Sentenza n. 75 del 1969
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SENTENZA N. 75

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 48, primo comma, e 49, primo comma, della legge 5 marzo 1963, n. 246 (istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili), promossi con nove ordinanze emesse il 9 giugno 1967 dal tribunale di Torino in altrettanti procedimenti civili vertenti tra Robasto Paolino ed altri ed il Comune di Torino, iscritte ai nn. 162, 163, 164, 165, 166, 167 e 168 del Registro ordinanze 1967, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 2 settembre 1967; al n. 181 del Registro ordinanze 1967, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 14 ottobre 1967; e al n. 195 del Registro ordinanze 1967, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967.

Visti gli atti di costituzione di Gardino Eurosita, Narbonne Ortelio, Musso Elida, Agagliate Emilio Secondo, della società immobiliare Sant'Orsola e del Comune di Torino, e d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 26 febbraio 1969 la relazione del Giudice Vezio Crisafulli;

uditi gli avvocati Mario Dossetto, Gennaro Werthmuller, Gaetano Zini Lamberti, Enrico Allorio e Italo Augusto Leoni, per le parti private, gli avvocati Guido Astuti e Gian Antonio Micheli, per il Comune di Torino, ed il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con nove ordinanze di identico contenuto, emesse in data 9 giugno 1967, il tribunale di Torino, nel corso di altrettanti procedimenti civili promossi rispettivamente da Robasto Paolino, Givone Lorenzo, Gardino Eurosita in Morgando, Bonzano Camillo, società per azioni Stabilimenti G. Fornara e C., Piperno Gualtiero, società immobiliare Santa Orsola, Narbonne Ortelio e Musso Elida, Agagliate Emilio Secondo, tutti contro il Comune di Torino, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 48, primo comma, della legge 5 marzo 1963, n. 246, nella parte in cui dà facoltà ai comuni di "fissare la decorrenza dell'imposta se più favorevole dalla data iniziale già stabilita nella relativa deliberazione ai fini dell'applicazione del contributo di miglioria generica", nonché dell'art. 49, primo comma, della stessa legge, nella parte in cui richiama la suddetta disposizione dell'art. 48: e ciò per contrasto con gli art. 3 e 53 della Costituzione.

Le ordinanze premettono che nella specie le parti attrici hanno chiesto che sia dichiarata non dovuta l'imposta sugli incrementi di valore accertata a loro carico relativamente ad aree fabbricabili alienate prima dell'entrata in vigore della legge n. 246 del 1963, in quanto la sentenza 4 maggio 1966 n. 44 della Corte costituzionale, dichiarando la illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 25 di quella stessa legge, avrebbe privato il comune del potere di imporre il tributo retroattivamente, vale a dire nei confronti di coloro che abbiano alienato aree posteriormente alla data di riferimento fissata per la determinazione dell'incremento tassabile ma prima dell'entrata in vigore della legge suddetta.

Il Comune, opponendosi alle domande, ha fatto presente:

a) di aver sin dal 7 dicembre 1954 deliberato in via preliminare e di massima, ai sensi degli artt. 236 e seguenti del testo unico per la finanza locale approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, l'istituzione del contributo di miglioria generica, fissando la data del 1 gennaio 1950 per la determinazione del valore base delle aree edificabili; b) di avere con quattordici deliberazioni successive, approvate fra il novembre 1955 ed il dicembre 1957 - due delle quali (rispettivamente quelle del 22 novembre 1955 e del 15 dicembre 1955) regolarmente omologate dal Ministro per le finanze - disposto in altrettante zone del territorio comunale l'applicazione del contributo stesso. Sulla base di queste premesse, il comune ha sostenuto di aver istituito con deliberazioni del 24 settembre e del 7 novembre 1963 l'imposta sulle aree fabbricabili, avvalendosi del potere concessogli dagli artt. 48 e 49 della legge n. 246 del 1963 che, nel disporre l'obbligo di sostituire detta imposta al contributo di miglioria generica, avrebbero riconosciuto la facoltà di applicare detta imposta retroattivamente, e cioè dalla data iniziale già stabilita in ogni singola deliberazione istitutiva del contributo di miglioria: nei confronti quindi anche di coloro che in tale periodo hanno posto in essere quelle attività (alienazioni, utilizzazioni a scopo edificatorio) che concretano le fattispecie generatrici della imposizione. D'altra parte, le norme di cui agli artt. 48 e 49 innanzi ricordate avrebbero mantenuto piena efficacia nel loro ambito, non avendo formato oggetto di alcun riferimento né diretto né indiretto da parte della decisione della Corte costituzionale che ebbe a dichiarare la illegittimità del secondo comma dell'art. 25.

