SENTENZA N. 77
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2450, terzo comma, del Codice civile, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 14 luglio 1966 dal presidente del Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Piazza Emilia e Di Sarro Crespi Maria ed altri, iscritta al n. 245 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967;
2) ordinanza emessa il 13 gennaio 1967 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Sirtori Margherita ed Angelo contro Masuelli Luigi e D'Addario Luigi, iscritta al n. 112 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1967.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Di Sarro Crespi Maria ed altri;
udita nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;
uditi gli avvocati Mario Boneschi e Vincenzo Mazzei, per Di Sarro Crespi ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di due procedimenti civili (Piazza contro Di Sarro Crespi e altri, Sirtori contro Masuelli e D'Addario) il presidente del Tribunale di Milano e rispettivamente il Tribunale di Milano emanavano il 14 luglio 1966 e il 13 gennaio 1967 due ordinanze di analogo contenuto: in esse si denuncia, per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, l'art. 2450, terzo comma, del Codice civile, che attribuisce al presidente del Tribunale il potere di nominare i liquidatori delle società che si trovino in particolari condizioni.
La norma sarebbe sospetta perché tale nomina, sia o non sia atto di volontaria giurisdizione, può non essere preceduta da contraddittorio e non é suscettibile di reclamo al collegio ex art. 739 del Codice di procedura civile; essa, con la sua efficacia immediata, può cagionare, alla società e ai soci, danni irrimediabili, ai quali spesso non riesce a porre rimedio neanche l'eventuale successivo giudizio di cognizione o tanto meno la società nei casi in cui alla nomina dei liquidatori si sia giunti per pretesa impossibilità di funzionamento o inattività dell'assemblea. Se poi la nomina, come sembra preferibile, dovesse considerarsi un provvedimento cautelare, questo, secondo il Tribunale di Milano, mancherebbe del necessario giudizio di convalida. Insomma, ammesso che alla nomina dei liquidatori possa procedersi anche quando non sia pacifico l'avvenuto scioglimento del rapporto sociale, la norma impugnata non garantirebbe il diritto di difesa della società e dei soci né durante tale nomina né dopo.
2. - Nella prima causa si sono costituiti i signori Di Sarro Crespi e altri con atto depositato l'11 agosto 1966. In esso si avverte come la nomina dei liquidatori, nel caso di cui all'art. 2448, n. 3, presupponga l'avvenuta realizzazione della causa di scioglimento (impossibilità di funzionamento o inattività dell'assemblea), della cui sussistenza giudica quindi, prima di passare alla nomina, il presidente del Tribunale senza che vi sia possibilità di reclamo. Perciò, anche se si trattasse d'un procedimento di volontaria giurisdizione (e contro l'opinione dominante può dubitarsene), esso non sarebbe collegato col giudizio che può instaurarsi sull'esistenza di quella causa e nel quale chi agisce si trova ad essere indubbiamente sacrificato; questi infatti ha l'onere della prova e deve rimuovere una situazione già in atto esercitando un'azione, che, per giunta, si ritiene diretta, non ad accertare l'avvenuto scioglimento della società, ma ad impugnare l'atto di nomina dei liquidatori.
Ne deriverebbero: compressione del diritto di difesa, che si svolge solo dopo un accertamento avvenuto ad opera del presidente del Tribunale spesso senza la conoscenza e il contraddittorio degli interessati, indispensabile in qualunque giudizio, e senza la necessaria motivazione;
la difficoltà, data l'azione che può essere stata svolta dai liquidatori, di riattivare il rapporto sociale, per ipotesi mai sciolto; in conclusione, garanzie processuali sacrificate alla speditezza d'un giudizio che invece proprio per la sua sommarietà e delicatezza richiederebbe la collaborazione di tutti (società, soci e terzi).
La norma infine contrasterebbe col principio d'eguaglianza (art. 3 della Costituzione), poiché permette che si accerti lo scioglimento della società con una procedura diversa da quella relativa alla risoluzione d'altri rapporti, e sottrarrebbe la decisione al giudice naturale (art. 25 della Costituzione).
3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri é intervenuto nella prima causa, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 15 dicembre 1966, nel quale si nega l'incostituzionalità della norma quand'anche la si interpreti come, in via ipotetica, propone l'ordinanza di rinvio. La nomina presidenziale dei liquidatori, per la dottrina, é sempre, nonostante una sentenza parzialmente contraria della Cassazione, un atto di volontaria giurisdizione attinente alla gestione della società; come tale esso non condiziona né pregiudica l'eventuale giudizio contenzioso promosso da chi neghi il presupposto della nomina, cioè l'avvenuto scioglimento della società; perciò, sulla scorta di alcune sentenze della Corte costituzionale (n. 11 e n. 70 del 1965), l'Avvocatura dello Stato sostiene che l'assenza del contraddittorio, inerente alla tipica struttura del procedimento (come in quello monitorio o per decreto penale), non violi il diritto di difesa: diritto che invece può realizzarsi secondo le norme ordinarie nel predetto giudizio contenzioso, eventualmente promosso da un interessato ed autonomo rispetto all'atto di nomina dei liquidatori.
4. - Le parti private hanno arricchito le loro argomentazioni in una lunga memoria depositata il 28 maggio 1968 e nella discussione orale; ad esse, nel corso di quest'ultima, ha replicato la difesa del Presidente del Consiglio.
Considerato in diritto
1. - É stato denunciato l'art. 2450, terzo comma, del Codice civile perché attribuisce al Presidente del Tribunale il potere di nominare i liquidatori anche quando si contesti l'avvenuto scioglimento della società per impossibilità di funzionamento o per inattività dell'assemblea: dato che il provvedimento può non essere preceduto da contraddittorio, non é motivato e non é reclamabile al collegio ex art. 739 del Codice di procedura civile, la norma violerebbe il diritto di difesa dei soci e della società.
