SENTENZA N. 98
ANNO 1969
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, seconda parte, del contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939, tuttora in vigore ex art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, e dell'art. 36 del regio decreto 20 dicembre 1932, n. 1705 (disciplina del trattamento di malattia degli operai dell'industria e degli addetti al commercio), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1968 dal Tribunale di Vercelli nel procedimento civile vertente tra l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie e il fallimento della ditta Ferriere di Crescentino, iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo 1968;
2) ordinanza emessa il 26 novembre 1968 dalla Corte d'appello di Catanzaro nel procedimento civile vertente tra la ditta Giuseppe Gatto e l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie, iscritta al n. 12 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 26 febbraio 1969.
Visti gli atti di costituzione dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del Giudice Enzo Capalozza;
uditi l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per l'I.N.A.M., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di una procedura fallimentare nei confronti della ditta Ferriere di Crescentino, pendente dinanzi al Tribunale di Vercelli, quella sede provinciale dell'Istituto nazionale assicurazioni contro le malattie - I.N.A.M. - chiedeva al giudice delegato l'ammissione tardiva, in via privilegiata, di un credito ammontante a lire 119.777, per diritti di rivalsa, risultanti da estratti conti del 3 dicembre 1964 e del 21 marzo 1966.
Con ordinanza del 17 gennaio 1968, il Tribunale ha sollevato, d'ufficio, in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, seconda parte, del contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939 sulla disciplina del trattamento di malattia degli operai dell'industria - tuttora vigente per l'art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369 - nel presupposto che la denunziata disposizione, in forza di tale decreto luogotenenziale, abbia acquistato valore di legge formale.
Osserva al riguardo il Tribunale ridetto che, alla stregua di quanto risulterebbe implicitamente dal pacifico orientamento della dottrina e della giurisprudenza, nonché, incidentalmente, da alcune sentenze di questa Corte, oltre che dalla stessa dizione adottata nel citato decreto luogotenenziale, le norme da questo mantenute in vigore, al pari delle altre norme corporative nel cessato ordinamento, pur essendo di diritto oggettivo valide erga omnes, non avrebbero valore di legge formale, bensì sarebbero subordinate alle norme di legge ed a quelle regolamentari.
Il giudice ordinario, di conseguenza, dovrebbe accertare egli stesso la sussistenza della dedotta incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3 e 23 della Costituzione, in quanto la disposizione denunziata prevede il diritto dell'Istituto di rivalersi, sul datore di lavoro inadempiente o moroso nel pagamento dei contributi, del costo delle prestazioni corrisposte, congiuntamente al pagamento dei contributi arretrati, gravati dagli interessi di mora.
Deduce, per altro, il tribunale che la Cassazione, con sentenza 10 agosto 1966, n. 2186, nel respingere l'eccezione di incostituzionalità della norma, si sarebbe espressa nel senso che l'art. 43 del citato decreto legge luogotenenziale avrebbe conferito "vigore di legge ai contratti collettivi vigenti prima dello scioglimento dell'ordinamento sindacale corporativo", con la conseguente sopravvenuta efficacia di legge del contratto de quo.
In accoglimento di questa tesi, il Tribunale ravvisa la non manifesta infondatezza della questione sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, per palese irragionevolezza del trattamento differenziato tra datori di lavoro che versino tempestivamente i contributi e datori di lavoro morosi, tenuti a corrispondere all'Istituto, oltre ai contributi gravati degli interessi di mora, anche il costo delle prestazioni assicurative.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 30 marzo 1968. Nel giudizio innanzi a questa Corte si é costituito l'I.N.A.M. con deduzioni depositate il 17 aprile 1968.
Il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto con atto depositato l'11 aprile 1968.
Entrambe le parti chiedono che la questione sia dichiarata non fondata.
La difesa dell'I.N.A.M. premette che la materia della inadempienza e della mora dei datori di lavoro é ora regolata dall'art. 3 della legge 24 ottobre 1966, n. 934, e che la questione che forma oggetto dell'ordinanza ha rilievo solo per il periodo anteriore all'entrata in vigore di tale legge. Osserva, poi, che la denunziata disposizione sul trattamento degli inadempimenti fu accettata dai datori di lavoro con l'approvazione del contratto collettivo: la tesi che questo contratto, con il suo mantenimento in vigore, sia stato elevato a legge formale dal decreto legge luogotenenziale n. 369 del 1944, non troverebbe suffragio nella richiamata sentenza della Cassazione.
Sulla dedotta violazione, precisa che essa riguarderebbe unicamente la pretesa irragionevolezza del diverso trattamento tra la categoria dei datori di lavoro che versano tempestivamente i contributi e quella dei datori di lavoro morosi; ogni altra considerazione dell'ordinanza di rimessione sarebbe diretta a dimostrare la particolare severità del trattamento fatto a questa seconda categoria e, risolvendosi in una critica alla legge, esulerebbe dall'ambito di un sindacato di costituzionalità.