Il giudice a quo, reputando esatta questa interpretazione della normativa in esame e ritenendo che l'espressione usata dal legislatore "decorrenza dell'imposta" debba essere intesa nel senso di applicazione dell'imposta, e non già come data di riferimento per la determinazione dell'incremento tassabile, esprime l'avviso che in relazione alla retroattività del potere impositivo attribuito ai comuni dalle disposizioni di cui trattasi si prospettino gli stessi dubbi di legittimità costituzionale già emersi in riferimento al secondo comma dell'art. 25 e risolti nel senso della incostituzionalità con la sentenza n. 44 del 1966 di questa Corte, anche nell'attuale ipotesi risultando spezzato il rapporto che in base all'art. 53 della Costituzione deve sempre sussistere tra imposizione e capacità contributiva.

Inoltre, la circostanza che per effetto della normativa già ricordata sono colpiti dall'imposta sugli incrementi di valore i proprietari che abbiano alienato ed utilizzato, precedentemente all'entrata in vigore della legge, aree fabbricabili situate in zone del territorio comunale per le quali era stata già deliberata l'istituzione del contributo di miglioria generica, mentre a tale imposizione retroattiva sfuggono i proprietari di aree poste in altre zone del territorio comunale, determinerebbe una disparità di trattamento tra i cittadini di uno stesso comune, che in siffatto modo verrebbero sottoposti ad un diverso regime tributario, pur trovandosi nella medesima situazione giuridica rispetto ad un identico fatto imponibile. La già menzionata dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma secondo, della stessa legge esclude, poi, la facoltà dei comuni di far retroagire l'imposta relativamente anche a quelle zone per le quali non sia stata deliberata la istituzione del contributo di miglioria, così che verrebbe meno qualsiasi possibilità di eliminare l'accennata sperequazione fra i vari contribuenti: il che darebbe luogo ad una violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione.

Le ordinanze rilevano, infine, la decisiva influenza che la soluzione delle questioni così prospettate presenta per la definizione dei giudizi in corso.

Esse sono state tutte ritualmente notificate e comunicate, nonché pubblicate le prime nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 2 settembre 1967, l'ottava nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 14 ottobre 1967 e la nona nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 28 ottobre 1967.

2. - Si sono costituiti in giudizio, con deduzioni presentate nei termini, la società per azioni immobiliare Sant'Orsola, la signora Gardino Eurosita in Morgando, i signori Narbonne Ortelio e Musso Elida e il signor Agagliate Emilio Secondo. Si é anche costituito il Comune di Torino e ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso come per legge.

Tutte le parti, ad eccezione del signor Agagliate, hanno presentato ulteriori memorie illustrative.

3. - Le parti private fanno proprie e sviluppano le argomentazioni delle ordinanze, aggiungendo ulteriori profili per sostenere la tesi della illegittimità costituzionale degli artt. 48 e 49 della legge n. 246.

Si afferma in particolare dalla società Sant'Orsola che le disposizioni impugnate darebbero alla pubblica amministrazione un potere indiscriminato di stabilire la decorrenza retroattiva dell'imposta, agganciandola alle date fissate dalle delibere del Comune di Torino istitutive del contributo di miglioria generica, che già disponevano in modo inammissibilmente retroattivo.

