Sentenza n. 58 del 1968
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SENTENZA N. 58

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29 (norme per la disciplina della riscossione del carichi in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari), e 28 marzo 1962, n. 147 (interpretazione autentica della legge 26 gennaio 1961, n. 29, circa la disciplina degli interessi di mora dovuti sulle tasse ed imposte indirette sugli affari di natura complementare), promosso con - ordinanza emessa il 18 maggio 1966 dalla Commissione provinciale delle imposte di Venezia sul ricorso di Grisolia Enrico e Giomo Angelo contro l'Ufficio del registro di Venezia, iscritta al n. 179 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 15 ottobre 1966.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione dell'Amministrazione finanziaria dello Stato;

udita nell'udienza pubblica del 9 aprile 1968 la relazione del Giudice Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Amministrazione finanziaria dello Stato.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - I signori Enrico Grisolia e Angelo Giomo in una denunzia di successione dichiaravano il valore dell'asse ereditario di lire 6.120.000, che in seguito l'Ufficio accertava nel maggiore importo di lire 13.950.000. In data 30 luglio 1964, mentre pendeva un ricorso dinanzi alla competente Commissione provinciale delle imposte, l'accertamento si concludeva con l'adesione del contribuenti ad un concordato per un valore tassabile di lire 9.306.000, sul quale lo stesso giorno veniva pagata l'imposta complementare di successione di lire 1.680.000.

In prosieguo, l'Ufficio finanziario, in sede di verifica, ritenendo non completamente soddisfatti i diritti dell'Amministrazione, notificava ai contribuenti un'ingiunzione fiscale per il pagamento di lire 301.775, a titolo di interessi moratori in ragione del tre per cento per ogni semestre, in applicazione delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29 e 28 marzo 1962, n. 147, per il periodo dal 16 marzo 1961, data di entrata in vigore della prima legge, al 30 luglio 1964, data dell'avvenuto pagamento dell'imposta complementare.

Con atto del 15 gennaio 1966, gli intimati proponevano opposizione dinanzi alla Commissione provinciale delle imposte di Venezia, deducendo che nei loro confronti non poteva farsi valere la citata legge n. 29 del 1961, sia perché la sua applicazione sarebbe subordinata all'emanazione di un provvedimento del fisco che nella specie non sarebbe stato emanato, essendosi l'accertamento definito con il concordato, sia perché si tratterebbe di un rapporto sorto anteriormente all'entrata in vigore della legge; sia, infine, per la natura transattiva del concordato che precluderebbe ogni possibile richiesta di interessi moratori.

Con ordinanza del 18 maggio 1966, l'adita Commissione sollevava di ufficio la questione di legittimità costituzionale delle citate leggi n. 29 del 1961 e n. 147 del 1962, nel loro complesso e in particolare per quanto concerne le norme contenute negli artt. 1 e 4 della legge del 1961 n. 29, in riferimento all'art. 3 della Costituzione. Si osserva nell'ordinanza che, con le leggi denunziate, si é venuta a costituire a favore della Pubblica Amministrazione un'ingiustificata posizione di privilegio rispetto ad ogni altro creditore, tenuto conto che l'art. 75 della legge tributaria sulle successioni, approvata con R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, già prevede l'applicazione di una sopratassa, avente natura esclusivamente risarcitoria, nell'ipotesi di tardivo pagamento del tributo; e poiché gli interessi moratori, previsti dalle leggi denunziate, avrebbero, secondo la Commissione, la stessa funzione risarcitoria in relazione ai medesimi presupposti, si verificherebbe una disparità di trattamento nei pagamenti a danno di quella particolare categoria di debitori rappresentata dai contribuenti, e ciò anche a voler prescindere da quanto dispone nei loro confronti la legge 7 gennaio 1929, n. 4, contenente le norme generali sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie.

L'ordinanza é stata ritualmente notificata, comunicata, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 15 ottobre 1966.

2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituita l'Amministrazione finanziaria dello Stato ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentati dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto di deduzioni e di intervento depositato il 19 luglio 1966, nel quale si chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

Osserva l'Avvocatura che il principio della parità di trattamento, che segna un limite invalicabile per il legislatore ordinario, concerne esclusivamente le posizioni giuridiche soggettive del cittadini e non può riguardare la Pubblica Amministrazione quando agisce nell'esercizio delle sue pubbliche funzioni e, in particolare, nell'esercizio della potestà di imposizione tributaria. Richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte sul preminente interesse generale alla riscossione del tributi, che attiene al regolare funzionamento della vita della comunità e ne condiziona l'esistenza, deduce l'Avvocatura che tutte le sanzioni di carattere pecuniario, per la loro duplice funzione di stimolare gli obbligati a compiere i loro doveri tributari e di risarcire all'Ente pubblico le dannose conseguenze derivanti dalla violazione di questi doveri, sono poste a garanzia del predetto interesse generale alla riscossione del tributi, e non violano il principio di eguaglianza.