A sostegno delle sue conclusioni, la difesa dell'Istituto deduce la obiettiva diversità di situazioni fra le due categorie; richiama la giurisprudenza di questa Corte sul principio di eguaglianza e sulla necessità del puntuale versamento dei contributi; ed accenna, infine, agli argomenti posti a sostegno della sentenza della Cassazione disattesa dal tribunale.
L'Avvocatura generale dello Stato, nel chiedere che la questione sia dichiarata non fondata, assume la natura mista - sanzionatoria e risarcitoria - del diritto di rivalsa, il quale, alla stregua del sistema adottato, non sarebbe sfornito di una sua precisa e concreta giustificazione. Infatti, le omissioni e i ritardi nel versamento dei contributi sono colpiti da una lieve sanzione penale e da una sanzione civile, in misura assai modesta, consistente nell'addebito dei soli interessi.
L'Avvocatura generale ricorda, da ultimo, la procedura che consente la composizione amministrativa, per sottolineare il carattere sanzionatorio del diritto di rivalsa, di cui sostiene, altresì, la natura risarcitoria, al pari del duplice carattere - sanzionatorio e risarcitorio - riconosciuto, con la sentenza di questa Corte n. 76 del 1966, alla "somma aggiunta" dovuta all'I.N.P.S., unitamente agli interessi di mora e ai contributi omessi.
La difesa dell'I.N.A.M., in una breve memoria depositata il 21 aprile 1969, deduce l'inammissibilità della questione, richiamando le sentenze n. 1 del 1963 e n. 76 del 1969 della Corte costituzionale.
2. - Un'analoga questione di legittimità costituzionale circa la stessa disposizione del suindicato contratto collettivo, nonché dell'art. 36 del regio decreto 20 dicembre 1932, n. 1705, contenente una norma sostanzialmente identica, é stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Catanzaro, con ordinanza del 26 novembre 1968, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per diritti di rivalsa a favore della sede provinciale di Cosenza dell'I.N.A.M. contro la ditta Gatto Giuseppe.
La non manifesta infondatezza della questione viene, in sostanza, motivata come nella precedente ordinanza di rimessione del tribunale di Vercelli.
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 26 febbraio 1969.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito soltanto l'I.N.A.M. con deduzioni depositate il 6 febbraio 1969; nelle quali si sviluppano, fra l'altro, le argomentazioni svolte nel giudizio promosso con l'ordinanza 17 gennaio 1968 del tribunale di Vercelli e si chiede che la questione sia dichiarata infondata.
Da parte della difesa dell'Istituto, si sostiene, in particolare, che l'entità delle evasioni contributive sarebbe maggiore di quella attuale, se sanzioni di una certa gravità non scoraggiassero l'imprenditore dall'omettere o ritardare il versamento dei contributi.
Sulla predetta disparità, che sembra essere adombrata nell'ordinanza, tra datori di lavori inadempienti, i cui dipendenti non si ammalino, e quelli, invece, i cui dipendenti contraggano una malattia dalla quale consegua il diritto di rivalsa dell'I.N.A.M., si deduce essere ovvio che il rimborso vada commisurato alle spese sopportate. Si nega pure che l'Istituto, quando abbia ricevuto i contributi arretrati e gli interessi di mora, venga a trovarsi in una situazione identica a quella conseguente al tempestivo versamento dei contributi. Al riguardo, si osserva che non può ravvisarsi eguaglianza di posizione tra chi rispetta la legge e chi vi disobbedisce; si fa richiamo agli argomenti della sentenza n. 76 del 1966 di questa Corte sulla "somma aggiunta" dovuta all'I.N.P.S.; si esclude la pretesa violazione dell'art. 53 della Costituzione, che non sarebbe invocabile nel caso del diritto di rivalsa, stante la sua natura sanzionatoria e risarcitoria.
Considerato in diritto
1. - Le due cause, unitamente trattate, hanno per oggetto un'analoga questione di legittimità costituzionale e vanno perciò decise con unica sentenza.
2. - Un'analoga questione di legittimità costituzionale circa la stessa disposizione del suindicato contratto collettivo, nonché dell'art.36 del regio decreto 20 dicembre 1932, n.1705, contenente una norma sostanzialmente identica, é stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Catanzaro, con ordinanza del 26 novembre 1968, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per diritti di rivalsa a favore della sede provinciale di Cosenza dell'I.N.A.M. contro la ditta Gatto Giuseppe.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1969.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE
Depositata in cancelleria il 10 giugno 1969.