Si mette poi in rilievo la diversità tra coloro che erano soggetti passivi del contributo di miglioria e coloro che sono assoggettati alla nuova imposta: così, ad esempio, mentre al contributo era soggetto chi avesse alienato, ma non anche chi avesse edificato, la nuova imposta incide anche su questa ultima ipotesi; chi avesse prima edificato e poi alienato, non sarebbe stato tenuto al contributo di miglioria, laddove é oggi tenuto all'imposta della legge n. 246, la quale avrebbe altresì, stando all'interpretazione prevalente, colpito di nullità i patti, per l'innanzi leciti, con cui l'alienante trasferisse all'acquirente e ad altri l'onere del tributo.

Si insiste anche sulla diversità tra la vecchia e la nuova imposta sotto altri profili: il contributo di miglioria essendo collegato alla duplice condizione della espansione dell'abitato e del complesso di opere pubbliche effettuate dal comune, l'imposta sull'incremento di valore delle aree essendo invece sganciata da condizioni del genere. Onde l'ulteriore conseguenza della incostituzionalità del secondo comma dell'art. 48, che tiene fermi, ai fini dell'applicazione della nuova imposta, i valori già definiti, i pagamenti effettuati e le iscrizioni a ruolo relative al contributo di miglioria. Analoga questione solleva a sua volta, come si dirà appresso, anche il Comune di Torino.

La divisione del territorio comunale in zone, con fissazione di decorrenze diverse per il contributo di miglioria, si giustifica alla stregua dei particolari presupposti di quel tributo, ma darebbe vita ad una illegittima sperequazione tra i contribuenti dello stesso comune quando in luogo del contributo si applichi, in alcune zone soltanto e con decorrenze diverse, l'imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili, senza che, dopo la sentenza n. 44 del 1966, il comune possa più provvedere a norma dell'art. 50 della legge, istituendo con effetto retroattivo la nuova imposta sulle aree comprese nelle altre zone del territorio comunale.

Un particolare profilo di incostituzionalità per violazione così dell'art. 53 come dell'art. 3 della Costituzione é fatto valere, con speciale riferimento al caso che direttamente la interessa, dalla signora Gardino in Morgando, in quanto alla nuova imposta sarebbe soggetto anche l'erede di colui che avesse, anteriormente all'entrata in vigore della legge, trasferito aree acquisendo incrementi di valore, che non sarebbe lecito presumere sussistano nel patrimonio dell'erede. Con differenza di trattamento, oltre tutto, tra quegli eredi che al momento dell'applicazione del tributo siano in tempo per rinunciare all'eredità od accettarla col beneficio d'inventario e quelli che, per il decorso del tempo, non siano più in grado di esercitare tali facoltà.

Infine, la difesa dei signori Narbonne e Musso, come anche quella del signor Agagliate, sottolineano la disparità di trattamento tra i proprietari di aree poste nelle zone del territorio comunale per le quali già era stato deliberato il contributo di miglioria e i proprietari di aree site in altre zone.

Più specialmente la difesa dei signori Narbonne e Musso contesta che il nuovo tributo possa considerarsi subentrato puramente e semplicemente al primo, mettendo in rilievo come

il fatto generatore dei due tributi riveli in molteplici ipotesi alcune diversità. La stessa difesa fa notare l'ambiguità della formula del primo comma dell'art. 48, che dà facoltà ai comuni di fissare la decorrenza dell'imposta, "se più favorevole", dalla data iniziale già stabilita ai fini del contributo di miglioria: tale ambiguità renderebbe possibili arbitrarie sperequazioni tra area e area e fra zona e zona. La stessa difesa condivide le censure in precedenza riferite relative al secondo comma degli artt. 48 e 49, che, ai fini dell'imposta sugli incrementi di valore, tengono fermi i valori già definiti, i pagamenti e le iscrizioni a ruolo già effettuate, ai fini dell'applicazione del contributo di miglioria.