La questione é infondata.
Quale che sia la natura del procedimento é certo che esso non ha effetti decisori rispetto allo scioglimento della società: il Presidente, dopo un'indagine sommaria analoga a quella che precede le misure cautelari, può nominare i liquidatori sul presupposto che la società si sia sciolta per impossibilità di funzionamento o per inattività dell'assemblea; ma, senza dubbio, non accerta né l'avvenuto scioglimento né le cause che lo avrebbero prodotto: tanto é vero che sulla questione uno qualunque degli interessati (presente o non presente) potrà promuovere un giudizio ordinario e, provata l'insussistenza delle cause di scioglimento, ottenere la rimozione degli effetti del decreto presidenziale.
In realtà, diversamente dal provvedimento previsto nell'art. 274, secondo comma, del Codice civile (sentenza del 1965 n. 70), quel decreto non preclude né compromette l'esercizio dell'azione in sede contenziosa. Le parti private, sull'eco dell'ordinanza di rinvio, lamentano la non reclamabilità del decreto; ma non tengono conto di ciò, che, se esso fosse reclamabile sul punto dello scioglimento, il reclamo dovrebbe essere proposto entro termine breve e darebbe luogo a pronunzia in camera di consiglio (art. 739 Cod. proc. civ.): sotto questo aspetto invece il sistema vigente offre ai dissenzienti una tutela maggiore poiché permette loro di esercitare l'azione ordinaria senza termini di decadenza e di difendersi con la garanzia d'un più aperto contraddittorio.
Per concludere, poiché il giudizio sullo scioglimento della società si svolge in un secondo tempo dinanzi al giudice competente, il fatto che in precedenza possa essere mancato il contraddittorio non colpisce l'art. 24 della Costituzione.
2. - Una delle ordinanze e le parti private accennano al pericolo derivante dall'immediata esecuzione del decreto di nomina del liquidatore: tra l'altro questi, nel legittimo esercizio del suo potere, potrebbe anche disperdere i beni sociali compromettendo in qualche modo la futura ripresa dell'attività imprenditrice alla quale frattanto apra la via la pronuncia favorevole del giudice dell'accertamento.
Questa situazione, ovviamente, può prodursi solo se non si accolga l'indirizzo, seguito anche da talune Corti, secondo cui l'esercizio dell'azione nelle vie ordinarie sospende il procedimento dinanzi al Presidente.
Tuttavia, anche esclusa la sospensione, a parte che il sorgere della lite induce il liquidatore ad estrema prudenza nello svolgimento della sua attività, il pericolo é di quelli a cui é dato porre rimedio. Infatti chi contesta in sede contenziosa l'avvenuto scioglimento della società può chiedere "i provvedimenti d'urgenza... più idonei ad assicurare gli effetti della decisione di merito" posto che, nel caso ipotizzato, vi sia minaccia d'"un pregiudizio imminente e irreparabile" (art. 700 del Cod. proc. civile).
Del resto non si può tacere da un canto che, perfino se il decreto di nomina fosse reclamabile, il reclamo non ne sospenderebbe sempre l'efficacia (v. art. 741, secondo comma, Cod. proc. civ.); dall'altro, che, comunque, la pronuncia favorevole in sede contenziosa obbliga al risarcimento dei danni, derivati dalla liquidazione, chi aveva chiesto tale nomina. La situazione é ben diversa da quella del presunto infermo di mente che un decreto camerale abbia privato della libertà col pericolo di cagionargli un danno, per la natura del diritto colpito, assolutamente irreparabile (sentenza n. 74 di pari data).
3. - Si é sostenuto in corso di causa che il decreto presidenziale non offra garanzie proprio perché viene preso in assenza della società e all'insaputa dei soci.
Se con questo si intende ripetere che manca il contraddittorio, a ciò s'é data risposta più sopra. Se invece si vuol denunciare la segretezza del procedimento che non assicura né alla società né ai soci la conoscenza di quanto vi "si sta preparando" e la possibilità di difesa tempestiva nelle vie ordinarie, si cade in un equivoco. Infatti é da dire innanzi tutto che non si emana il decreto di nomina senza aver informato almeno il rappresentante legale della società; ma specialmente si può osservare come sia inverosimile l'ipotesi che gli amministratori sociali rimangano all'oscuro del provvedimento o della sua esecuzione.
Quanto ai soci, basti rilevare che, neanche se il procedimento di nomina si svolgesse col rito normale, dovrebbero essere citati o informati. Perciò gli uni e gli altri, se non promuovono in tempo il giudizio di cognizione, potranno rimproverare soltanto se stessi.
4. - L'art. 2450 Codice civile é stato denunciato anche per violazione del principio d'eguaglianza (art. 3 della Costituzione): non sì giustificherebbe come, se presupposto della liquidazione é l'inefficienza dell'assemblea, sia il Presidente a provvedere, mentre negli altri casi di scioglimento della società si procede colle forme ordinarie.
Anche questa denuncia é infondata. Il legislatore é partito dalla considerazione che l'inefficienza dell'assemblea, cioè l'impossibilità di funzionamento o l'inattività, sia facilmente constatabile e produca una situazione così critica da richiedere l'intervento immediato dei liquidatori. L'opportunità della norma e stata discussa e può essere discutibile ma con un giudizio che questa Corte non potrebbe emettere senza colpire la discrezionalità del legislatore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata in riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione con le ordinanze del 4 luglio 1966 e 13 gennaio 1967 del Presidente del Tribunale e del Tribunale di Milano, sulla legittimità costituzionale dell'art. 2450, terzo comma, del Codice civile (nomina dei liquidatori di società con decreto del Presidente del Tribunale).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 1968.
Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1968.