva, infine, espropriato nel 1951 col decreto impugnato ed attribuito all'Opera Sila.

Con citazione del 5 dicembre 1952 Berlingieri Francesco conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Cosenza l'ente espropriante per sentire dichiarare incostituzionale e illegittimo il decreto di scorporo giacché il fondo "Chiazza" non apparteneva all'espropriata ma era di proprietà dei Comuni di Pedivigliano e di Soveria Mannelli contro i quali non si sarebbe potuto procedere, sia per la loro qualità di enti pubblici, sia perché la proprietà dagli stessi posseduta non aveva estensione superiore ai 300 ettari.

In detto giudizio interveniva volontariamente la donataria Berlingieri Clementina e veniva altresì ordinato l'intervento dei due Comuni interessati, i quali, sostenendo la nullità dei contratti enfiteutici a suo tempo stipulati, stante il carattere demaniale del fondo e l'inefficacia dei contratti medesimi, per la mancata approvazione da parte degli organi competenti, concludevano per la nullità della procedura di scorporo.

Con sentenza 15 luglio 1964 il tribunale di Cosenza dichiarava manifestamente infondata la questione di costituzionalità eccepita dagli attori e rigettava tutte le altre loro richieste.

Avverso tale sentenza proponevano appello i due Comuni insistendo nella richiesta di dichiarazione di nullità o d'inefficacia delle costituzioni di enfiteusi e la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza non definitiva 10 gennaio 1967 - gravata di impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione - dichiarava la nullità delle enfiteusi costituite dai Comuni su tutto il fondo "Chiazza" in favore dei Berlingieri, nonché la nullità dei successivi trasferimenti di dette enfiteusi, dato che esse non potevano essere contratte su un fondo avente una innegabile natura demaniale in quanto assegnato ai due enti pubblici in compenso di usi civici inalienabili ed imprescrittibili che avevano sulla Sila. Osserva inoltre la sentenza che non risulta che vi sia stato in prosieguo alcun provvedimento di sdemanializzazione così come é da escludersi che per effetto dei due verbali di aggiudicazione del 1891 e del 1899 possa ritenersi intervenuta la trasformazione del demanio in allodio, in quanto - come rilevato dalla ordinanza 29 aprile 1940 pronunciata contro il Berlingieri Francesco dal Commissario per la liquidazione degli usi civici di Catanzaro - la costituzione di enfiteusi non fu mai approvata dal Sovrano ai sensi della legge 16 giugno 1927, n. 1766.

Sulla base di tali rilievi la Corte di appello ha tratto la conseguenza che l'intero fondo "Chiazza", in quanto demaniale, non poteva essere espropriato col decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951 e che l'esproprio non poteva intervenire in danno di Berlingieri Clementina, la quale non era mai stati enfiteuta giacché le due quote erano sempre appartenute ai beni demaniali dei Comuni. Ha conseguentemente rimesso gli atti a questa Corte, con ordinanza emessa in pari data della sentenza, sollevando eccezione di incostituzionalità del decreto presidenziale di esproprio.

L'ordinanza é stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata.

Nel presente giudizio si sono costituiti soltanto il Comune di Pedivigliano, rappresentato e difeso dall'avv. Cesare Gabriele, mediante deposito di deduzioni in cancelleria in data 3 luglio 1967 e l'Opera Sila, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, con deposito di deduzioni in data 13 febbraio 1968.

La difesa del Comune rileva che, avendo la Corte di appello deciso che il fondo "Chiazza" é demanio comunale, il decreto presidenziale che ne ha disposto l'esproprio deve ritenersi illegittimo, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, per aver ecceduto dai limiti della delega contenuti negli artt. 2 e 3 della legge 12 maggio 1950, n. 230.

L'Avvocatura, per contro, nelle sue deduzioni fa presente che avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello l'Opera Sila ha proposto ricorso per Cassazione per i seguenti motivi:

1) difetto di giurisdizione della Corte di appello: articolo 360, n. 1, del Codice di procedura civile, in relazione agli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;

2) violazione dell'art. 11 della legge 25 maggio 1876, n. 3124 e falsa applicazione dell'art. 13 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, violazione dell'art. 9 della legge Sila n. 230 del 1950.

In relazione al primo motivo l'Avvocatura osserva che con la sentenza impugnata, dichiarandosi nulle a tutti gli effetti le originarie enfiteusi, si é statuito sulla questione essenziale della causa e sulla questione dell'eccesso di delega del decreto di scorporo disposto contra non dominum. Alla Corte costituzionale non resterebbe che adottare un provvedimento conseguenziale alla sentenza non definitiva di merito, e cioè una dichiarazione "dovuta" di illegittimità costituzionale della legge-provvedimento. In ottemperanza alle norme che regolano il giudizio di legittimità costituzionale, la questione della validità delle enfiteusi costituite dai comuni interessati avrebbe invece dovuto formare oggetto dell'ordinanza di rimessione e non della sentenza parziale.