4. - La difesa del Comune di Torino contesta le censure di illegittimità costituzionale mosse al primo comma dell'articolo 48 ed al primo comma dell'art. 49, sostenendo che si tratta di tipiche disposizioni transitorie: non sussisterebbe rottura del nesso tra potestà impositiva e capacità contributiva, il problema concernendo piuttosto la possibilità che la legge determini per relationem il presupposto del tributo. La nuova legge assumerebbe a presupposti della contribuzione fatti già qualificati dalla legge anteriore come presupposti del contributo da quest'ultima previsto, modificando l'aliquota in senso più favorevole al contribuente.

Quanto alle censure mosse dalle parti private alla retroattività delle delibere istitutive del contributo di miglioria adottate dal Comune di Torino, la difesa del comune stesso si dà carico del rilievo che in tal modo verrebbe a profilarsi una questione di costituzionalità delle norme del testo unico per la finanza locale sul contributo di miglioria, e solo in via derivata degli artt. 48 e 49 della legge n. 246, in quanto presuppongono quelle norme e ne riproducono in parte il contenuto. L'anzidetta difesa fa notare che non é retroattivo il testo unico sulla finanza locale, ma semmai retroattive sono le delibere, che avevano riguardo a situazioni obiettive verificatesi pur sempre dopo l'entrata in vigore dello stesso testo unico. La retroattività delle delibere si estendeva peraltro entro un arco di tempo più breve rispetto al periodo cui si riferiva il secondo comma dell'art. 25 della legge n. 246 del 1963, dichiarato costituzionalmente illegittimo da questa Corte; d'altra parte era da escludersi l'elemento della imprevedibilità dell'imposizione, anche perché il Comune di Torino aveva applicato un contributo di miglioria già in base al decreto legge 18 novembre 1923, n. 2538, e poi aveva adottato una delibera rimasta inattuata ai sensi del testo unico sulla finanza locale fin dal 14 novembre 1931.

Quanto alla censura di violazione di eguaglianza tra i contribuenti a seconda delle zone in cui é diviso il Comune di Torino, tale differenza di trattamento, secondo la difesa del comune, risalirebbe al testo unico sulla finanza locale e si giustificherebbe con riferimento alla diversa rilevanza che possono assumere l'espansione dell'abitato e il complesso delle opere pubbliche eseguite dal comune rispetto al valore delle aree poste nelle varie zone.

Gli artt. 48 e 49 darebbero luogo invece ad una disparità di trattamento per ragioni diverse, e cioé in quanto il secondo comma dell'art. 48, richiamato anche dall'art. 49, dispone che rimangano fermi agli effetti delle imposte sul plus valore delle aree fabbricabili i valori già definiti agli effetti dell'applicazione del contributo di miglioria generica, come pure i pagamenti già effettuati e le iscrizioni a ruolo già effettuate. Quindi, una diversità di valori e di tributi applicabili rispetto a un identico presupposto, dipendente da circostanze di fatto del tutto casuali. Peraltro, se questa censura dovesse ritenersi fondata, sempre secondo la difesa del Comune di Torino, la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dovrebbe riguardare soltanto il secondo comma di entrambi questi articoli, ferme restando le disposizioni di cui al primo comma.

Da ultimo e in via subordinata, per l'ipotesi che le questioni sollevate nelle ordinanze dovessero essere ritenute fondate, la stessa difesa prospetta la questione di costituzionalità dell'art. 52 della legge de qua, abrogante il contributo di miglioria generica in quanto sostituito dall'imposta sulle aree fabbricabili.

Tale questione, che le ordinanze avevano ritenuto irrilevante oltre che manifestamente infondata, potrebbe essere, secondo la difesa del comune, risolta dalla Corte in via conseguenziale, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, stante il rapporto di intima correlazione dell'abrogazione disposta nell'art. 52 con gli artt. 48 e 49. Se, poi, questa impostazione non dovesse essere accolta, l'art. 52 innanzi ricordato potrebbe essere interpretato nel senso che disponga la abrogazione solo in riferimento ai comuni che avessero deliberato l'istituzione del contributo di miglioria generica: in tal caso, se dovesse ritenersi incostituzionale la nuova imposta, questa disposizione non sarebbe a sua volta colpita da incostituzionalità derivata, ma non opererebbe alcun effetto abrogativo, consentendo l'applicazione delle precedenti norme sul contributo di miglioria generica.

