Sentenza n. 61 del 1968
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SENTENZA N. 61

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, commi quarto e quinto, del T.U. delle leggi sul credito fondiario, approvato con il R.D. 16 luglio 1905, n. 646, promosso con ordinanza emessa il 1 giugno 1966 dal Tribunale di Benevento nel procedimento civile vertente tra Di Dio Angelo ed altri e la Sezione autonoma del credito fondiario della Banca nazionale del lavoro, iscritta al n. 166 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 239 del 24 settembre 1966.

Visti gli atti di costituzione della Banca nazionale del lavoro e di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 22 aprile 1968 la relazione del Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;

uditi l'avv. Giuseppe Cosenza, per la Banca nazionale del lavoro, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con atti datati rispettivamente 15 luglio e 29 settembre 1960 la Sezione autonoma di credito fondiario della Banca nazionale del lavoro concedeva ad Angelo Di Dio un mutuo fondiario con garanzia ipotecaria gravante su fondo del debitore sito in Benevento.

In data 17 febbraio 1962 decedeva il mutuatario Angelo Di Dio.

Successivamente, a seguito di morosità nel pagamento delle rate di mutuo, la Sezione mutuante intimava alla ditta iscritta, precetto di pagamento che, in sede di notificazione, veniva consegnato "a mani dell'erede figlio Pompeo, così qualificatosi", e procedeva a pignoramento immobiliare, sempre a carico della ditta iscritta, con atto del 25 settembre 1963, che, in sede di notificazione, veniva consegnato "a mani di Di Dio Antonino, fratello del titolare Pompeo, convivente e capace".

Con ricorso datato 28 settembre 1963, diretto al giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Benevento, Pompeo Di Dio e Felicina Reale, questa ultima in nome proprio e quale legale rappresentante del figli minori Antonio, Benedetto, Anna e Giovanni Di Dio, proponevano opposizione avverso i suddetti atti di precetto e pignoramento immobiliare, deducendo la nullità ed inefficacia del precetto e del pignoramento, sotto il profilo che questi erano stati diretti al debitore deceduto con notificazione ad uno solo degli eredi, oltre l'anno dalla morte del debitore originario, nonché per avere agito il creditore procedente in forza di titolo qualificato esecutivo, ma non notificato agli eredi a norma dell'art. 477 del Codice di procedura civile. Deducevano, inoltre, la violazione dell'art. 506 del Codice civile, in relazione all'art. 408 dello stesso Codice.

Alla udienza di comparazione delle parti, la Sezione di credito fondiario, chiedeva il rigetto dell'opposizione deducendo che, a norma dell'art. 20 del testo unico delle leggi sul credito fondiario, approvato con R.D. 16 luglio 1905, n. 646, qualora i successori ed aventi causa del debitore non provvedano a notificare giudizialmente il trasferimento in loro favore dell'immobile ipotecato, gli atti giudiziari possono essere ritualmente diretti contro il debitore iscritto.

Nella specie, pertanto, non avendo i successori dell'originario debitore Angelo Di Dio provveduto ad effettuare la notificazione predetta, gli atti di precetto e di pignoramento erano stati legittimamente diretti nei confronti del debitore iscritto.

Infine, secondo l'istituto mutuante, non poteva invocarsi nella fattispecie l'art. 506 del Codice civile, in quanto tale norma non poteva ritenersi abrogativa della legge speciale anteriore.

Il Tribunale di Benevento, con ordinanza emessa il 1 giugno 1966, sollevava di ufficio la questione di legittimità costituzionale del commi quarto e quinto dell'art. 20 del T.U. delle leggi sul credito fondiario, approvato con R.D. 16 luglio 1905, n. 646, in relazione all'art. 24, comma secondo della Costituzione.