Si domanda poi l'Avvocatura se possa ammettersi una pronuncia secundum eventum litis della Corte costituzionale e quale sorte possa avere una pronuncia del genere nel caso di accoglimento del ricorso in Cassazione. Dovrebbe in tale ipotesi restar ferma l'ipotetica sentenza costituzionale (con la conseguenza che in tal modo si confischerebbe in danno della ricorrente il rimedio del ricorso in Cassazione) e resterebbe la sua efficacia condizionata al passaggio in cosa giudicata della sentenza di appello.

In relazione al secondo motivo del ricorso l'Avvocatura osserva che la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dei contratti di enfitensi basandosi sull'ordinanza 25 aprile 1940 del Commissario per la liquidazione degli usi civici per la Calabria, la quale ebbe a stabilire che il fondo "Chiazza" doveva essere restituito al demanio comunale non risultando la concessione in enfiteusi approvata dal Sovrano, ai sensi dell'art. 13 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, e mancando perciò il titolo valido per la trasformazione del demanio in allodio.

Orbene le enfitensi in questione, sorte nel 1900, non soggiacciono alla disciplina della legge del 1927, bensì a quella dettata dall'art. 11 della precedente legge 15 maggio 1876, n. 3124, che concede ai Comuni la facoltà di censire, e cioè dare in enfiteusi, o ripartire le terre silane già demaniali, e di destinarle all'uso diretto della popolazione secondo che sarà determinato dal Consiglio Provinciale avuto riguardo agli interessi dei Comuni. Nella specie, quindi, non vi era bisogno dell'approvazione del Sovrano.

Rileva, inoltre, la difesa dell'Opera Sila nel ricorso per cassazione che se anche il fondo "Chiazza" dovesse ancora considerarsi tuttora sottoposto ad usi civici (per la nullità della sua conversione da demanio in allodio) i Comuni potrebbero far valere il loro diritto solo sull'indennità, giusta il disposto dell'art. 9 della legge Sila n. 230 del 1950, il quale stabilisce che sulla indennità di espropriazione sono trasferiti, ad ogni effetto, i diritti dei terzi "compresi i diritti di uso civico". Dal che é dato desumere che anche i terreni gravati di uso civico sono espropriabili.

Sulla base dei motivi del ricorso per cassazione e delle considerazioni svolte a sostegno dei medesimi l'Avvocatura in questa sede sostiene che, quando meno allo stato attuale delle cose, il giudizio incidentale di legittimità é inammissibile.

In linea strettamente subordinata, e qualora la Corte intendesse trattare il merito della questione, l'Avvocatura richiama le considerazioni svolte nel secondo motivo del ricorso per cassazione e conclude per l'infondatezza della questione sollevata.

In una memoria depositata il 24 aprile 1969 la difesa del Comune di Pedivigliano osserva anzitutto che entrambi i motivi del ricorso per cassazione richiamati dall'Avvocatura per relationem sarebbero infondati. Non sussiste anzitutto il difetto di giurisdizione del giudice a quo. Il presupposto necessario della questione costituzionale é la declaratoria di nullità dell'enfiteusi per effetto della demanialità del fondo espropriato senza la quale declaratoria non sarebbe potuta sorgere la questione di legittimità costituzionale né sulla nullità avrebbe potuto giudicare questa Corte la cui competenza, alla luce della Costituzione e delle leggi indicate nel ricorso, é inflessibilmente limitata alle questioni costituzionali con esclusione di ogni questione pregiudiziale e conseguenziale. A nulla rileva poi che la Corte di Catanzaro abbia dichiarato in sentenza la demanialità del fondo "Chiazza" anziché assumerla nella ordinanza di rimessione come presupposto della questione di legittimità dato che questa Corte non può che assumere come fondamento della rilevanza della questione di legittimità costituzionale e della propria decisione la demanialità comunque ritenuta o dichiarata dal giudice a quo.

Per quanto riguarda poi il merito della vertenza la difesa del Comune di Pedivigliano osserva che é giurisprudenza pacifica che i beni assegnati ai Comuni in virtù dell'art. 11 della legge del 1876 sulla Sila Regia in compenso degli usi civici siano divenuti demanio dei Comuni assegnatari conservando le prerogative della inalienabilità e imprescrittibilità. É vero che tali beni potevano essere concessi in enfiteusi ma per la validità di tali concessioni erano necessarie le preventive determinazioni del Consiglio provinciale come risulta del resto dal tassativo disposto dell'art. 11 della legge citata, determinazioni che nella specie sono mancate. Le costituzioni di enfitensi del fondo in contestazione (che secondo la costante giurisprudenza equivalgono ad alienazione) sono quindi radicalmente nulle e conseguentemente é nullo il decreto di espropriazione (pronunciato nei confronti dell'utilista che non era mai divenuto legalmente tale) per un bene inespropriabile sia per la sua natura giuridica, sia perché per l'art. 2 della legge Sila sono espropriabili solo le proprietà private e non quelle d'enti pubblici.