In relazione agli argomenti come sopra svolti, le richieste conclusive della difesa del comune rimarrebbero in sintesi così precisate: in via principale la "manifesta infondatezza" delle questioni proposte; in via subordinata, la illegittimità costituzionale limitatamente ai disposti dell'art. 48, secondo comma, e dell'art. 49, secondo comma; in via ulteriormente subordinata, la incostituzionalità derivata dall'art. 52; oppure, nell'ordine, la manifesta infondatezza della questione ad essa relativa, con la precisazione nella pronuncia di rigetto che tale norma non esclude l'applicabilità degli artt. 236 e seguenti del testo unico sulla finanza locale, con riferimento agli articoli 48 e 49 della legge n. 246 del 1963; oppure, ancora, la illegittimità parziale dello stesso art. 52, in quanto potesse essere interpretato nel senso di una sua efficacia abrogativa delle norme del testo unico sulla finanza locale sul contributo di miglioria generica anche per i comuni che abbiano applicato le disposizioni transitorie degli artt. 48 e 49 innanzi citati.

5. - Anche la difesa dello Stato conclude per l'infondatezza delle questioni sollevate nelle ordinanze, muovendo, però, nell'atto di intervento, da una diversa interpretazione dell'art. 48 della legge de qua: secondo l'Avvocatura l'espressione "fissare la decorrenza dell'imposta... dalla data iniziale già stabilita nella... deliberazione istitutiva del contributo di miglioria generica" significherebbe, infatti, facoltà di assumere una data di riferimento del valore iniziale coincidente con quella della delibera, e non avrebbe riguardo alla data di decorrenza dell'applicazione dell'imposta.

Ma anche a voler seguire l'interpretazione accolta dal tribunale, prosegue l'Avvocatura, non sarebbe violato l'art. 53 della Costituzione, perché la nuova imposta sta in luogo di altra cui i soggetti passivi sapevano di dover far fronte e non sussisterebbe perciò quella imprevedibilità che la Corte avrebbe assunto come motivo della precedente decisione di incostituzionalità dell'art. 25 secondo comma.

Neppure vi sarebbe contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la diversità di trattamento corrisponderebbe a situazioni obiettivamente diverse, valutate in modo non irrazionale. Diversa sarebbe infatti la situazione giuridica dei cittadini già tassabili con il contributo di miglioria generica, al quale verrebbe a sostituirsi la nuova imposta, rispetto a coloro che dal contributo non fossero invece colpiti.

6. - Nella pubblica udienza le parti hanno insistito nelle conclusioni già formulate.

 

Considerato in diritto

 

1. - Negli scritti defensionali e nella discussione orale davanti a questa Corte, i patroni delle parti private e del comune di Torino hanno allargato i termini della questione di legittimità costituzionale oltre i limiti segnati dalle ordinanze di rimessione. Come ricordato in narrativa, queste ultime hanno esclusivo ed univoco riferimento a quella parte del primo comma dell'art. 48 della legge n. 246 del 1963, richiamata dal successivo art. 49, che attribuisce ai comuni, obbligati od autorizzati, secondo le diverse ipotesi, ad istituire in luogo del contributo di miglioria generica l'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, la facoltà di farne decorrere l'applicazione dalle date già fissate per l'applicazione del contributo. Tali disposizioni, secondo le ordinanze, contrasterebbero con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, con particolare riferimento, come risulta chiaramente dalle argomentazioni svolte, al primo comma dell'una e dell'altra disposizione costituzionale.