Assumeva il Tribunale che le norme indicate, disponendo che "in mancanza di tale notificazione (quella prevista nei commi precedenti) gli atti giudiziali... possono essere diretti (dall'istituto mutuante) contro il debitore iscritto, quando anche il fondo per morte (di questo)... sia nel frattempo passato nelle mani di uno o più eredi"... e che "avvalendosi di codesta facoltà, l'istituto non ha l'obbligo di citare in causa gli altri interessati", costituiscono una speciale deroga a ben noti principi sanciti dal Codice civile e dal Codice di procedura civile. Infatti, con la norma dettata dal citato art. 20, per un verso, si statuisce che il creditore ipotecario, quando il bene ipotecato sia stato trasferito ad altro soggetto, può legittimamente proseguire la procedura espropriativa nei confronti dell'originario debitore senza notificare gli atti ai successori; per altro verso, si deroga al principio generale secondo cui ogni procedimento giudiziario può essere instaurato solo nei confronti di persone viventi.

Nella specie, poi, dalla prosecuzione del giudizio nei confronti del debitore originario, già deceduto, consegue che anche i soggetti in favore dei quali il bene é stato trasferito debbano essere considerati terzi.

Da codesta impostazione, secondo l'ordinanza del Tribunale, deriverebbe che, in primo luogo, la opposizione proposta dagli eredi di Angelo Di Dio non potrebbe essere qualificata opposizione del debitore, a sensi degli artt. 615 e 617 del Codice di procedura civile, bensì opposizione di terzo, diretta a contestare la legittimità dell'esecuzione intrapresa ed a dichiarare la irritualità degli atti; in secondo luogo, attesa l'indicata qualificazione dell'opposizione, dovrebbe essere integrato il contraddittorio nei confronti del debitore esecutato, nella specie, nei confronti di Angelo Di Dio, deceduto.

Ma codesta integrazione non potrebbe essere effettuata, essendo il debitore deceduto, e non prevedendo l'art. 20 citato, alcun accorgimento idoneo a far sì che quel soggetto possa essere utilmente presente nel processo: onde la violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 239 del 24 settembre 1966.

Delle parti private si costituiva soltanto la Sezione autonoma di credito fondiario della Banca nazionale del lavoro, con deduzioni depositate in data 12 ottobre 1966 cui facevano seguito altre deduzioni depositate in data 8 aprile 1968, e chiedeva che questa Corte dichiarasse non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 citato.

A sostegno della propria richiesta la Sezione di credito fondiario, con gli indicati atti, premesso il richiamo della sentenza n. 166 del 1963 di questa Corte, con la quale si affermava il principio che le particolari agevolazioni di natura sostanziale e processuale concesse agli istituti esercenti il credito fondiario trovano la loro giustificazione nella peculiare natura pubblicistica degli interessi da questi perseguiti, deduceva che le disposizioni impugnate con l'ordinanza del Tribunale di Benevento si inseriscono, per l'appunto, nel complesso di norme dettate per la realizzazione di quegli interessi, ritenuti da questa Corte, meritevoli di speciale tutela.

In particolare si sottolineava, negli indicati scritti difensivi che l'art. 20, commi quarto e quinto, del T.U. sul credito fondiario, non pone limitazioni insuperabili al diritto di difesa, bensì sottopone l'esercizio di esso all'adempimento di un onere del tutto ragionevole, quale quello costituito dalla notificazione all'istituto dell'avvenuto trasferimento del bene ipotecato.

D'altra parte le peculiari forme di pubblicità cui é sottoposto il procedimento di esecuzione immobiliare costituiscono, secondo la difesa dell'istituto, strumenti idonei per portare a conoscenza del successori o aventi causa del debitore originario l'inizio e la prosecuzione del processo esecutivo.

Nella specie, poi, gli eredi del Di Dio erano pienamente venuti a conoscenza della esistenza della procedura esecutiva immobiliare, come é dimostrato dal fatto che essi hanno proposto tempestivamente opposizione.

Approfondendo ulteriormente le argomentazioni indicate, la difesa dell'istituto mutuante contestava che l'opposizione proposta dagli eredi di Angelo Di Dio fosse da inquadrare entro lo schema della opposizione di terzo, diversi essendone i caratteri, a norma dell'art. 619 del Codice di procedura civile. Conseguentemente negava che potesse profilarsi un problema di integrazione del contraddittorio, anche sotto il profilo che tutti i successori del debitore iscritto erano parti nel giudizio.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri interveniva in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato che depositava in data 13 ottobre 1966 atto di intervento, e in data 9 aprile 1968, memoria difensiva, e chiedeva che venisse dichiarata la infondatezza della sollevata questione.

