Sentenza n. 88 del 1968
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SENTENZA N. 88

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 110, primo comma, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1966 dal pretore di Imola nel procedimento penale a carico di Bettuzzi Ercole e Capelli Teresa, iscritta al n. 12 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 30 maggio 1968 la relazione del Giudice Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto penale in data 2 luglio 1966, il pretore di Imola condannò Capelli Teresa e Bettuzzi Ercole alla pena dell'ammenda nella misura di lire 25.000, per non avere esposto, nel loro esercizio di trattoria, la tabella dei giuochi d'azzardo e di quelli vietati dal questore, contravvenendo alle norme contenute nell'art. 110, primo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

Nel giudizio conseguente all'opposizione, ritualmente proposto dagli interessati, il pretore di Imola, su istanza del loro difensore, con ordinanza del 23 novembre 1966, sollevò questione di legittimità costituzionale della suindicata disposizione, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per violazione del principio della riserva di legge in materia penale.

Sulla rilevanza della questione si deduce nell'ordinanza che l'atto amministrativo del questore, contenente l'indicazione dei giuochi proibiti, costituisce un'integrazione del precetto penale e che la norma denunziata sarebbe privata del suo contenuto, se questa Corte ritenesse violato il principio della riserva di legge, in quanto, non potendosi tenere conto dell'indicazione dei giuochi proibiti, verrebbe conseguentemente a cadere l'obbligo di esposizione della relativa tabella.

Anche sulla non manifesta infondatezza della questione, nell'ordinanza si ribadisce che l'atto amministrativo del questore, sebbene in apparenza si presenti come un semplice presupposto della norma incriminatrice, costituisce essenzialmente un'integrazione del precetto penale. Si deduce al riguardo che la disposizione denunziata, nel punire l'omessa esposizione della tabella, fa riferimento all'atto amministrativo la cui esistenza é presupposto dell'obbligo di esposizione; nel demandare, però, l'indicazione dei giuochi proibiti all'autorità amministrativa, affiderebbe ad essa una regolamentazione discrezionale, che si tradurrebbe, poi, nel contenuto di norme punitive. E ciò sia direttamente - come nell'ipotesi dell'art. 723 del Codice penale sulla repressione dell'esercizio abusivo dei giuochi non d'azzardo vietati dall'autorità - sia indirettamente nel caso della mancata esposizione della tabella prevista dalla norma denunziata.

Una tale situazione normativa, che trarrebbe le mosse dal principio della punizione della generica disobbedienza alla legittima autorità, ad avviso del pretore, non sarebbe conforme al precetto costituzionale sopra richiamato; e, attribuendo all'autorità amministrativa un'ampia e generica discrezionalità - come risulterebbe evidente dal testo della norma denunziata, nella quale si parla di giuochi che "l'autorità (...) ritenga di vietare nel pubblico interesse" - sarebbe diversa da quelle fattispecie, per le quali questa Corte ha ritenuto legittimo il riferimento in precetti penali ad atti amministrativi, contenenti valutazioni di carattere contingente o qualificazioni tecniche.

Per quanto, infine, concerne i giuochi d'azzardo, si deduce che essi non sono enumerati nel codice penale, il quale si limita a precisare gli elementi essenziali (art. 721) e che, pertanto, la loro esplicita indicazione, rimessa dalla norma denunciata all'autorità amministrativa, potrebbe dar luogo ad una situazione contraddittoria, in quanto un giuoco, compreso nella tabella fra quelli ritenuti d'azzardo, potrebbe non essere considerato tale, sulla base dei criteri dell'art. 721 del Codice penale, dal magistrato chiamato a giudicare delle contravvenzioni di cui agli artt. 718 e 720 dello stesso Codice.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 25 febbraio 1967.

Nel giudizio dinanzi a questa Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 17 marzo 1967, nelle quali si chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

L'Avvocatura generale esprime, anzitutto, delle perplessità sulla rilevanza della questione, avanzando il dubbio che il pretore non abbia assolto all'obbligo di pronunziarsi su di essa e, in ogni caso, che il giudizio di rilevanza che appare formulato nell'ordinanza, in effetti non concerne la questione sollevata. Precisa al riguardo l'Avvocatura che il reato per cui si procede nel giudizio ordinario é previsto dalla norma denunziata, ma é punito, come reato di natura omissiva e contravvenzionale, dalla norma sanzionatoria contenuta nell'ultimo comma dell'art. 665 del Codice penale. Quest'ultima disposizione, che il giudice era stato chiamato ad applicare, non é stata denunziata né appare in contrasto con la Costituzione. Il giudizio di rilevanza dovrebbe, pertanto, riguardare soltanto la norma precettiva, contenuta nel primo comma del citato art. 110 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, che però si concreta esclusivamente nell'obbligo, legislativa - mente sancito, di esporre una tabella con alcune indicazioni, e, come tale, non sembra neppure esso in contrasto con il principio costituzionale della riserva di legge.

Ciò premesso, osserva l'Avvocatura che l'argomento addotto dal pretore sulla rilevanza della questione - e cioè che una volta ritenuto violato il suddetto principio costituzionale, non si potrebbe tenere conto dell'indicazione dei giuochi proibiti e verrebbe, di conseguenza, a cadere l'obbligo di esposizione della relativa tabella - si risolve in una petizione di principio, come lo stesso pretore avrebbe mostrato di avvertire, facendosi carico di richiamare, nella sua ordinanza, gli artt. 718, 720 e 723 del Codice penale, sulla punizione dei giuochi vietati. Ad avviso dell'Avvocatura, il giudizio di rilevanza espresso dal pretore potrebbe, infatti, essere riferito a questi articoli del Codice penale o meglio al solo art. 723, e non alla norma denunziata, il cui precetto non si sostanzierebbe nella determinazione amministrativa che si assume violatrice del principio della riserva di legge, ma in un comando legislativo avente diverso contenuto.