Rimangono perciò estranee al presente giudizio le censure mosse dalle parti nei confronti del secondo comma dell'art. 48, che non ha formato neppure implicitamente oggetto di denuncia nelle ordinanze del tribunale di Torino.

Sotto altro aspetto, esulano dalla competenza di questa Corte, involgendo questioni di legittimità di provvedimenti amministrativi o questioni di mera interpretazione ed applicazione ai casi concreti della legge ordinaria (così degli artt. 236 e seguenti del testo unico del 1931 sulla finanza locale, come della legge n. 246 del 1963), le doglianze in ordine alla retroattività delle delibere del Comune di Torino che ebbero ad istituire il contributo di miglioria generica in varie zone della città, e quelle attinenti alla particolare situazione dell'erede di chi avesse alienato aree anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge (nonché, come nella specie, anteriormente alla data delle delibere istitutive del contributo di miglioria), come pure, infine, la discussione circa l'applicabilità o meno all'imposta sugli incrementi di valore dell'art. 40 della legge n. 246, comminante l'inefficacia dei patti tendenti a trasferire l'onere dell'imposizione ad altri che non siano i soggetti indicati nella stessa legge.

2. - Secondo l'interpretazione in un primo momento prospettata dalla difesa dello Stato, la proposizione del primo comma dell'art. 48, denunciata dal tribunale, significherebbe che i comuni possono far coincidere la data di riferimento iniziale per il calcolo degli incrementi di valore ai fini della nuova imposta con quella già stabilita, agli stessi effetti, nelle delibere istitutive del contributo di miglioria generica. Se così fosse, non sorgerebbe questione di violazione dell'art. 53, primo comma, della Costituzione, poiché gli art. 48 e 49 non autorizzerebbero alcuna retroattività nell'applicazione dell'imposta.

Ma una siffatta interpretazione, pur se accolta anche in una circolare in data 4 marzo 1963 del Ministero delle finanze, contenente istruzioni per l'applicazione della legge n. 246, é stata esplicitamente disattesa dalle ordinanze di rimessione, e sembra alla Corte che queste siano nel vero quando fanno rilevare che, letteralmente e logicamente, la formula dell'articolo 48 sta invece a significare che anche la data di applicazione dell'imposta può essere quella medesima che era stata a suo tempo determinata dal comune nelle delibere istitutive del contributo di miglioria. Tecnicamente, é questo il senso corretto dell'espressione "fissare la decorrenza dell'imposta", e se improprietà c'é nel testo della legge, questa si incontra eventualmente nell'art. 49, laddove si parla dell'incremento dei valori verificatosi "dalle date di decorrenza indicate nell'articolo precedente".

Ma lo scambio tra le due date, che spesso si coglie anche nel corso dei lunghi e travagliati lavori parlamentari che portarono all'approvazione della legge n. 246, si spiega tenendo presente che del sistema complessivo da questa instaurato faceva originariamente parte integrante il secondo comma dell'art. 25, poi dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza 23 maggio 1966, n. 44, di questa Corte, e che in quel sistema la retrodatazione fino a un decennio del momento di riferimento iniziale degli incrementi di valore (praticamente la regola, interessando tutti i comuni obbligati a istituire la nuova imposta e parte di quelli facoltizzati) faceva tutt'uno con la retrodatazione dell'applicazione dell'imposta.

Ulteriore argomento in favore dell'interpretazione accolta dal tribunale di Torino si trae dal secondo comma dell'art. 48, che, tenendo fermi, ai fini dell'applicazione dell'imposta sugli incrementi di valore, oltre ai valori già definiti, anche i pagamenti e le iscrizioni a ruolo effettuati agli effetti dell'applicazione del contributo di miglioria, presuppone che la nuova imposta sia applicabile a fatti intervenuti sotto il vigore del testo unico del 1931 e concretamente rilevanti per l'applicazione del contributo di miglioria generica.