La difesa del Comune insiste perciò nella richiesta di dichiarare l'illegittimità costituzionale del decreto di espropriazione per violazione degli artt. 2 e 9 della legge di delega n. 230 del 1950.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza in epigrafe é stata sollevata la questione di legittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, per aver disposto l'esproprio ai fini della riforma fondiaria in favore dell'Opera per la valorizzazione della Sila del terreno denominato "Chiazza", sito nei Comuni di Parenti e Taverna, del quale risultava essere enfiteuta Berlingieri Clementina in Lucifero, ma che in effetti faceva parte dei beni demaniali dei Comuni di Pedivigliano e Soveria Mannelli. Il giudice a quo, con sentenza di pari data dell'ordinanza di rinvio, ha compiuto l'accertamento circa la reale natura e la titolarità del terreno espropriato dichiarando che esso, assegnato ai due comuni ai sensi dell'art. 11 della legge 25 maggio 1876, n. 3124, in compenso degli usi civici che vantavano sulle terre della Sila, non ebbe mai a perdere il carattere di demanialità poiché nulli ad ogni effetto erano da considerarsi i contratti del 28 dicembre 1891 e del 21 marzo 1900 con i quali erano state cedute in enfitensi le quote spettanti ai due comuni sul detto terreno e nulli tutti i successivi trasferimenti fino a quello in favore del soggetto privato espropriato.

Dalla circostanza che la sentenza in questione é stata impugnata con ricorso per cassazione l'Avvocatura dello Stato ha tratto motivo per sollevare pregiudizialmente eccezione di inammissibilità del presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

L'eccezione non é fondata.

L'accertamento circa la natura demaniale o meno del terreno in contestazione e della nullità o validità dei contratti enfiteutici relativi al medesimo costituisce il presupposto indispensabile della questione di legittimità ed attiene a quel giudizio di rilevanza che é di esclusiva competenza del giudice a quo. Detto accertamento, effettuato dalla Corte di appello di Catanzaro nella citata sentenza non definitiva, é stato richiamato nell'ordinanza di rinvio emessa in pari data e posto a fondamento del giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità. Il procedimento di legittimità costituzionale é stato perciò ritualmente introdotto secondo le regole dettate dall'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87. É stata più volte affermata, proprio in ordine agli inconvenienti lamentati dagli Enti di riforma circa l'applicazione della norma in questione ai giudizi di costituzionalità riguardanti le leggi- provvedimento, l'indipendenza delle pronunce della Corte dallo svolgimento dei giudizi principali. Tali pronunce, con la tipicità della dichiarazione di illegittimità "in quanto" costantemente in esse adoperata, non precludono alle parti il diritto di proseguire, nell'ulteriore fase del giudizio di merito e nei successivi gradi, a discutere sulla fondatezza dei presupposti e quindi sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. E non é da escludere che una differente definitiva decisione sulle questioni di fatto e di diritto che rappresentano il presupposto del sindacato di costituzionalità produca come conseguenza l'inefficacia della sentenza della Corte.

2. - Circa il merito della questione, dovendo procedere sulla base degli accertamenti compiuti dalla Corte di appello di Catanzaro con la ripetuta sentenza del 10 gennaio 1967, non é dubbio che debba essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, per aver disposto - in violazione dell'art. 2 della legge Sila 12 maggio 1950, n. 230 che consente di sottoporre all'espropriazione soltanto terreni di proprietà privata - l'esproprio del fondo "Chiazza" che per la sua qualità di terreno demaniale non era soggetto a scorporo ai fini della riforma fondiaria.

Né vale opporre che nel caso in esame i Comuni di Pedivigliano e Soveria Mannelli dovrebbero esercitare il loro diritto sull'indennità di espropriazione ai sensi dell'art. 9 della legge sopracitata poiché, come già esposto nelle sentenze n. 78 del 1961 e n. 18 del 1965, il diritto di proprietà dei Comuni sui demani civici non può riportarsi tra "i diritti dei terzi compresi i diritti di uso civico" contemplati dalla disposizione richiamata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto del Presidente della Repubblica 4 novembre 1951, n. 1244, in quanto ha disposto la espropriazione del terreno "Chiazza" appartenente al demanio dei Comuni di Pedivigliano e di Soveria Mannelli e non al soggetto privato espropriato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -   Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE

 

Depositata in cancelleria il 10 giugno 1969.