A sostegno della richiesta l'Avvocatura dello Stato richiamava preliminarmente la già citata sentenza n. 166 del 1963 di questa Corte, e rilevava che la norma impugnata, ponendo a carico della parte interessata un onere di natura esclusivamente processuale, non lede il diritto di difesa, ma si inquadra nel complesso di norme dirette, per la tutela di interessi superiori, a rendere più agevoli e spedite le procedure esecutive nei confronti del debitori per mutui fondiari.

D'altra parte, i commi quarto e quinto del più volte citato art. 20, secondo l'Avvocatura, non determinano violazione alcuna del diritto di difesa del terzo proprietario del bene, in quanto a questo é aperto la possibilità di avvalersi di tutti quei mezzi processuali che egli ritenga idonei alla sua difesa nei confronti del creditore espropriante.

Conseguentemente, secondo l'Avvocatura, non é lesiva del diritto di difesa la norma che impone agli eredi o aventi causa del debitore originario l'onere di notificare tale loro qualifica, dovendosi considerare costoro, qualora la notificazione in parola non sia stata effettuata, semplici detentori del bene, nei cui confronti il creditore espropriante non ha alcun obbligo processuale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Benevento, nel procedimento iniziato da Pompeo Di Dio ed altri (quali eredi di Angelo Di Dio) col ricorso diretto al giudice dell'esecuzione, ha ritenuto di dover ravvisare un'opposizione di terzo avverso l'esecuzione immobiliare premessa dalla Sezione autonoma di credito fondiario della Banca nazionale del lavoro, contro il debitore iscritto Angelo Di Dio già deceduto. Ha ritenuto altresì di doversi porre il problema della necessità o meno che il contraddittorio venisse integrato con la chiamata in giudizio del detto debitore e lo ha risolto positivamente, giudicando pregiudiziale che a ciò si provvedesse. Poste queste premesse, al Tribunale é parsa rilevante e non infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, commi quarto e quinto, del testo unico delle leggi sul credito fondiario, approvato con il R.D. 16 luglio 1905, n. 646, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione. Il diritto di difesa non sarebbe garantito, con l'effettività e le possibilità di esercizio volute dalla Costituzione, perché le dette disposizioni, pur prevedendosi come unico legittimato passivo della speciale procedura esecutiva immobiliare l'originario debitore iscritto ancorché deceduto, non dicono, qualora gli atti siano stati diretti a costui, come lo stesso possa essere chiamato e comparire nel procedimento esecutivo o essere citato e costituirsi in quello incidentale di opposizione di terzo e comunque difendersi contro le pretese avanzate dall'avversario o da terzi.

2. - Nonostante che il Tribunale, di fronte alla specie sottoposta al suo esame, abbia sollevato la questione di legittimità costituzionale nei termini sopraddetti, e che di essa, così come é stata prospettata, potrebbe essere dichiarata immediatamente l'infondatezza, stante la non configurabilità di un diritto di difesa del debitore iscritto che sia deceduto e stante altresì la mancanza di validi strumenti per un'eventuale tutela di interessi autonomi ed oggettivamente considerati, appare opportuno che la relativa ordinanza venga interpretata in senso utile.

Escluso altresì che si possa dire circa l'ammissibilità e legittimità dell'esercizio, sia pure indiretto, del diritto di difesa da parte del debitore iscritto che sia già deceduto, la Corte si dà carico di valutare la denunciata violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione, prendendo in considerazione la posizione delle persone che, a seguito della morte del debitore iscritto, gli siano succedute in qualità di eredi, e, in forza di trasferimento o della stessa successione mortis causa, abbiano acquistato la proprietà del bene ipotecato.