3. - A seguito della ricordata sentenza n. 44 del 1966, la retroattività dell'imposizione autorizzata dagli artt. 48 e 49 si restringe alle sole ipotesi espressamente previste nella seconda parte del primo comma dell'art. 48, e nel primo comma dell'art. 49, con la proposizione denunciata dalle ordinanze di rimessione. Trattasi infatti di norma a sé stante, sorretta da una sua propria e specifica ratio, che esattamente pertanto il tribunale ha considerato tuttora in vigore, nessuna incidenza avendo avuto su di essa la dichiarata illegittimità costituzionale dell'art. 25, secondo comma.

Non é esatto, invece, che le stesse ragioni che ebbero a determinare quella decisione valgano identicamente per la norma oggi sottoposta all'esame di questa Corte, nella sua interezza.

Nel secondo comma dell'art. 25 questa Corte ebbe a ravvisare violazione del principio del primo comma dell'art. 53, non già per il semplice motivo della retroattività dell'imposizione, ma per la dissociazione temporale che ne risultava tra capacità contributiva e sottoposizione al tributo, del quale la norma dichiarata incostituzionale consentiva l'applicazione a "rapporti esauriti", senza che soccorresse "alcuna razionale presunzione che gli effetti economici dell'alienazione e del valore realizzato con essa permangano nella sfera patrimoniale del soggetto", data anche la imprevidibilità della imposta. É noto d'altronde come la stessa dottrina tributaristica più sensibile ai limiti derivanti alla legislazione ordinaria dal principio della capacità contributiva non abbia mancato di rilevare che una legge può colpire una capacità contributiva esistente in un momento anteriore e rivelata da fatti passati, senza per ciò solo violare l'art. 53, purché vi sia una ragionevole presunzione che, nella normalità dei casi, quella capacità contributiva permanga al momento della imposizione.

Applicando i suesposti criteri al caso in esame, deve ritenersi che la situazione prevista dalla norma degli artt. 48 e 49. di cui é questione, é in parte diversa da quella che era regolata nel secondo comma dell'art. 25. Giacché, nella specie, la retroattività inerisce alla sostituzione di un tributo precedente con altro, strutturato bensì in modi sotto alcuni aspetti diversi, ma rispondente alla stessa funzione economico-sociale e diretto a colpire - con aliquote minori - gli stessi fatti produttivi di ricchezza del primo. Non vi ha dubbio, infatti, che l'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, storicamente e logicamente, deriva in linea diretta dal contributo di miglioria generica previsto dal testo unico sulla finanza locale, rappresentandone un ulteriore sviluppo e ammodernamento: non a caso, la legge de qua mostra chiaramente di considerare l'applicazione dell'un tributo alternativa rispetto all'applicazione dell'altro. E la disciplina dettata nelle disposizioni transitorie degli artt. 48, 49, 50, 51 e 52 tende a regolare il passaggio dall'uno all'altro tributo nei comuni che il primo avessero applicato o intrapreso ad applicare.

4. - Ora, se é vero che la cerchia dei soggetti passivi dell'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili é più larga di quella di coloro che erano sottoposti al contributo di miglioria generica, non é men vero, tuttavia, che questi ultimi vi sono certamente ricompresi: é pacifico in fatto, ad esempio, che tutti gli attori nei giudizi promossi contro il Comune di Torino, che hanno dato luogo al presente incidente di costituzionalità, erano in precedenza soggetti al contributo di miglioria generica alla stregua del testo unico del 1931 ed in forza delle deliberazioni, menzionate in narrativa, a suo tempo adottate dal comune stesso.

Ma, nei limiti entro cui vi ha coincidenza tra contribuenti soggetti alla nuova imposta e contribuenti già assoggettati al contributo, non sussiste violazione dell'art. 53, primo comma. Da un lato, infatti, a differenza da quanto si riscontrava nel caso dell'art. 25, secondo comma, non sarebbe possibile mettere in dubbio la piena prevedibilità dell'onere di una imposizione, astrattamente prevista come possibile dal testo unico del 1931, quando ne fosse stata decisa la istituzione con deliberazioni comunali, contro le quali gli interessati avevano a loro disposizione i ricorsi di cui all'art. 239 del testo unico; d'altro lato, la capacità contributiva che deve permanere in capo al soggetto passivo della nuova imposta, subentrante retroattivamente al tributo precedentemente istituito, é quella medesima - non solo astrattamente, quanto anche in concreto - sulla quale il contributo stesso per l'innanzi incideva.