Nel merito l'Avvocatura generale deduce che l'indicazione nella tabella dei giuochi d'azzardo e di quelli proibiti nel pubblico interesse costituisce soltanto un presupposto di fatto della norma denunziata, la quale punisce esclusivamente il fatto-reato della mancata esposizione della tabella. In proposito richiama la giurisprudenza di questa Corte, nella quale si é statuito che gli atti e i provvedimenti amministrativi aventi, ad esempio, ad oggetto determinazione di prezzi, di prodotti, modificazioni a norme della circolazione stradale e, in genere, specificazioni del contenuto di singoli e definiti elementi di fattispecie, rispondenti a valutazioni di carattere tecnico o contingente, sono da considerare legittime manifestazioni dell'attività normativa, al di fuori del precetto penale, il quale deve ritenersi integralmente costituito dalla generica imposizione di obbedienza a quegli atti e provvedimenti.

Secondo l'Avvocatura, anche nel caso di specie, l'atto amministrativo del questore si concreta in valutazioni di carattere tecnico e contingente. Per quanto, in particolare, riguarda i giuochi d'azzardo, la loro indicazione nella tabella é, infatti, meramente esemplificativa e, seppure essi siano puniti dal Codice penale (art. 718) e non possono formare oggetto di licenze, ai sensi della norma denunziata, debbono essere elencati senza alcun riferimento ad un divieto. Pertanto, se nell'elenco dei giuochi d'azzardo, il questore includesse qualche giuoco privo delle caratteristiche fissate dal Codice penale (art. 721), una tale elencazione non sarebbe sufficiente a far sorgere la fattispecie criminosa; il che confermerebbe il carattere indicativo della tabella, che avrebbe lo scopo di facilitare il compito dell'esercente, nella concreta individuazione dei singoli giuochi d'azzardo.

Per quanto riguarda poi i giuochi proibiti nel pubblico interesse, si osserva che non sarebbe stata possibile una loro elencazione in un comando generale ed astratto del legislatore, tenuto conto che il concetto di pubblico interesse, richiamato dalla norma denunziata, é valutabile solo in concreto, per il suo contenuto di relatività e contingenza, in rapporto sia al fattore cronologico (come nel caso di ricorrenze festive o fiere e mercati) sia al fattore topografico (come nel caso di giuochi nei pressi di chiese, scuole o cantieri) sia infine alla diffusione del vizio del giuoco ed a particolari condizioni ambientali.

Si deduce anche che per tale specie di giuochi la loro elencazione risponde a valutazioni di carattere tecnico, essendo l'esercizio del giuoco in apposite sale sottoposto a licenza dall'art. 86 del citato T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, il che rende legittima l'imposizione di prescrizione nel pubblico interesse, ai sensi dell'art. 9 dello stesso T.U. Sotto questo punto di vista la norma denunziata si limiterebbe ad attuare una specificazione concreta di tali prescrizioni con una valutazione tecnica, in materia di giuoco, ai fini del rilascio della licenza, a tutela di pubblici interessi.

Nella pubblica udienza del 30 maggio 1968, l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle sue tesi e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rimessione ha denunziato a questa Corte l'art. 110, primo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per violazione del principio della riserva di legge in materia penale, muovendo dal presupposto che la tabella del questore, contenente l'indicazione dei giuochi proibiti, prevista dalla norma denunziata, costituirebbe un'integrazione del precetto penale; ed ha esattamente definito i termini della questione, deducendo che l'eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della citata disposizione farebbe venire meno le conseguenze penali, che, con il decreto di condanna, sono state poste a carico degli imputati, per l'omessa esposizione della tabella.

Il presupposto da cui muove l'ordinanza attiene al merito del giudizio a quo, e non può essere sindacato dalla Corte sotto il profilo della rilevanza (sentenza n. 15 del 18 marzo 1966), neppure al fine di accertare se il giudice, nel motivare su di essa, abbia applicato inesattamente o violato la legge (sentenza n. 44 del 21 giugno 1960).

2. - Nel merito la questione é infondata.

La denunziata disposizione, infatti, impone all'esercente di una sala da bigliardo o da giuoco di tenere esposta la tabella, vidimata dal questore, con l'indicazione dei giuochi d'azzardo e di quelli vietati nel pubblico interesse. Si tratta di un obbligo di fare che prescinde dal contenuto (pur se fosse parzialmente illegittimo) della tabella stessa.

Ne consegue che, ai fini del giudizio, non sorge il problema della legittimità dell'attribuzione al questore del potere di compilare - in un modo che é solo parzialmente discrezionale - la tabella dei giuochi d'azzardo e di quelli vietati nel pubblico interesse.

D'altro canto, l'obbligo di esposizione della tabella - nella quale, ai sensi del secondo comma dell'art. 110 del T.U., deve essere fatta espressa menzione del divieto delle scommesse - si risolve in una garanzia sia per l'esercente che per il giuocatore, per lo meno per quanto concerne l'avvertimento che taluni giuochi sono vietati.

Se, poi, la tabella del questore includa, illegittimamente, tra i giuochi non consentiti, un giuoco che non possa essere considerato tale, soccorre, in favore del trasgressore alle prescrizioni della tabella, la garanzia giurisdizionale del sindacato dello stesso giudice penale.

Quanto, poi, all'esercente, egli ha la possibilità di impugnare l'indebita inclusione di un giuoco nella tabella, attraverso i normali rimedi giurisdizionali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 110, primo comma, del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, sollevata con ordinanza del 23 novembre 1966 del pretore di Imola, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI

 

Depositata in cancelleria il 5 luglio 1968.