Così impostato il problema, non dovrebbe dar luogo a fondate perplessità il fatto che l'istituto mutuante possa dirigere gli atti giudiziari contro il debitore iscritto, ancorché deceduto, e possa quindi promuovere contro di lui la esecuzione immobiliare, senza obbligo di "citare in causa" i suoi successori. Va, anzitutto, rilevato che le relative disposizioni non riflettono un'ipotesi isolata dell'ordinamento giuridico. In tema di espropriazione per pubblica utilità é infatti parimenti consentito che il procedimento si instauri nei confronti del proprietario iscritto nei registri catastali ed in difetto nei ruoli dell'imposta fondiaria (art. 16 della legge 25 giugno 1865, n. 2359).

E va ancora osservato che, nell'ipotesi di morte del debitore iscritto, quella facoltà esiste e permane se e fino a quando i successori a titolo universale o particolare del debitore e gli aventi causa non notifichino giudizialmente all'istituto "come essi sono sottentrati nel possesso e godimento del fondo ipotecato", con elezione di domicilio nel luogo del Tribunale nel cui circondario é situato il fondo (art. 20, commi primo e terzo, cit. T.U.).

L'istituto mutuante, da un canto, ed i successori ed aventi causa del debitore iscritto già deceduto, dall'altro, trovano, in tal modo, nelle citate disposizioni, una corretta ed equilibrata tutela del rispettivi interessi. In particolare, la norma che condiziona la possibilità di diretta ed immediata conoscenza del processo esecutivo da parte del detti successori ed aventi causa, all'adempimento dell'indicato onere, non può dirsi posta in violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione ed anzi rientra, come é stato esattamente notato dalla difesa della Sezione di credito fondiario e dall'Avvocatura dello Stato, in un complesso di disposizioni (contenute nel citato testo unico) e dirette ad assicurare attraverso la più rapida ed agevole realizzazione il buon funzionamento del meccanismo del credito, e ritenute da questa Corte conformi al dettato costituzionale (sentenza n. 166 del 1963). Ma se il ripetuto onere non viene osservato e quindi l'istituto mutuante dirige gli atti giudiziari contro il debitore iscritto, ancorché deceduto, non é consentito vedere in ciò una compressione o menomazione del diritto di difesa del successori ed aventi causa. Effettuata dal debitore originario l'elezione di domicilio (giusta l'implicito disposto dell'art. 43, comma secondo, del citato testo unico), la notificazione degli atti (ed in caso di esecuzione immobiliare, del precetto, del pignoramento, dell'istanza di vendita, ecc.) deve aver luogo "al domicilio eletto nell'istrumento di mutuo" e la consegna viene legittimamente fatta alle persone previste dalle norme e dai principi di diritto comune. Tutto ciò rende possibile e comunque non esclude che gli interessati abbiano diretta conoscenza del processo esecutivo che li riguardi. Ma ove non bastasse, soccorrono altri strumenti ed accorgimenti, che, saggiamente usati, integrano il sistema in modo tale che non risulta impedito né viene reso difficile l'esercizio del diritto di difesa da parte dei soggetti sostanzialmente esecutati e del successori nell'originario debito. Rientra certamente, infatti, e tra l'altro, tra i poteri del giudice quello di disporre, ad es., che il precetto ed il pignoramento consegnati a persona qualificatasi come crede del de cuius (come é avvenuto nella specie), siano notificati nuovamente ed a detta persona, nella qualità.