L'Avvocatura generale contesta infine la pretesa identità di funzione indiscriminatamente attribuita nell'ordinanza di rimessione agli interessi moratori e alla sopratassa, precisando che soltanto gli interessi moratori hanno natura civilistica e lo scopo di risarcire il danno provocato dal ritardo nel pagamento del debito di imposta; mentre la sopratassa avrebbe una prevalente funzione sanzionatoria e natura amministrativa, come risulterebbe dalla considerazione che essa é posta a carico del trasgressore per le violazioni delle leggi finanziarie, nonché dalla sentenza n. 76 del 6 dicembre 1965 di questa Corte, nella quale si é precisato che la particolare disciplina della sopratassa trae la sua giustificazione dal fatto che essa "colpisce l'inadempimento non rispetto ad ogni tipo di tributo, ma solo rispetto a quei tributi che hanno certi presupposti e determinate caratteristiche".

Alla pubblica udienza del 9 aprile 1968 l'Avvocatura generale dello Stato ha insistito nelle sue tesi e conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - Si é sollevata questione di legittimità costituzionale delle leggi n. 29 del 26 gennaio 1961 e n. 147 del 28 marzo 1962, che pongono gli interessi di mora a carico del contribuente in ritardo nel pagamento delle imposte indirette, indipendentemente dall'applicazione di ogni penalità o sopratassa prevista dalle singole leggi tributarie. Se ne denuncia il contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata in via generale per i debitori in mora: si deduce che, in materia di imposte successorie, la sopratassa comminata dall'art. 75 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, avrebbe una funzione esclusivamente risarcitoria del danno subito dall'Amministrazione finanziaria, per lo stesso tardivo pagamento del tributo, sicché l'onere degli interessi si risolverebbe in una duplicazione di risarcimento.

L'assunto é infondato.

La sopratassa prevista dall'art. 75 della legge tributaria delle successioni non é commisurata all'entità del ritardo nell'adempimento, ma soltanto all'ammontare del tributo non pagato; pur essendo, al pari degli interessi moratori, accessoria al debito di imposta, é una vera e propria sanzione amministrativa (sentenza di questa Corte 6 luglio 1965, n. 76; cfr. anche sentenza 21 giugno 1966, n. 76) e, come tale, può essere ed é oggetto di condono (legge 31 ottobre 1963, n. 1458). Sua prevalente funzione non é, pertanto, quella di risarcire il danno all'erario, ma di stimolare la diligenza del contribuente, colpendone l'inerzia, quando questi non provveda a pagare il tributo entro il termine stabilito nel pubblico interesse.

2. - D'altra parte, la disciplina contenuta nelle leggi denunciate, per la particolarità dei suoi fini e presupposti, é diversa da quella civilistica, dettata per le altre obbligazioni pecuniarie. Infatti, gli interessi moratori, dovuti a titolo di risarcimento, ammettono la prova del maggior danno, prescindono da qualsiasi colpa del debitore e maturano giorno per giorno. Invece, gli interessi di mora sulle imposte indirette, data la speciale natura del credito cui si riferiscono, escludono ogni ulteriore risarcimento e, in quanto non sono computati per il semestre nel corso del quale avviene il pagamento, contribuiscono essi pure a sollecitare il contribuente ad adempiere l'obbligo tributario. Inoltre, anche secondo la giurisprudenza, sono dovuti sul tributo complementare che non si sia potuto liquidare per mancanza o insufficienza di elementi, esclusivamente se ciò sia imputabile a comportamento colposo del contribuente (articolo unico, secondo comma, legge n. 147 del 1962)

3. - Giusta espressa riserva contenuta nelle leggi denunciate, per la mora sui tributi indiretti sono da applicare anche le sanzioni pecuniarie previste dalle singole leggi tributarie, tra le quali, per l'imposta successoria, la sopratassa, di cui al citato art. 75 del R.D. n. 3270 del 1923, nella misura del ventiquattro per cento del tributo. In tal modo, nel sistema attuale, si assomma, a carico del contribuente, una serie di misure che possono nel complesso anche apparire eccessive, ma la eventuale revisione rientra nei compiti del legislatore.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29 (norme per la disciplina della riscossione del carichi in materia di tasse e di imposte indirette sugli affari) e 28 marzo 1962, n. 147 (interpretazione autentica della legge 26 gennaio 1961, n. 29, circa la disciplina degli interessi di mora dovuti sulle tasse ed imposte indirette sugli affari di natura complementare), proposta in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dall'ordinanza 18 maggio 1966 della Commissione provinciale delle imposte di Venezia.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 6 giugno 1968.