Dove, al contrario, il principio del primo comma dell'art. 53 risulta violato, per ragioni analoghe a quelle rilevate dalla sentenza n. 44 del 1966 in ordine al secondo comma dell'art. 25, é nella estensione dell'imposta sugli incrementi di valore a soggetti diversi da quelli già tenuti a corrispondere il contributo di miglioria generica e con la stessa decorrenza stabilita per l'applicazione di quest'ultimo. Ciò che, nell'ambito delle zone del territorio comunale in cui doveva trovare applicazione il contributo di miglioria generica, può verificarsi in casi particolari e marginali come quelli della utilizzazione a scopo edificatorio fuori delle ipotesi dell'art. 241, ultimo comma, del testo unico sulla finanza locale, o della costruzione seguita da alienazione, e si verifica invece nella generalità dei casi con riguardo alle zone escluse dal contributo.

Ne segue la illegittimità costituzionale delle disposizioni denunciate, limitatamente alla parte in cui includono anche soggetti ai quali il contributo di miglioria generica non era applicabile.

5. - Alla stregua delle considerazioni sopra svolte deve essere presa in esame la censura di violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, per il diverso trattamento dei contributi nelle diverse zone del territorio comunale. La censura implica, evidentemente, che la facoltà di applicare la imposta con la stessa decorrenza del precedente contributo di miglioria, risultante dagli artt. 48 e 49, sia dalla legge circoscritta alle zone cui il contributo si riferiva. É questa l'interpretazione praticamente adottata dal Comune di Torino ed assunta come pacifica nelle ordinanze di rimessione.

Se così fosse, la questione dovrebbe dirsi infondata, perché, lungi dall'essere arbitraria o irrazionale, la differenziazione tra soggetti anteriormente tenuti al contributo di miglioria generica e soggetti ai quali esso non si applicava, ai fini di sostituire retroattivamente, con riferimento ai primi soltanto, la nuova imposta, sarebbe pienamente conforme ai principi ed in particolare, come si é visto, congegno idoneo ad evitare fenomeni di dissociazione tra capacità contributiva ed imposizione.

Sta di fatto, peraltro, che l'accennata differenziazione non é posta dalla legge, la quale, anzi, come si evince dalla norma dell'art. 50, é piuttosto orientata nel senso di ammettere l'applicazione retroattiva dell'imposta sugli incrementi di valore nell'intero territorio dei comuni che avessero già deliberato l'istituzione, anche se per alcune zone soltanto, del contributo di miglioria generica. Altrimenti detto, non c'é contrasto con l'art. 3 per ingiustificata diversità di trattamento, ma all'inverso per ingiustificata parificazione di situazioni tra loro obiettivamente diverse; ma la questione, più correttamente impostata in questi termini, rimane assorbita nella rilevata illegittimità costituzionale parziale della disciplina transitoria dettata dagli artt. 48, primo comma, e 49, primo comma, per violazione dell'art. 53 della Costituzione, secondo quanto si é in precedenza osservato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 48 e del primo comma dell'art. 49 della legge 5 marzo 1963, n. 246 (portante istituzione di una imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili) nella parte in cui, attribuendo ai comuni la facoltà di fissare la decorrenza dell'imposta se più favorevole dalla data iniziale già stabilita nella relativa deliberazione ai fini dell'applicazione del contributo di miglioria generica, consentono l'applicazione retroattiva dell'imposta anche nei confronti di soggetti non sottoposti al contributo di miglioria generica.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 1969.

Aldo SANDULLI  -  Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -  Costantino MORTATI  -  Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE 

 

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1969.