E non si perviene a differenti conclusioni, neppure se si ipotizzi il caso che la morte del debitore originario si verifichi in circostanze oggettive e soggettive tali per cui i successori e gli aventi causa la ignorino, con la conseguenza di non essere in fatto a conoscenza (interessata) dell'iniziata e proseguita esecuzione immobiliare. Pur nella mancanza di una notifica del titolo esecutivo (che non é necessaria - come dice espressamente l'art. 43, comma primo, del citato testo unico - nei confronti del debitore originario) ai successori ed aventi causa del defunto, é attraverso il compimento degli atti (anche se sono stati diretti a sensi del testo unico) della procedura esecutiva, che i successori ed aventi causa vengono ad essere adeguatamente posti in grado di aver conoscenza della procedura esecutiva stessa e di proporre nel processo esecutivo o in quello di opposizione, le loro ragioni e difese. Per convincersi di ciò, basti pensare al fatto che il pignoramento va trascritto (art. 555 del Codice di procedura civile) e che l'acquirente del bene ipotecato, il quale non abbia curato di farsi conoscere dall'istituto mutuante, ha interesse ad accertare se intervengano trascrizioni contro il suo dante causa ed a favore del detto istituto; che dell'istanza di vendita deve essere data pubblica notizia a norma dell'art. 490 del Codice di procedura civile (art. 173 delle disposizioni d'attuazione di detto Codice): che alla determinazione del valore dell'immobile pignorato (sempre che l'istituto mutuante non si avvalga della valutazione fattane nel contratto di mutuo) si procede dal giudice anche a mezzo di un esperto da lui nominato (art. 568 del Codice di procedura civile); e che alla pubblicità prevista dal citato art. 490 é soggetta l'ordinanza di vendita.

In tal modo, i successori e gli aventi causa dell'originario debitore hanno larghe possibilità di venire a conoscenza della procedura esecutiva.

3. - Sulla base della conoscenza, direttamente o indirettamente acquisita, dell'esistenza del processo esecutivo rivolto contro l'originario debitore ed inteso alla realizzazione del credito a mezzo della vendita del bene pignorato, i successori ed aventi causa del debitore defunto sono posti in grado di far valere le loro ragioni e difese. Così essi possono comparire nel processo esecutivo, prendendo parte, ad es., all'udienza fissata per l'autorizzazione della vendita e in tal caso possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita stessa. Possono altresì proporre opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi.

Del pari secondo le norme di diritto comune, é assicurata la partecipazione al processo di codesti soggetti qualora venga proposta opposizione di terzo, attesa l'esistenza di un litisconsorzio necessario tra l'opponente, il creditore procedente ed il debitore esecutato (e a seguito della morte di questo, i suoi successori ed aventi causa).

Deve per ciò riconoscersi che é sufficientemente garantito l'esercizio del diritto di difesa. La esistenza, nel processo esecutivo, di preclusioni e decadenze, poste a garanzia dell'interesse del creditore ed a carico del debitore o del terzo e sostanzialmente intese a tutelare l'esigenza obiettiva di una giustizia efficace e sollecita, non pone i detti soggetti in una posizione diversa da quella riconosciuta al debitore iscritto, qualora gli atti esecutivi siano a lui rivolti e portati a diretta sua conoscenza, perché, ad avviso della Corte, dal complesso .delle disposizioni speciali e di diritto comune, in parte sopra ricordate, é assicurato quel presupposto (conoscenza o agevole conoscibilità) che, nell'assenza di termini eccessivamente brevi e di operazioni preparatorie eccessivamente complesse, toglie alle preclusioni e alle decadenze l'astratta potenzialità ad incidere sul diritto di difesa.

4. - Nel caso sottoposto al suo esame, il Tribunale di Benevento, avendo ritenuto che gli eredi dell'originario debitore iscritto avevano proposto un'opposizione di terzo, si é prospettato ed ha risolto positivamente, come si é detto, il problema della necessità di integrazione del contraddittorio.

A prescindere dalla circostanza, non rilevante in questa sede, che nella specie opponenti (qualificati terzi dal Tribunale) erano proprio i successori (e tutti i successori) del debitore (iscritto già deceduto ed) esecutato e quindi il contraddittorio era integro, ed ipotizzando invece che alla integrazione dovesse provvedersi, anche in relazione a codesta ipotesi, la denunciata illegittimità costituzionale dell'art. 20, commi quarto e quinto, del citato testo unico non esiste perché alla mancanza di un obbligo a carico dell'istituto procedente di "citare in causa gli altri interessati e non intervenuti per integrare il giudizio" fa riscontro il disposto di cui all'art. 102 del Codice di procedura civile, applicabile nei confronti degli opponenti e senza che questi assumano un onere non sopportabile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, commi quarto e quinto, del T.U. delle leggi sul credito fondiario, approvato con il R.D. 16 luglio 1905, n. 646, sollevata con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 6 giugno 1968.